Gian Carlo Stella, edito nel 1988 / rivisto nel settembre 2020

A determinare scientificamente che il lago Vittoria fosse la vera sorgente del Nilo Bianco, non furono i primi esploratori britannici che lo videro e mapparono, ma i cartografi della Royal National Geographic di Londra sulla base dei dati di quegli stessi ardimentosi.

Peraltro, che il Nilo nascesse da grandi laghi, era noto da 700 anni, come segnalato dall’antica cartografia araba.

Per il bacino idrografico del Nilo Azzurro – il Lago Tana in Etiopia  -, se ne intestò la scoperta il nobile inglese James Bruce nel 1790, sconfessato nel 1795 anche dal gesuista erudito bibliotecario modenese Giovanni Tiraboschi.

* * *

Nel 1790 il nobile scozzese James Bruce licenziava a Edinburgh l’opera in 5 tomi “Travels to discouer the source of the Nile, in the Years 1768, 1769, 1770, 1771, 1772, and 1773”, dedicata al Re d’Inghilterra Giorgio III -.

Bruce era nato il 14 dicembre 1730 a Kinnaird House nello Stirlingshire (Scozia). Un suo antenato, Roberto I (1274-1329), fu addirittura riconosciuto Re di Scozia nel 1306 per aver liberato il Paese dall’influenza inglese. In gioventù Bruce preferiva – allo studio di diritto cui era stato destinato frequentando la Harrow School e successivamente l’università di Edimburgo -, dedicarsi alla caccia. Si sposò con la figlia di un commerciante di vino di Londra ed esercitò il mestiere di negoziante fino alla morte della consorte, avvenuta in Francia nel 1754 dopo nove mesi di matrimonio. Portato per i viaggi, si portò in Portogallo e poi in Spagna dove, catturato dal fascino del Monastero dell’Escurial, pensò di pubblicare una sorta di catalogo dei manoscritti arabi qui conservati. Ma il governo spagnolo, richiesto in proposito, si oppose al progetto presentato da un dilettante delle lingue.

Alla morte del padre, avvenuta nel 1758, divenne titolare della tenuta di Kinnaird e, tornato a Londra, quell’anno presentò al suo Governo un piano di guerra contro la località di Ferrol in Galizia (Spagna) in occasione della guerra tra i due Stati. Il piano venne rigettato, ma gli valse poi la carica di console britannico di Algeri con una Commissione di studio delle antichità del Paese.

Trascorsi sei mesi in Italia, Bruce giunse ad Algeri nel marzo del 1763, anno della nomina. Visitò anche avventurosamente parte della costa mediterranea dell’Africa ed alcune regioni dell’Asia Minore. In questo viaggio, e nell’altro più famoso in Abissinia, ebbe alle sue dipendenze un italiano in veste di artista: Luigi Balugani, un architetto bolognese che poi morì in Gondar il 3 maggio del 1770 (era nato a Bologna nel 1737).

Sbarcato a Massaua, Bruce si portò a Gondar (allora capitale dell’Etiopia) dove giunse il 14 febbraio 1770. Qui rimase per quattro anni, visitando varie parti del Paese, com’é copiosamente narrato nel suo lavoro. Poi, dalla parte del Sudan, raggiunse il Cairo nel gennaio del 1773 e, transitando per l’Italia dove si fermò alcuni mesi tra Bologna, Firenze, Roma e Milano, fece ritorno a Londra nel 1774 dopo 12 anni di assenza, con la sorpresa di trovare tutte le sue sostanze già divise tra i parenti. Si risposò ed ebbe un figlio, ma la moglie però gli morì nel 1784. Chiusosi nella sua tenuta di Kinnaird, si applicò a stendere il materiale raccolto dando vita al suo libro. Morì il 27 aprile del 1794 a Edimburgo in conseguenza di una caduta dalla scala di casa sua.

L’opera del Bruce ebbe un successo notevole per il fascino che l’Africa da tempo esercitava per l’inaccessibilità, pericolosità ed i suoi misteri. L’enigma delle sorgenti del Nilo era al primo posto già dagli antichi Greci, e lo sarà sino oltre la metà del XIX secolo. Leggere i tomi di Bruce significava partecipare passo a passo alle sue esperienze. Non si creda però che tutto il contenuto sia stato accettato e confermato, e che solo successivamente ci si accorse dei molti voli di fantasia e inesattezze contenute. Tutt’altro. Il letterato George Annesley (Lord Valentia), che pure lui viaggerà in Etiopia dal 1802 al 1806, ebbe a darne questo giudizio: “Dispiace veramente che un uomo dotato di tanto ingegno si sia lasciato dominare da un sentimento di vanità che diede al suo libro la forma di un romanzo, anziché quella di un fedele racconto. Gli ostacoli che egli ha realmente superati basterebbero a meritargli gli elogi dovuti alla perseveranza ed al coraggio. Il paese che egli ha trascorso offriva tanti e nuovi oggetti da descrivere, che non gli era necessario inventarne altri per interessare maggiormente la curiosità dei lettori; ma nella sua Relazione sono talmente mischiate le cose vere colle false, che egli è impossibile separare le une dalle altre“.[1]

Ma il fatto più clamoroso, che destò viva opposizione all’epoca, riguardò la paternità che si assunse il Bruce della scoperta delle sorgenti del Nilo. E’ certo che il nobile scozzese, prima di stendere le sue note, abbia scòrso la reperibile letteratura sull’argomento, ma non consultò, benché lui affermi il contrario, i manoscritti dei gesuiti già missionari in Abissinia.  Su questo punto scrisse il viaggiatore e diplomatico Henry Salt: “… quantunque il Bruce avesse l’abitudine di maltrattare i Gesuiti, non disdegnava di trarre molte cose da essi considerabili; di che il lettore può giudicare, paragonando i suoi scritti con quelli di Tellez e di Lobo[2].

