Ritorno a Dahlak Kebir, Vincenzo Meleca, Greco&Greco, Milano 2001 La passione di Meleca per le Dahlak (dove ha effettuato quest’anno il suo decimo viaggio) iniziò con la lettura di un libro, “Dahlak” di Gianni Roghi, il mitico subacqueo ed esploratore che partecipò nel 1952/53 col Formica alla Spedizione Nazionale Subacquea nel Mar Rosso organizzata e diretta da Bruno Vailati (documentata anche da Folco Quilici col famoso film e il libro “Sesto Continente”). Il primo viaggio di Meleca fu infatti organizzato nel 1992/93, nel quarantennale della spedizione; vi ritornò per la sesta volta nel 2003, in occasione del cinquantenario, per porre a Massaua, nei pressi dell’Hotel Dahlak, nel luogo dove si era ormeggiato il Formica, una targa-ricordo della spedizione. ![]() La targa apposta a cura dell’Amministrazione Comunale di Milano su sollecitazione di Meleca, a Massaua ![]() Vincenzo Meleca (a destra) al momento dell’inaugurazione della targa dedicata alla spedizione del “Formica” L’Autore ci racconta, con stile fresco e spesso scanzonato, le esperienze vissute durante alcuni dei suoi vari itinerari attraverso quello splendido arcipelago del Mar Rosso. Quelle isole hanno forse i più bei fondali del mondo, con una fauna ittica di una varietà e ricchezza assolutamente inimmaginabili. Con i pesci Meleca, esperto di mare, interagisce, chiacchiera, si confronta. Non mancano momenti di denuncia: straziante la scena delle tante carcasse di pescecani abbandonate sul fondo, private delle pinne, notoriamente destinate al mercato orientale. Ma complessivamente il tono del libro è decisamente brillante: acute e divertenti le osservazioni sui compagni di viaggio e sull’equipaggio, appassionanti le avventure marine, sorprendenti certi personaggi incontrati sulle isole. Non è però un libro solo per appassionati di fondali, ma anche per gli interessati alla Storia militare: nelle Dahlak sono state infatti presenti basi navali e batterie sia durante la recente guerra contro l’Etiopia, sia durante la 2a guerra mondiale. Ancora oggi è possibile sorprendersi, ad esempio, nello scovare, ancora ben conservati nonostante la salsedine, pezzi d’artiglieria da 120/45 della OTO del 1937 e 1938, che “puntano le quattro canne verso occidente, minacciando inutilmente un nemico che non c’è più” (forse, ipotizza Meleca, gli impianti recuperati dai CT Nullo e Leone, oppure quelli destinati a riarmare la nave coloniale Eritrea) o nel fare snorkelling sull’affiorante relitto dell’Urania, autoaffondatasi (insieme a tante altre navi italiane), nel 1941. L’Autore, che di Storia militare è appassionato, non perde occasione di approfondire questi aspetti, ogni volta che una piazzola per batteria, un proiettile arrugginito, un muretto a secco dietro cui arrugginiscono decine di scatolette di antichi ranci, gliene danno l’occasione. Il libro è riccamente illustrato con foto scattate dallo stesso Meleca (che è pure ottimo fotografo, anche se in questo caso la maggior parte delle immagini sembra destinata più alla documentazione del racconto che alla resa artistica) e con belle tavole a colori, di Paolo Lietti, delle specie ittiche più diffuse nell’arcipelago. Suggestiva l’appassionata prefazione di Enzo Majorca. |