Riportiamo il testo di una lettera inviata a Nigrizia il 27-7-09
Nicky Di Paolo
Il tempo scorre veloce, e la vostra ottima rivista continua a fare di tutto per riuscire a mantenere vivo il fine principale per il quale è nata che è quello di andare, senza mai fermarsi, in soccorso dei popoli africani. È confortante constatare che perseguite i vostri obiettivi senza trascurare mai i necessari studi sull’evoluzione storica e geografica di quel continente; con fatica, naturalmente, perché questa metamorfosi è così rapida che molto sfugge agli analisti di questo settore, anche ai più esperti.
Questo scritto è un ennesimo tentativo di interpretare il fenomeno dei vu cumprà che qua da noi, pur aumentando a dismisura in estate, è vissuto con molta indifferenza. Tutti gli europei hanno fatto ormai la conoscenza dei vu cumprà e li accettano come una realtà ben consolidata.
Noi siamo del parere che questi caratteristici personaggi debbano essere considerati, senza troppi dubbi, i pionieri dell’ancora attuale e colossale esodo del popolo africano verso l’Europa.
Riguardo ai vu cumprà, rimangono ancora molti punti oscuri che vanno chiariti. C’è da chiedersi, per prima cosa, se siamo riusciti davvero a cogliere il realismo di questo fenomeno che bene o male subordina la nostra vita attuale e influenzerà quella futura dei nostri figli.
Per poter comprendere l’essenza della trasmigrazione africana va fatta una premessa partendo da lontano.
È stato dimostrato che la maggior parte dei giovani italiani oggi ignora dove sia Adua o che cosa sia l’Asmara. È chiaro che questo vuoto culturale è da imputarsi alla scuola pubblica, che continua a mantenere questa ignoranza escludendo dall’insegnamento la storia coloniale italiana. Come si può capire ciò che sta succedendo adesso nel Corno d’Africa senza conoscere la nostra storia al riguardo? Come possono i nostri governanti muoversi con intelligenza se neppure loro conoscono la nostra storia africana?
Se vogliamo comprendere il fenomeno dei vu cumprà dobbiamo risalire a Ferdinando Martini, che fu Governatore dell’Eritrea nei primi anni del ‘900; oltre che politico, era un valente uomo di lettere e come tale amava scrivere e descrivere minuziosamente tutto il suo operato in quelle lontane lande africane, già da tempo colonie italiane. Nelle sue meticolose cronache, il Martini elencava tutte le spese, ingenti o meno, che sosteneva il governo italiano per il mantenimento della colonia eritrea e, di pari passo, tutti i modesti ricavi che cominciava ad ottenere, frutto di una politica intelligente e lungimirante. Negli elenchi di spesa il Martini elencava, fra tante altre cose, casse intere di perline, di specchietti, di braccialetti, collane e anellini, di ombrelli colorati, di borse e di vestitini leggeri e molte altre chincaglierie importate dall’Italia “che piacciono tanto agli indigeni e li convincono ad esserci amici”. In altre parole, con pochi soldi regalavamo ai nostri potenziali sudditi casse di ninnoli e bigiotteria che li facevano felici. Nulla di nuovo però, in quanto già da centinaia d’anni chiunque si recasse in Africa si portava appresso casse di cianfrusaglie per ottenere la simpatia dei nativi, sfruttando la loro ingenuità e, di fatto, raggirandoli senza alcuno scrupolo.
Quanti europei si rendono conto che da un paio di decenni gli africani ci rifilano cianfrusaglie? Oggi basta fermarsi un giorno d’estate in qualsiasi spiaggia europea e si può assistere alla versione inversa di ciò che avveniva in Africa circa 90 anni or sono: abitanti dell’Africa tutta, con sistematica intelligenza, riversano sugli europei in vacanza balneare tonnellate delle stesse cianfrusaglie che i nostri predecessori portavano in regalo per guadagnarsi la benevolenza dei capi neri. Con un po’ di malizia, in quanto gli africani, oltre alle perline, offrono capi d’abbigliamento rigorosamente firmati, orologi di gran marca, occhiali alla moda; peccato che siano tutte imitazioni. Il fenomeno dei vu cumprà, comparso prima sulle spiagge europee, si è andato poi rapidamente diffondendo alle grandi città, alle città d’arte, e ovunque ci sia un raduno di persone ci sono loro, con tanta chincaglieria, con tanta verve e spesso, parlando un buon italiano, con molta simpatia.
Oggi i vu cumprà bussano a tutte le porte in città o in campagna, in montagna o al mare, offrendo agli europei quelle stesse cianfrusaglie che i nostri nonni offrivano ai loro senza alcuna diversità.
Un momento! Una differenza c’è ed è importantissima. Noi regalavamo quella merce di nessun valore agli indigeni mentre invece oggi loro ce la vendono, facendoci credere di fare un buon affare. Un giro di denaro enorme che, se ben incanalato, si può ipotizzare vada almeno in parte a supportare il gran movimento dell’immigrazione africana. Questa è chiaramente un’ipotesi, ma non è campata in aria.
Vogliamo fare un altro esempio? Sempre all’inizio del secolo scorso il governo italiano spese un fiume di denaro per colonizzare alcuni stati africani, impresa che non solo costò all’Italia una buona parte delle sue riserve auree, ma che, unico esempio fra tutte le storie coloniali, non fruttò una sola lira di ritorno. Un pessimo affare, dunque.
Da tanti anni, ogni giorno passano le nostre frontiere centinaia di africani, molti dei quali provenienti dalle nostre ex colonie. Arrivano in condizioni pietose, stremati per il terribile viaggio. La carità cristiana aiuta ad accoglierli.
Fino ad oggi, la maggior parte di loro è arrivata viva e il governo italiano, volente o nolente, ha allargato le braccia ed accolto quest’inarrestabile marea di africani che pian piano, e senza fretta, si sono inseriti nella nostra società, iniziando prima a ricoprire funzioni modeste quali quelle delle servitù e degli operai non specializzati, specie nelle campagne, per poi giungere ad occupare qualsiasi posto di lavoro nel nostro paese. Molto del denaro guadagnato viene spedito dagli immigrati ai parenti rimasti in Africa, modificando sensibilmente le finanze dei vari stati (in negativo la nostra).
Forse non vogliamo rendercene conto, o facciamo finta di non capire, ma la situazione è completamente all’opposto di quando dai porti italiani partivano giornalmente navi con centinaia di coloni dirette in Africa Orientale!
Oggi sono grandi barconi, navi in disuso, enormi gommoni a trasportare dalle coste africane i nuovi coloni. Tutti i figli degli africani vanno a suola con i nostri figli e domani occuperanno posti direttivi strategici. Gli africani già usufruiscono del nostro sistema sanitario e in un prossimo futuro conquisteranno quello pensionistico, forti del fatto che essendo molto numerosi, rappresentano un ghiotto boccone per tutte le forze politiche che tendono logicamente a proteggerli e a tesserarli.
Insegnare tutto questo a scuola sarebbe davvero istruttivo. Perché allora si preferisce ignorarlo? In tema di colonizzazione noi abbiamo perso e continuiamo a perdere. Gli africani, almeno in questo campo, hanno vinto e continuano a vincere.
Nicky Di Paolo
index
© 2004 Il Corno d’Africa
Tutti i diritti letterari e fotografici riservati