Relativamente alle sorgenti, Bruce affermò di aver consultato ben tre esemplari del manoscritto del padre Paez, e precisamente a Milano, Bologna e Roma, e di non avervi mai trovato cenni sulle sorgenti del Nilo. Ma due di questi manoscritti non solo non sono mai esistiti, e nell’unica copia autografa, che avrebbe potuto agevolmente consultare a Roma al ritorno dal suo viaggio (infatti il manoscritto dal 1773 era passato allo Stato in seguito alla soppressione dell’Archivio dei gesuiti dove si conservava dal 1600), si sarebbe accorto che padre Paez si soffermava parecchio su queste sorgenti, come vi si soffermò padre Tellez, occupando ben tre capitoli del sua opera (il V, VI e VII del 1° libro)[3]. Al proposito si veda: Tiraboschi Girolamo, Memoria sulle cognizioni che si avevano delle sorgenti del Nilo prima del viaggio del sig. Giacomo Bruce[4], dove l’Autore confuta con tanto di documenti l’asserzione del Bruce.

Bisogna anche aggiungere che sebbene il manoscritto del padre Paez sia rimasto inedito fino al XX secolo (venne pubblicato dal gesuita Camillo Beccari nel 1905 e 1906, e forma i voll. I e II del suo Rerum Aethiopicarum &cc.), tuttavia venne consultato in tempi diversi. Addirittura Athanasius Kircher pubblicò, nella sua opera Aedipus Aegyptiacus, hoc est Universalis &cc., Roma 1652, la relazione del Paez sulle sorgenti del Nilo, scritto poco dopo e tradotto e stampato in francese in appendice di un lavoro del Vossio (Gerhard JohannesVoss). Ma per tutta la faccenda si veda il primo volume dell’opera del Beccari Notizie e saggi &cc. (cit.) dove, alle pp. 273-291, si trova lo scritto originale del Paez con traduzione italiana, paragonato alla traduzione latina del Kircher e lo scritto del Bruce.

Ricorderemo infine che il Bruce giunse alle sorgenti del Nilo Azzurro il 4 novembre 1770; padre Paez il 18 maggio 1618 e Giovanni Gabriel, figlio di una abissina e forse di un veneziano, nel giugno del 1588.


[1] Cfr.: Levati A., Storia della Senegambia, della Guinea, della Cafreria, della Nubia e dell’Abissinia, Milano, Ant. Fort. Stella, 1826. Tomo II, pp. 88-89.

[2] Vedi alla voce “Lobo Girolamo” nella “Biografia Universale Antica e Moderna” compilata “in Francia da una società di dotti” e stampata a Venezia, presso Gio. Battista Missiaglia, nel 1827, Volume XXXIII, p. 104 seconda colonna. 

[3] L’opera di Balthazar Tellez “Historia geral de Ethiopia a alta, è contenuta nell’opera “The Travels of the Jesuits in Ethiopia, containing: I. The Geographical Description  of all the Kingdoms, and Provinces of that Empire …; II: Travels in Arabia Felix, …; III. An Account of the Kingdoms of Cambate, Gingiro, Alaba, and Dancali beyond Ethiopia …, London, Printed for F. Knapton, …1710, di pp. 264 numerate (+ indice). L’opera “Extrait de l’histoire d’Ethiopie, écrite en portugais, par Balthazar Tellez, de la Compagnie de Jésus, (Rouen, J. Lucas, 1671) non è che un forte sunto dell’opera del D’Almeida. E’ bene anche precisare che il Tellez si giovò, per scrivere la Historia de Ethiopia, anche delle relazioni del Mendez, del Lobo ed altri. Afferma infatti il Beccari: “D’altra parte, in quei trattati [relazioni, lettere, documenti inediti] si toccavano questioni che messe in pubblico potevano arrecare imbarazzi non lievi alla Compagnia di Gesù da parte di Roma e di Portogallo. Quindi si crede di soddisfare la pubblica curiosità facendo pubblicare dal Tellez, in un portoghese elegante e con stile conforme al gusto del tempo, una storia di Etiopia [che si stampò a Coimbra nel 1660] che compendiasse le opere principali scritte dai missionari”. (Cfr.: Beccari Camillo, Il Tigre descritto da un missionario del secolo XVII, Roma, Tipografia dell’Unione Editrice, 1909, 8°, pp. 114. A p. 5).

[4] In: “Memorie della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena”, Modena, Vol. I, 1795, p. 195 e ss.