Gian Carlo Stella, settembre 2020

Nel 1935 la prestigiosa libreria londinese Sotheby and C., mise in catalogo un’antica pubblicazione portoghese di 14 fogli, assicurando essere “la prima relazione d’Abissinia, apparentemente sconosciuta“. La notizia suscitò enorme interesse per il British Museum, che se lo aggiudicò nel dicembre di quell’anno (lotto 592) coi fondi espressamente raccolti dai “Friends of the National Libraries”.

L’opuscolo, anonimo e senza indicazioni di stampa, si intitolava “Carta das Novas que vieram a el Rey nosso Senhor do descobrimento do Preste Ioham –“[1]; dalla lettura si evinceva che era uscito a Lisbona dai torchi di Germáo Galharde nel 1521. [2]

       La plaquette riveste un grande interesse storico, benché il contenuto fosse già noto. Narra del viaggio via mare fino a Massaua della delegazione portoghese guidata da Don Edoardo Galvao (poi sostituito da Don Rodrigo Da Lima) al Negus d’Abissinia Lebna Denghel (chiamato anche Uanàg Sagad o David, 1508-1540).

       Il relatore si sofferma sullo sbarco, sui primi contatti tra portoghesi e nativi e sulla partenza verso l’interno della delegazione diplomatica. Riferisce informazioni sul Paese e si conclude col ritorno in Portogallo della nave “nella quale va Pietro Vaz de Vera come capitano e pilota, che giunse dall’India in questa città di Lisbona l’ultimo giorno del mese di Aprile di questo anno 1521”.

       La rarità assoluta della pubblicazione ha fatto sospettare – anche recentemente -, che fosse una relazione “confidenziale”, ma ad escludere questa particolarità sono cinque elementi che confermano invece la frettolosità della stampa: il breve rapporto poteva farsi in qualche copia a mano; il contenuto (all’epoca noto in Europa, in Oriente ed anche enfatizzato in quei giorni dallo stesso sovrano portoghese)[3]; la prima pagina (il frontespizio tipografico stava nascendo) che ricorda una tipica – per l’epoca -, pubblicazione da “Vetrina”; l’estrema fragilità dei pochi fogli non protetti da “coperta”, e soprattutto nel titolo che specifica essere stata stampata per mandato di sua Altezza e “Com previlegio”, ovvero con monopolio del diritto di riprodurre, odierno copyright. Nella realtà la pubblicazione si presenta composta con molta fretta, addirittura raffazzonata come testimoniano i differenti motivi decorativi del 1° foglio (la “copertina”), con disegni e misure diverse dei tagli delle cornici che attorniano la sfera armillare, non degna di quel noto stampatore e del potente Re che l’aveva commissionata.

* * *

L’antefatto.

       Nel 1514 era giunto a Lisbona un mercante armeno di nome Mateus, in veste di ambasciatore della Regina Elena (Elēni) d’Etiopia – della quale presentava una lettera datata 1509 -, sovrana reggente quel Paese in nome del giovanissimo figlio David. La sua azione presso il Re di Portogallo darà l’avvio a futuri rapporti, prima diplomatici, poi di carattere militare ed infine religiosi, tra il mondo latino e l’Abissinia.

       Questa terra, identificata pure con il nome di Prete Gianni e che rimaneva sostanzialmente non troppo ignota, a quel tempo aveva raggiunto una forte unità, però minacciata di invasione da parte di forze musulmane dancale e somale guidate da Ahmed ben Ibrahim (detto il Grāñ). Facendo leva sulla comune origine “cristiana”, la sovrana riteneva che una alleanza con il Portogallo, la cui potenza economica e militare era ben nota tanto in Africa che in Asia, avrebbe risolto non solo quel problema esistenziale, ma avrebbe beneficiato di strumenti, tecnologie e personale indispensabili.

       Il mercante Mateus – con le credenziali reali -, era uscito dall’Abissinia nel 1509 ma era stato catturato da alcuni portoghesi prima di raggiungere Goa e portato a Dabul nelle Indie. Grazie all’intervento del Governatore Portoghese Alfonso de Albuquerque, convinto della sua veste di ambasciatore, nel 1513 riuscirà a proseguire il viaggio e raggiungere Lisbona il 24 febbraio 1514.

