Alberto Vascon, 20 dicembre 2008

Nella loro lunga storia di guerrieri, gli amara hanno spesso modificato i nomi delle popolazioni sottomesse sostituendoli con termini dal significato dispregiativo, o addirittura con un nome che indicava  lo stato di schiavitù. Ad esempio, la provincia più settentrionale dell’Etiopia, che oggi fa parte della Federazione Etiopica, si chiama Tigrai. Molti studiosi continuano a chiamarla Tigrè (che è il nome con cui gli amara chiamano i tigrini) non sapendo che tigrè in amarico significa “sotto il mio piede”, cioè “servo”. Tigrè è anche il nome  di una popolazione dell’Eritrea settentrionale nella cui struttura sociale i tigrè (servi) sono governati da un’aristocrazia di capi detti sciumaghillè (anziani). 

Un altro esempio ce lo forniscono i nara dell’Eritrea che sono meglio noti come baria, un antico termine aksumita che significa schiavo. I somali, poi, chiamavano gli oromo galo, che in senso dispregiativo vuole dire non mussulmano. Nell’antica  lingua gheez anche il termine galla significa schiavo, e gli amara hanno approfittato di questa somiglianza per chiamare galla gli oromo. Gli uolaita sono stati chiamati uolamo, che deriva da hoi lam, la cui traduzione letterale è oh, una mucca, cioè un uolaita e una mucca sono la stessa cosa. Un ulteriore esempio di questo sarcasmo lo si ritrova nella provincia del Beghemedìr, regione di Gondar: Beghemedir significa terra di pecore. Dai beni shangùl della regione di Asossa, vicino al confine sudanese, gli amara hanno derivato il nome scianchilla, o sciangalla, col significato di negro, che hanno assegnato ai gumùz abitanti lungo il confine sudanese e nel Uollega occidentale

L’usanza di sbeffeggiare i vinti, indicandoli con nomi offensivi, era diffusa anche fra altre popolazioni del Corno. Gli oromo hanno chiamato giangerò, scimmione, gli iama che abitano la valle dell’Omo, mentre gli agnuaa di Gambella sono chiamati iambo, schiavo. I caffini chiamano surma, negro, le tribù ciai, tirma, zilmamo e altre nei dintorni di Maji. Anche il nome ghimirra è offensivo per le popolazioni bench della zona di Mizàn Tafarì.

Una menzione  particolare merita il nome sidama. Sidama in lingua oromo (per importanza la seconda lingua etiopica, dopo l’amarico) significa straniero, termine riservato dagli oromo agli  amara confinanti, con i quali spesso combattevano ferocemente. I viaggiatori europei del XIX secolo, dopo aver attraversato le terre degli oromo, giunsero nel Caffa all’altezza del medio corso dell’Omo, e costatarono che queste popolazioni non oromo erano chiamate sidama, e con tale nome continuarono a chiamarle. Oggi queste popolazioni sidama sono comprese nel gruppo linguistico omotico. Va precisato che una popolazione del gruppo cuscitico di nome sidamo, che abitava un tempo tutto l’altipiano del Bale, è stata spinta dagli oromo verso ovest e oggi abita una piccola regione a sud del lago Auassa. Per complicare la confusione dei nomi, l’Amministrazione etiopica chiama sidama i sidamo, mentre chiama Sidamo tutta la provincia compresa fra i laghi della Rift Valley a ovest, e il corso del Ganale (poi Giuba) a est, regione abitata prevalentemente da oromo.

Per ultimo citiamo gli abitanti di Harar, che molti continuano a chiamare aderè: chiamare gli abitanti di Harar aderè anziché harari è come chiamare galla un oromo, cioè è un insulto. Dopo la conquista di Harar (1887) Menelik assegnò al cugino Maconnèn il governatorato di Harar e chiamò aderè, che significa protetti, gli abitanti di Harar, che erano i discendenti di un’antica colonia aksumita e parlavano l’harari, una lingua derivata dal gheez. Oggi gli abitanti di Harar vogliono essere chiamati harari.


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