Vincenzo Meleca
Durante gli anni Venti e Trenta del secolo scorso, in occasione della competizione internazionale che vedeva contrapposte Francia, Gran Bretagna ed Italia nel Mar Rosso Meridionale, nel Corno d’Africa e nella penisola arabica, vi fu un episodio particolare, oramai pressochè del tutto dimenticato: il tentativo italiano di controllare entrambe le sponde dell’accesso meridionale al Mar Rosso, facendo così diventare lo stretto di Stretto di Bāb el-Mandeb[1] (in arabo: ﺑﺎﺏ ﺍﻟﻤﻨﺪﺏ, Bāb al-Mandab) una sorta di secondo canale di Suez, questa volta però un canale del tutto naturale.
Da quell’importantissimo braccio di mare, che mette in comunicazione il Mar Rosso con l’Oceano Indiano e con il Golfo di Aden, transitavano -e transitano tuttora- quotidianamente decine e decine di navi mercantili e passeggeri con rotta nord, verso i porti del Mar Mediterraneo e dell’Oceano Atlantico settentrionale o con rotta sud, verso quelli dell’Oceano Indiano e dell’Oceano Pacifico. Già alla fine dell’Ottocento e, successivamente, subito dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, erano presenti militarmente nell’area: la Gran Bretagna, sia sulla sponda araba, con la munita base navale di Aden, sia su quella africana, con il porto somalo di Berbera; la Francia con la base di Gibuti; e l’Italia, a Massaua ed Assab. Le basi francesi ed italiane erano però presenti soltanto dalla parte africana.
Mussolini, già poco tempo dopo essere andato al potere, aveva cominciato a pensare di mettere piede in quella parte della penisola arabica prospiciente la costa meridionale della colonia eritrea ed appartenente, ufficialmente dal 1926, ma di fatto da 1918, al Regno dello Yemen, Stato che, è bene precisarlo subito, era soltanto una porzione del territorio dello Yemen attuale[2]. L’area più meridionale era all’epoca suddivisa in vari sultanati, emirati e sceiccati, quasi tutti sotto protettorato della Gran Bretagna, che inoltre possedeva sia la colonia di Aden sia l’isolotto di Perim, posto proprio nel bel mezzo dello Stretto di Bab el Mandeb

Nella cartina si possono notare sulla costa africana i porti di Assab (in alto), Gibuti (a metà) e Berbera (in basso), nonchè, sulla costa arabica, il porto di Aden (in alto a destra). Notare i confini che separavano l’Eritrea da Gibuti, in Africa e il Regno dello Yemen dai territori controllati dalla Gran Bretagna
Per evitare uno scontro diretto con quella che era, all’epoca una delle principali potenze mondiali e con la quale i rapporti erano tutto sommato buoni (si collaborava in Somalia contro il fondamentalismo islamico e la tratta degli schiavi), venne deciso di attuare una strategia “soft”, puntando inizialmente ad una penetrazione di tipo soltanto commerciale. Fu così affidato al governatore dell’Eritrea Jacopo Gasparini[3] l’incarico di stabilire e rafforzare i rapporti diplomatici con lo Yemen e con il suo sovrano, l’Imam Yahya Muhammad Hamid ed-Din.
Va annotato che, contemporaneamente ai contatti con il re dello Yemen, Gasparini cercava di stabilire buoni rapporti anche con l’emiro Sayyid Ali ibn Muhammad al-Idrisi al-Hasani, re di Asir, ma il suo tentativo venne frustrato dall’invasione saudita del 1930, che mise fine all’esistenza di quello piccolo Stato.
Un primo, concreto ed importante risultato della politica di Gasparini fu raggiunto con la stipula, il 2 settembre 1926, del Trattato di amicizia e di relazioni economiche fra l’Italia e lo Yemen, con durata decennale. Il Trattato, entrato in vigore il 22 dicembre di quello stesso anno, ebbe due importanti risultati: per il Governo italiano, la possibilità di ottenere petrolio greggio e di esportare prodotti meccanici, manufatti e benzina raffinata nella vicina Eritrea, nonché, evidentemente, l’instaurazione di un rapporto formale con il Governo Yemenita; per lo Yemen, il riconoscimento, per la prima volta in un atto internazionale, della sua piena indipendenza.