       Accolto con onore nella città lusitana e ricevuto dallo stesso Re Manuel I al quale offrì una reliquia della S. Croce[4], l’ambasciatore Mateus affermò che la Regina Elena era propensa a cedere alcune terre del suo Impero in cambio di un soccorso armato contro l’Islam ed aiuti vari. La lettera ufficiale della Regina, oltre i convenevoli e le frasi di rito, recitava: “… Oltra di questo vi avisiamo che, se vorremo congiunger li nostri eserciti insieme per far guerra, noi averemo forze bastanti, mediante l’aiuto divino, di levar via tutti li nimici della nostra santa fede. Ma li nostri regni e li nostri paesi sono posti fra terra, che in alcuna banda non potemo venir sopra il mare, sopra il qual noi non abbiamo potenzia alcuna, conciosiacosaché per laude di Dio voi sete in quello sopra ogn’altro potentissimo. Messer lesti Cristo sia in nostro adiutorio. Le cose veramente fatte per voi in India sono certamente piú presto miracolose che umane, e se voi volesti armar mille navi, noi vi daremo vittuarie, e vi sumministraremo tutte le cose che saran di bisogno per detta annata abondantissimamente[5].

       Evidente che l’ambasciatore poteva entrare in dettagli ed in altre questioni che non potevano essere contenute nella lettera.

       Le poche informazioni politiche e geografiche che allora circolavano in Europa e nel medio-lontano oriente, confermavano le volontà dei sovrani a cercare alleanze per uscire dall’isolamento e dall’accerchiamento islamico.

       Il Portogallo pensò di aver trovato nelle terre del Prete Gianni (l’Abissinia) un Eldorado – e questo conferma come su quel Paese da secoli si favoleggiasse e si continuò a favoleggiare sino alla metà del 1800 -, e rispose all’invito con una propria ambasciata ponendovi a capo Don Edoardo Galvão, e come Cappellano e Cancelliere della missione il religioso “Prete da Messa” Francesco Alvarez.

       Mateus, prima di ripartire per l’Abissinia facendo da guida alla missione portoghese, si portò a Roma, dove il Pontefice Leone X gli rimise delle lettere per il suo Negus, datate 10 ottobre 1514.

       La spedizione partì da Lisbona il 7 aprile 1515 con Mateus, il nuovo Governatore delle Indie e l’anziano Duarte Galvão. Raggiunse l’India nel settembre di quell’anno, e qui Galvão decise di attendere la squadra navale portoghese[6] comandata da Lopo Suares che doveva recarsi nel Mar Rosso per combattere l’Islam e distruggere la Mecca e Gedda. Giunta in Aden il 14 marzo 1516, una tempesta scompigliò la squadra e dopo varie vicissitudini e diffidenze anche da parte del nuovo Governatore, Galvão riuscì a sbarcare nell’isola di Camaran nel Mar Rosso, dove però morì il 9 giugno 1517. Fallita la spedizione militare navale portoghese, Mateus preferì non essere lasciato a terra e volle tornare negli stabilimenti dell’India in attesa di tempi migliori.

       Aggregatosi ad una nuova spedizione navale[7] diretta nel Mar Rosso, l’ambasciata sbarcò finalmente a Massaua nell’aprile del 1520, ma Mateus poco dopo morì di difterite il 23 maggio e sepolto in un convento del Bizen. La delegazione proseguì quindi verso l’interno dell’Etiopia, ricevuta il 20 ottobre dello stesso anno in udienza dal Negus[8].

       Lasciata la delegazione portoghese[9], la nave con queste prime notizie fece ritorno a Lisbona dove lasciò il rapporto che venne pubblicato. A queste notizie si aggiunsero le comunicazioni del Governatore dell’India portoghese ricevute alla fine di aprile del 1521, che motivarono Re Manuel a scrivere al Pontefice Leone X il 10 maggio annunciandogli con entusiasmo di aver finalmente trovato “il famoso potentissimo capo dei cristiani indi ed etiopi e principe Preste Giovanni, signore della provincia di Abixia”, con il quale aveva stretto un patto di perpetua amicizia e preannunciando la prossima distruzione della potenza musulmana nel Mar Rosso, “in virtù dell’unione dell’Oriente con l’Occidente, sotto l’egida della Santa Croce“.

L’Autore della “Cartas”.

