Gian Carlo Stella, Aprile 2019
Il nome del personaggio è molto noto, meno la sua storia, aureolata di leggende e luoghi comuni, complice una storiografia di maniera che ne ha amplificato e continua a tutt’oggi a falsificarne carriera e statura.
Ne è esempio emblematico la lapide che il comune di Ravenna murò nella casa dove nacque e che contiene tre gravi errori[1]:
IL XIII DI OTTOBRE MDCCCL
NACQUE IN QUESTA CASA
PELLEGRINO MATTEUCCI
MEDICO CHIRURGO
D’ANIMO COSÍ GENEROSO
CHE PER RECARE A BARBARE GENTI LA CIVILTA’
E FAR NOTI I COSTUMI LORO ALL’EUROPA
DUE VOLTE LE REGIONI DELL’AFRICA SCONOSCIUTE
RICERCÓ
PRIMA COL CAPITANO ROMOLO GESSI
SUO CONCITTADINO
POI COL TENENTE MASSARI DA NAPOLI
MA NEL LUNGO E ASSAI DISASTROSO VIAGGIO
CADUTO INFERMO DI FEBBRI MALIGNE
FINI’ IN LONDRA LA VITA
IL VII DI AGOSTO MDCCCLXXXI
Indubbiamente la forte emozione popolare suscitata dalla morte improvvisa per febbri malariche, avvenuta a Londra in giovane età[2], la favorevole propaganda dei giornali d’epoca ed infine la storiografia coloniale, hanno contribuito a costruire un personaggio. In effetti fu veramente “sui generis” rispetto agli altri suoi omologhi, ma non come lo si legge. Per avvicinarsi alla personalità di Pellegrino Matteucci, con il suo mondo e la sua Africa, è sufficiente leggere le numerosissime lettere che ci ha lasciato, mentre poco o nulla valgono i volumi dei suoi viaggi che pubblicò, costruiti su misura per un pubblico mirato.
Nell’opera “Sudan e Gallas”, edito a Milano da Treves nel 1879, racconta la fallita spedizione commerciale in Africa con il compagno Romolo Gessi, col quale litigò e che, poco e a malapena, cita nel volume. La recensione dell’opera, apparsa a p. 91 del numero di giugno del 1880 dell’autorevole “Bollettino della Società Geografica Italiana”, fu chiara: “Il libro, scritto colla nota facilità e copia di stile, non è destinato agli eruditi, né agli scienziati di professione. Come libro popolare presenta buon numero di notizie, descrizioni ed osservazioni importanti”. Insomma, una curiosità per il popolo.
Anche la successiva pubblicazione, “In Abissinia. Viaggio”, edito sempre da Treves nel 1880, non si colloca tra le opere di un certo spessore, essendo “tacciato di poca originalità”, come annota nel 1893 il bibliografo Giuseppe Fumagalli nella sua “Bibliografia etiopica”(N. 360 a p. 43).
Il personaggio è orfano, ad oggi, di uno studio che poggi sulle carte e le evidenze; il mio “Pellegrino Matteucci. Bibliografia”, edito a Ravenna nel 1983, indirizza – con commenti -, sulle fonti.
Circa la sua immagine, sono due le fotografie che ci rimangono (in altra – forse ritoccata -, appare con il caratteristico fez turco-egiziano), e da queste sono stati ricavati altri ritratti a disegno, come si usava largamente all’epoca. La barba è folta, il piglio austero, il fiocco nero tipo Lavallière, la giacca da borghese.
Su questo ritratto l’artista ravennate Tobia Bagioli (1821-1902) creò il busto in marmo presente nel cimitero di Ravenna, il cui originale modello in gesso conservo nella mia Biblioteca, assieme ad un inedito grande ritratto in carboncino di certo G. Orioli.
La suggestiva tomba nel cimitero di Bologna, scolpita dall’artista Carlo Parmeggiani (1850-1918) ed inaugurato il 26 novembre 1882, lo ritrae con l’inconfondibile volto coperto da barba, esattamente come l’immagine a disegno pubblicata dall’artista Dante Paolocci (1856-1926), probabilmente ricavato da fotografia del nostro sul letto di morte in una stanza dell’hotel Previtali di Londra.
Rimasi sorpreso, oltre 40 anni fa, quando il medico ravennate Duilio Donati, appassionato collezionista di medaglie e di musica classica, mi fece avere un ritratto fotografico originale di un Pellegrino Matteucci giovanissimo e senza barba. Nel rovescio, lo stesso Matteucci aveva vergato a matita questa dedica: “Matteucci Pellegrino pregando l’amico Emaldi di ricordarsi dell’originale non fos’altro al nobile pensiero di sublime fisionomia” [sic].
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[1] Il primo riguarda la laurea in medicina che mai conseguì: lo afferma egli stesso in una lettera scritta al padre datata 12 gennaio 1877, conservata nella Biblioteca Classense di Ravenna (pos. “Mob. 3, 4 Z bis”). Leggiamo invece, anche nei siti internet istituzionali e, per quanto vale, in Wikipedia, che si laureò in medicina a Roma addirittura nel1873 [sic]. Il secondo errore è relativo al viaggio che non fu per civilizzare ma per commerciare; il terzo riguarda le sue escursioni in Africa che furono tre e non due.2In quei giorni la capitale inglese ospitava un convegno di medici-scienziati, i cui esponenti italiani riuscirono a recarsi al suo capezzale per soccorrerlo, ma vanamente.
[2] In quei giorni la capitale inglese ospitava un convegno di medici-scienziati, i cui esponenti italiani riuscirono a recarsi al suo capezzale per soccorrerlo, ma vanamente.