Jacopo Gasparini
Per ufficializzare e consolidare i rapporti con lo Yemen, il figlio dell’imam Yahya, Seif al-islam Mohamed Ben Yahya el-Husayn, fu invitato in Italia, dove, nel giugno 1927, venne ricevuto in visita ufficiale dal re e da Mussolini.
Al saluto rivoltogli da sua altezza reale il principe Seif el Islam Mohamed ben Yahya, figlio secondogenito del re dello Yemen e capo della missione, il presidente del consiglio risponde con il breve ma appezzato discorso discorso “L’amicizia fra l’Italia e lo Yemen”[4].
Nell’occasione, puntando l’Italia a realizzare possibili vendite di armamenti pesanti, il principe assistette, prima, ad esercitazioni militari con l’impiego di carri armati nel campo di Tor di Quinto, visitando successivamente le acciaierie di Terni, dove venivano prodotti anche pezzi di artiglieria per uso navale e terrestre, e quindi l’aeroporto militare di Roma-Ciampino, dove ebbe modo di esaminare alcuni esemplari di nostri aerei da caccia e da bombardamento

Mussolini a Villa Torlonia con il principe yemenita Seif el Islam Mohamed Ben Yahya, il 28 giugno 1926
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Nei mesi ed anni successivi crebbero non solo i rapporti commerciali (con l’importazione da parte italiana di prodotti alimentari -in particolare, caffè e spezie- e preziosi -come perle ed ambra-) e le esportazioni in Yemen (in particolare, di automezzi, macchinari e benzina raffinata), ma anche quelli organizzativi nel campo delle comunicazioni (con la creazione di due stazioni radio nei porti di Hodeidah e Mokha e di due stazioni telegrafiche a Sana’a e Mokha) e della sanità, con la creazione di un ambulatorio medico nella capitale, con personale italiano, proveniente in buona parte dalla sanità militare[5].
Varie furono inoltre le iniziative commerciali italo-yemenite, dalla costituzione, nel 1931, della Societa Anonima di Navigazione Eritrea (SANE), una compagnia di navigazione, con sede sociale a Massaua, che avrebbe dovuto collegare i porti eritrei con quello yemenita di Hodeidah, favorendo lo sviluppo del commercio nel Mar Rosso Meridionale e nel Golfo di Aden, fino alle coste somale dell’Oceano Indiano[6], alla creazione di una banca italo-yemenita, dalla costruzione di una strada da Hodeidah a Sana’a alla costituzione di una società per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi.

Il mercantile Lago Zuai della Societa Anonima di Navigazione Eritrea (SANE)
Nello stesso periodo si incrementarono anche i contatti militari, con la vendita di armi (soprattutto fucili ed artiglierie di preda bellica della Prima Guerra mondiale) e relative munizioni alle truppe dell’imam, la costruzione di una fabbrica per la produzione di munizioni e la disponbilità italiana ad addestrare in Italia alcuni aspiranti piloti yemeniti, per non parlare della creazione sulla costa yemenita del Mar Rosso di una sede (sotto copertura della filiale di una società per l’estrazione di fosfati, la Kosseir, da tempo operante sulla costa egiziana) per i Servizi Informazioni Militari (SIM) e relativa creazione di una rete di informatori[7].
Non è azzardato dire che si stavano gettando le basi per creare una vera e propria alleanza o, più probabilmente, visti i tempi, una sorta di protettorato.
La Gran Bretagna osservava però con molta preoccupazione le mosse italiane nella penisola arabica, anche perchè in quegli stessi anni l’Italia aveva contatti molto interessanti con Abd al-Azīz, Re del Ḥijāz, poi Re dell’Arabia Saudita, tesi ad ottenere la cessione delle isole Farasan[8], piccolo arcipelago situato ad una cinquantina di chilometri al largo della costa araba, ad una latitudine poco più a nord dell’arcipelago eritreo delle Dahlak.
Per meglio comprendere le mire italiane, nel gennaio 1927 vi furono degli incontri bilaterali[9] che non soddisfecero l’ambasciatore britannico in Italia, Sir Ronald Graham, tanto che esternò al Foreign Office la sua preoccupazione, affermando che Mussolini stava cercando di creare nel Mar Rosso meridionale “un nuovo canale di Suez”, sotto controllo italiano.
