Beppe Storelli, 23 gennaio 2018
Questo è un verso di una vecchia poesia che dovetti studiare alle medie, credo del Carducci, che, mi si perdoni la presunzione, iniziava più o meno così “Un bello orribile mostro si sferra, percorre gli oceani, percorre la terra. Corrusco e fumido come i vulcani i monti supera divora i piani”. Nel vedere questa foto che ho trovata su FB questa mattina, mi è venuta una stretta al cuore. Ora vi dico perché.

Osservando questa foto, mi sembra di vedere, un povero vecchio rudere, umiliato, insultato e offeso nella sua dignità, questo nonostante per anni abbia fatto con onore e orgoglio il suo dovere. Queste fatiscenti carrozze che per anni hanno
trasportato tonnellate di merci su è giù da Massaua ad Asmara, per poi proseguire per Cheren fino ad Agordat, sono quanto resta di un recente passato fatto di lavoro, sacrifici e vite umane spezzate per portare cultura e civiltà. Adesso il loro legno è
marcio, sconnesso, cadente e nessuno che si preoccupi, né lo farà in futuro, di rinfrescare queste loro pareti con una mano di pittura, per restituirgli un po’ di dignità. Fino a quando continuerà questo sfacelo? Sicuramente fino al giorno del definitivo collasso.
Frequentavo la prima media al collegio di San Giovanni Battista de la Salle, quando un mattino Fratel Valentino entrò in classe e ci annunciò che il corpo insegnanti e Padre Zenone avevano concordato un piano per portare le tre classi a Nefasit per poter poi salire fino alla vetta del Monte Bizen (mt. 2460) e visitare così l’antico monastero fondato da San Filippo, dove i monaci del convento avevano riscritto su pergamena la Sacra Bibbia, pensate una Bibbia scritta su pergamena talmente pesante da essere trasportata a dorso di mulo. Superfluo dire che la proposta fu accolta con il massimo entusiasmo da parte nostra, e la cosa era maggiormente interessante perché avremmo fatto il viaggio in treno. Sicuramente sarebbe stata una esperienza unica per molti di noi, unica nel suo genere, in quanto quasi nessuno di noi aveva mai affrontato un viaggio in treno.
La mattina del giorno fatidico, molto in anticipo sull’ora stabilita, molti di noi erano già rumorosamente presenti, alta era la nostra eccitazione. Ricordo che la maggior parte era munito del “tascapane” ricordo di guerra, del papà, dello zio o di un fratello più grande. Gli zainetti erano ancora ben lungi da arrivare. Qualcuno aveva pure, messa a tracolla, la classica borraccia di allumino foderata con panno verde.
Una volta tutti a bordo, fischio della locomotiva, si parte. Diversi fra noi (i più grandicelli) si accomodarono con grande prosopopea accanto al finestrino aperto. La loro non fu una scelta oculata, per cui all’entrata della prima galleria vennero
investiti dal fumo che la locomotiva eruttava in maniera copiosa. Qualcuno si precipitò a chiudere il vetro, qualcun altro scappò verso il centro del vagone tossendo come un tubercoloso indomabile fumatore di sigari o pipa. Qualcuno si
sentì male, e a questi provvide il buon padre Zenone somministrando loro un po’ di “Acqua Benedetta” che poi si scoprì essere grappa. Per cui si assistette ad una grossa epidemia di sofferenti che fecero ricorso ai benefici effetti di quell’acqua
miracolosa.
Arrivati che fummo a Nefasit, alcuni di noi più che studenti in visita sembravamo gli aiutanti in seconda della cooperativa degli spazzacamini con la faccia nera e i capelli pieni di fuliggine. Ma chi ci faceva caso, grande era la nostra eccitazione, che fu messa a dura prova di mano in mano che ci inerpicavamo per i sentieri che ci condussero fino vetta del Monte Bizen. Venimmo accolti, senza troppo entusiasmo dall’Abuna del convento che ci fece visitare il monastero, raccontandocene la storia e la quotidianità della vita dei monaci. Ad una certa ora della mattinata vedemmo arrivare un mulo che ci portò le cibarie, un paio di panini imbottiti a testa e alcuni fiaschi (ex vino Chianti) di acqua.
Dopo lo spuntino, ci venne impartito l’ordine di scendere a valle con la raccomandazione di fare attenzione nell’affrontare i sentieri in discesa a non farci male. Raduno in stazione e altro treno per tornare a casa. Se quando arrivammo a Nefasit sembravamo degli aiutanti spazzacamini, scesi alla stazione di Asmara, non c’era dubbio alcuno, eravamo in tutto e per tutto gli spazzacamini; ciò malgrado non avevamo perso l’entusiasmo e la gioia che la visita ci aveva procurato. E al ritorno niente”Acqua Benedetta” Ce l’eravamo tracannata tutta nel viaggio di andata. Peccato. Pop
