Alberto Vascon, 7 giugno 2005
Fammi la carità, dammi uno solo dei tuoi capelli
onde io possa cucirmi le palpebre
e conservare, non vedendo altre donne,
eterna negli occhi
la visione della tua bellezza
(da un canto d’amore abissino)
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Chi ha le mani,
non apre le porte a spallate.
Il vagabondo ha fatto male!
La brutta non si leva ignuda.
Ha fatto dunque male la bella
che ignuda si è offerta al valoroso?
(da una poesia oromo)
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Dio ha fatto quattro grandi castighi:
ha fatto la morte, l’inferno, l’amore e la separazione.
(da un canto eritreo)
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Elefante, o vecchio sgraziato,
vecchia vacca di bue saio,
scioccone dalle lunghe orecchie!
Somigli a una decrepita rugosa
che mormorando si adira.
(da una poesia di guerra abissina)
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Fammi la carità, dammi uno solo dei tuoi capelli
onde io possa cucirmi le palpebre
e conservare, non vedendo altre donne,
eterna negli occhi
la visione della tua bellezza
(da una canzone d’amore abissina)
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Ieri sera e stanotte, in sogno,
la trave si era rotta ed io ero caduto in acqua;
la trave eri tu, l’acqua il mio pianto,
perché‚ te ne sei andato, amico mio?
(poesia abissina)
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Il cinghiale perché mai scava con le zanne
se almeno una volta non grugnisce di gioia?
Il figlio dei prodi perché mai é nato,
se almeno una volta non scaglia la lancia?
(da una poesia di guerra oromo)
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Io amo Dio che ha fatto i sogni
Che‚ se non ho potuto star teco in realtà
Ti ho abbracciata nei sogni miei.
(da una antica poesia abissina)
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Io sogno, la testa mi sanguina:
forse la ungerò di burro.
Io sogno, salgo sull’albero:
forse avrò un mio cavallo.
Io sogno, la schiena mi sanguina,
forse mi farai vestire il mantello di pelle,
forse mi farai vestire il camice di seta,
forse ti leverai in piedi per parlarmi.
(canto del sogno del cacciatore di elefanti)
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La povertà è la massima peste,
entra nei fianchi,
curva le vertebre;
riveste di cenci,
trasforma in sciocchi,
fa restare le parole in petto;
accorcia gli uomini alti,
annulla quelli già corti.
(canto di mercanti eritrei in carovana)
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Lo champagne ai capi,
ai poveri il grano,
agli ascari il tecc,
ai preti il vino!
Il Negus ha la corona,
i ras le decorazioni,
e per me la sola regina dei fiori.
(canto d’amore abissino)
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L’ombra che ti dette riposo
l’acqua che ti dissetò
sembrano ancora impregnate del tuo profumo.
(da una canzone d’amore abissina)
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Quando un’orfana piange, nessuno le dice
vieni, taci, asciugati le lacrime:
le si chiudono le porte in faccia
e le tenebre piombano sulla derelitta.
(da un antico canto funebre eritreo)
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Rumorosi fucili fabbricano,
piombo da sparare apprestano;
chi li ha fatti è l’europeo,
che per molto argento è superbo,
che molta ricchezza divora.
(da una canzone abissina)
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Se io fossi un vitello
restio, ma di bell’aspetto
il mercante mi acquisterebbe;
comprerebbe e mi sgozzerebbe,
la mia pelle distenderebbe,
al mercato la porterebbe.
La brutta invano mi contratterebbe,
la bella mi comprerebbe.
Per me macinerebbe profumi.
E passerei la notte stretto su di lei,
passerei il giorno avvolto intorno a lei.
Il marito direbbe: è cosa morta!
Io invece avrei vissuto il mio sogno d’amore.
(poesia d’amore abissina)
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Se io ti rapisco, o donna, si dirà: il ladro,
al cielo ha preso la stella, e alla terra il fiore.
(da un canto nuziale eritreo)