In effetti, sembra proprio che il disegno di Mussolini fosse quello di riuscire a controllare, assieme a Gran Bretagna e Francia, soprattutto il traffico navale diretto a nord, verso il Mar Mediterraneo.
Tra la fine degli anni Venti e la prima metà degli anni Trenta del secolo scorso i rapporti italiani con lo Yemen ebbero però una serie di intoppi. All’attivismo di Gasparini si sostituì infatti la prudenza del nuovo Governatore dell’Eritrea, Corrado Zoli, forse più interessato alle esplorazioni geografiche in Africa settentrionale che non a perseguire quell’obiettivo strategico che era nella mente di Gasparini. Riccardo Astuto di Lucchese (o Lucchesi), che subentrato a Zoli nel 1930, riprese la politica di Gasparini, ma nel frattempo erano cresciuti gli attriti con la Gran Bretagna.

Corrado Zoli Riccardo Astuto di Lucchese
Le preoccupazioni inglesi erano infatti cresciute, sia, ad esempio per il forte sostegno italiano alle rivendicazioni yemenite sui territori di Asir, Jizan et Najran, ritenute invece propri dall’Arabia Saudita, sia per la frase pronunciata da Mussolini a Bari il 6 settembre 1934, in occasione dell’inaugurazione della quinta Fiera del Levante: “Io dico a tutti e particolarmente ai popoli dell’Oriente, che è così vicino a noi e che noi conosciamo, con i quali abbiamo avuto contatti per tanti secoli, io dico: credete nella volontà di collaborazione dell’Italia fascista, lavorate con noi, scambiamoci le merci e le idee, vediamo con lo sforzo solidale di tutti, vicini e lontani, se sia possibile uscire da questa depressione che attanaglia gli spiriti e mortifica la vita.”
Va inquadrato in questo quadro anche l’esplosione nel 1933, a Hodeidah, di un deposito di armi italiane, dovuta probabilmente ad un’azione di agenti dei servizi segreti britannici.
Un segnale in controtendenza fu l’accordo italo-francese del 7 gennaio 1935[10], firmato da Mussolini e Laval, in cui l’Italia ottenne alcune concessioni territoriali in Libia e, soprattutto, in Eritrea, con la cessione di un tratto di costa, del villaggio di Raheita e dell’isola di Dumerrah dalla Somalia francese alla Colonia eritrea.
Se i rapporti tra Gran Bretagna e Italia si guastarono definitivamente con l’aggressione all’Etiopia, quelli con lo Yemen si mantennero invece solidi, tanto che il re yemenita non solo si rifiutò di aderire alle sanzioni imposte da Londra all’Italia ma fornì alle truppe italiane stanziate in Eritrea i diecimila cammelli, con tanto di cammellieri, che furono importanti per la logistica dei trasporti militari durante il conflitto.
Nel 1936 il trattato d’amicizia tra Italia e Yemen fu prima prolungato fino al 1937[11] e quindi, il 4 settembre 1937, rinnovato per la durata di 25 anni, fino alla fine del 1961[12]. In occasione del prolungamento dell’accordo, l’imam Yahya pronunciò un discorso che dava l’idea dell’importanza che attribuiva ai rapporti con l’Italia, discorso che si concludeva con queste parole: “Siamo certi che questa fortunata politica fondamentale, che l’E.V. (Eccellenza Vostra, riferendosi a Mussolini, N.d.A.) svolge con quella saggezza e quell’alta competenza che tanto Vi distingue, è necessaria per la grandezza d’Italia ed ha già cattivato il cuore della gente islamica all’amicizia dell’Italia. Così essa avrà la generale gratitudine di tutti i mussulmani e sarà benedetta da Dio per la felicità e la prosperità di entrambe le parti”.