       Non è improbabile che l’estensore sia stato Francisco Alvarez, e lo scritto rappresenterebbe il primo rapporto del Cancelliere della missione, ma pure Damiano De Goes (storiografo del regno e Guardia maggiore della Torre di Tombo, una delle massime cariche dello Stato, testimone dell’arrivo di Matteo a Lisbona ed autore nel 1518 (tre anni prima della “Cartas”) della “Legatio Magni Indorum Imperatoris Presbyteri Johannis ad Emmanuelem Lusitaniae Regem, Anno Domini MDXIII …  avrebbe potuto scriverla, basandosi sui rapporti del comandante la flotta portoghese e Governatore, Diogo Lopes De Sequeira, e dell’uditore (revisore) Pero Gomez Teixeira, entrambi presenti a Massaua allo sbarco della Delegazione portoghese.


[1]Lettera con le notizie giunte al Re nostro Signore riguardo alla scoperta del Prete Gianni.

[2] Era il francese Germain Gaillard, tipografo attivo nella città lusitana dal 1519 al 1561.

[3] Si veda la lettera di Re Manuel al Pontefice Leone X del 10 maggio 1521.

[4] Il frammento della Croce era stato diviso in due parti dalla stessa Regina Elena, e la porzione offerta al sovrano portoghese era originariamente tenuta da un anello d’argento. Mateus, in India, provvide a depositarlo in una scatola d’oro che fece fare, ritenendo – presumiamo -, che la presentazione fosse più consona ed all’altezza di una regina che si rivolgeva ad un grande regno.  Cfr: “Mandiamo per questo nostro ambasciador Matteo una croce, fatta senza dubbio alcuno di un pezzo del legno nel qual il Salvator nostro messer Iesú Cristo fu crocifisso in Ierusalem, di donde il pezzo di questo legno santo n’è sta’ portato: e del detto ne abbiamo fatto far due croci, delle qual l’una è restata appresso di noi, l’altra abbiamo dato a questo nostro ambasciador, ed è attaccata con uno anelletto d’argento. …” In: Ramusio G.B., Navigazione e Viaggi, Einaudi, 1977-1988, Tomo II, p. 17. Questo frammento – ora scomparso -, venne successivamente donato dal figlio del Re Manuel, Giovanni III,  al pontefice Adriano VI in occasione di una sua visita a Saragozza.

[5] Lettera della regina Elena, ava del re David Prete Ianni imperator de’ Negri, scritta ad Emanuel re di Portogallo, nell’anno 1509. In: Ramusio G.B., Navigazione e Viaggi, cit. La dizione “imperator de’ Negri”, ostentata come una perla della corona,  interroga su come – nel corso dei secoli -, il nero venisse inteso.

[6]  Forte di 40 navi e 2.000 portoghesi. Vi faceva parte anche il navigatore, cartografo e cosmografo italiano Andrea Corsali.

[7]  Forte di 26 navi e 1800 uomini

[8] L’Alvarez narra che alla corte del ritenuto Prete Gianni, incontrò molti europei, trattenuti loro malgrado nel Paese, tra cui diversi italiani, tra cui certo Nicolò Brancaleone, forse nipote del pittore veneziano Francesco Brancaleone, e Leone e Tommaso Gradenigo, patrizi veneti.

[9] Dopo un viaggio nell’interno dell’Abissinia alla ricerca della residenza reale, la Delegazione veniva ricevuta il 20 ottobre del 1520 dello stesso anno in udienza dal Negus. Espletato l’incarico diplomatico, l’ambasciata portoghese riprese la via del ritorno verso la fine di marzo del 1521. Rimasero, trattenuti dal Negus, il pittore Lazzaro D’Andrade ed il medico Giovanni Bermudez. La delegazione giunse però a Massaua in ritardo di due mesi all’appuntamento concordato con la flotta portoghese, e quindi dovette attendere, dopo altre varie vicissitudini, ben altri cinque anni prima di riuscire ad imbarcarsi in quell’aprile del 1526. Il 24 luglio del 1527 sbarcava a Lisbona. In seguito l’Alvarez ebbe incarico dallo stesso Re Giovanni III di recarsi a Bologna in veste di ambasciatore del Negus David, al congresso che qui si teneva in occasione della pace fra il Pontefice Clemente VII e Carlo V di Spagna. Fu ricevuto dal Papa nel pubblico concistoro il 29 gennaio 1533, ed a questi rimise due lettere del monarca abissino.