Interessante la risposta che Mussolini diede al giornalista siriano Teyssir Zabian El Keylani, proprietario e direttore del giornale El Gherirch di Damasco, che lo intervistò durante il ricevimento dei giornalisti esteri al Palazzo del Governo di Tripoli. L’intervista, pubblicata nel giornale di Damasco il 23 marzo 1937 contiene una frase importante, sia per meglio comprendere l’atteggiamento italiano verso il popoli arabi, sia, in particolare, per valutare l’importanza che Mussolini attribuiva ai rapporti con lo Yemen. Alla terza domanda, riguardante le pretese mire italiane sullo Yemen, il Duce rispose di essere sorpreso “che si pensi di attribuire all’Italia mire sullo Yemen, paese col quale l’Italia è legata da un patto di amicizia”, soggiungendo poi “ Il nostro rispetto dell’indipendenza e dell’integrità di questo paese, come del resto degli altri paesi arabi, è assoluto. Vi prego di dare la massima diffusione nello Yemen e in tutti i paesi arabi a tale mia dichiarazione che è categorica.”.
Quattro anni dopo l’Italia entrò in guerra -con l’esito che tutti noi sappiamo- e finì così definitivamente, anche il sogno di un nuovo canale di Suez sotto controllo italiano, sogno che, forse, anche gli yemeniti cullarono per qualche anno.
Per chiudere queste note ricordando quanto fossero buoni i rapporti tra Italia e Yemen, mi piace ricordare cosa accadde quando Amedeo Guillet, ricercato dagli inglesi, dovette abbandonare l’Eritrea, rifugiandosi sotto il falso nome di Ahmed Abdallah proprio nello Yemen.
Lì, non avendo voluto dare il proprio vero nome, finì in carcere con l’accusa di essere -ironia della sorte!- una spia degli inglesi. I servizi segreti britannici avevano però saputo della sua cattura e ne chiesero l’estradizione. Venuto a conoscenza della vicenda, il sovrano yemenita, l’Imam Yahya, lo fece condurre presso la sua residenza e, dopo essersi fatto raccontare la sua storia, non solo respinse le richieste inglesi ma gli affidò il comando della sua guardia personale fino al giugno 1943, quando Guillet riuscì a ritornare in patria. Finita la guerra, nel 1954 fu nominato incaricato d’affari nello Yemen, dove il figlio del vecchio Imam lo accolse calorosamente dicendogli “Ahmed Abdallah, finalmente sei tornato a casa!”.
Per chi vuole approfondire.
John Baldry, Anglo-Italian Rivalry in Yemen and ʿAsīr 1900-1934, in Die Welt des Islams, New Series, Vol. 17, Issue 1/4 (1976 – 1977), pp. 155-193
Gianpiero Carocci, La politica estera dell’Italia fascista (1925-1928), Laterza, 1969
Giuseppe Conti, Una guerra segreta. Il SIM nel secondo conflitto mondiale, Il Mulino, 2009.
Enrico De Leone, Le relazioni italo-yemenite negli ultimi ottant’anni, CEDAM, 1956
Massimiliano Fiore, Anglo-Italian Relations in the Middle East, 1922–1940, Routledge, 2010
Virgilio Ilari, Italy on the Rimland. Storia militare di una penisola eurasiatica – tomo II, Suez, Nadirmedia, 2019
Giancarlo Mazzuca e Gianmarco Walch, Mussolini e i musulmani, Mondadori, 2017
Andrea Vento, In silenzio gioite e soffrite. Storia dei servizi segreti italiani dal Risorgimento alla guerra fredda, Il saggiatore, 2010.
[1] Il nome dello stretto deriva dalle voci arabe bāb “porta” e mandab (“luogo del lamento funebre”) e viene spesso tradotto in italiano come “Porta delle lacrime” per via delle innumerevoli navi naufragate in quell’angusto braccio di mare che separa lo Yemen e il resto dell’Arabia dall’Africa. Nel punto più stretto il Bab el-Mandeb ha una larghezza complessiva di circa 30 km e separa lo Yemen (Ras Menheli, sulla la penisoletta di Sheikh Sa‛īd) da Gibuti (Ras Siyyan). Nello stretto si trova l’isoletta vulcanica di Perim, che divide il canale in due sezioni di ampiezza notevolmente differente. Il canale più piccolo, quello orientale, è detto Bab Iskander (“Porta di Alessandro”) ed è largo circa 3 km e ha una profondità massima di 16 braccia (30 m). Il più vasto canale occidentale, che è la sezione effettivamente utilizzata per il transito delle navi, viene chiamato Dact el-Mayun (Daqqat al-Māyyūn), e ha una larghezza di circa 25 km e una profondità massima di 170 braccia (310 m).
[2] L’Attuale Stato dello Yemen è frutto della riunificazione dei due Stati, la Repubblica Araba dello Yemen, a nord e la Repubblica Democratica Popolare dello Yemen, a sud, avvenuta nel 1990, anche in conseguenza della disgregazione dell’Unione Sovietica, che esercitava una forte influenza su quest’ultimo Stato.
[3] Jacopo Gasparini (Volpago del Montello, 23 marzo 1879 – Asmara, 16 maggio 1941) fu Governatore d’Eritrea dal 1923 al 1928, Ambasciatore nello Yemen e reggente in Somalia. Si distinse in particolare nella ricostruzione di Massaua, colpita nel 1921 da un forte terremoto, nella bonifica di estesi territori nella zona di Tessenei e, per quel che riguarda le presenti note, nelle trattative fra il sovrano dello Yemen, Imam Yahyà ed il Governo italiano.
[4] Il testo del discorso è consultabile su http://www.adamoli.org/benito-mussolini/pag0403-01.htm
[5] Tra i medici civili, segnaliamo il medico personale dell’imam, Cessare Ansaldi (che scrisse “Il Yemen nella storia e nella leggenda”, uno dei libri più interessanti sulla storia, i miti e i costumi dello Yemen), Lamberto Cicconi, Tommaso Sarnelli, Mario Livadiotti. Tra quelli militari ricordiamo in particolare il maggiore medico Emilio Dubbiosi, diventato amico e confidente di Yahya. Dubbiosi, dal 1926 al 1938, fu il “residente” locale del SIM.
[6] La costruzione di alcun mercantili di piccolo tonnellaggio per la SANE fu affidata ai cantieri Tosi di Taranto. La costruzione andò a rilento e soltanto nel 1939 furono varate la Lago Zuai e la Lago Tana. Entrambe queste navi però non giunsero mai in Mar Rosso e, con l’entrata in guerra dell’Italia, furono requisite dalla Regia Marina, che le impiegò come incrociatori ausiliari.
[7] Tra questi, vi furono vari medici, come Cesare Ansaldi (che scrisse “Il Yemen nella storia e nella leggenda”, forse il più bello sulla storia, i miti e i costumi dello Yemen), Lamberto Cicconi, Tommaso Sarnelli, Mario Livadiotti, ma anche alcuni medici della sanità militare. Ricordiamo in particolare il maggiore medico Emilio Dubbiosi, diventato amico e confidente di Yahya, che, dal 1926 al 1938, fu il “residente” locale del SIM.
[8] Le Farasan sono un piccolo arcipelago situato ad una cinquantina di chilometri al largo della costa araba e ad una latitudine poco più settentrionale rispetto all’arcipelago eritreo delle Dahlak.
[9] “Anglo-Italian Conversations Regarding Red Sea Interests”, (File number: L/P&S/10/1175 File 714/1926 Pt 2-4 582ff , in Regional Relations and Boundaries: Asir, Yemen and the Red Sea, 1919-1934) consultabile su http://www.idcpublishers.com/ead/dsc.php?c01=bi.05.05&faid=370faid.xml
[10] Trattato fra L’Italia e la Francia, del 7 gennaio 1935, per regolare i loro interessi in Africa, ratificato con Legge 13 giugno 1935, n. 1187 (G.U. n. 160 dell’11 luglio 1935)
[11] Accordo italo-yemenita inteso a prorogare al novembre 1937 il trattato di amicizia e di relazioni economiche, concluso in Sanaa tra l’Italia e lo Yemen il 2 settembre 1936, ratificato dall’Italia con Regio Decreto Legge 15 dicembre 1936 n. 2390 (G.U. n. 33 del 4 febbraio 1937)
[12] Trattato ratificato con Legge 8 dicembre 1961, n. 1530 – Ratifica ed esecuzione del Protocollo aggiuntivo al Trattato di amicizia e di relazioni economiche stipulato tra l’Italia e lo Yemen in Sanaa il 4 settembre 1937, concluso in Roma il 5 ottobre 1959. (GU n.33 del 6 febbraio 1962)