Laggiù, a Magdala, è echeggiato un grido
È morto un uomo che non aveva niente della donna
Avete visto, laggiù, morire il leone?
Egli considerò una vergogna essere ucciso dalla mano di un uomo!
dal lamento per la morte di Teodoro[1]
Alcuni di voi si chiederanno perché torno a scrivere di Teodoro, Negus dell’Etiopia dal 1855 al 1868[2]. La risposta è più semplice di quanto si possa immaginare: la figura di Teodoro affascina e incuriosisce, ripugna e attrae, terrorizza e domina, anche se la sua vita non è stata certo un esempio di coerenza e tranquillità.
Leggendo ciò che hanno scritto i cronisti del suo tempo e gli storici di oggi, si evidenziano a prima vista dei disturbi comportamentali di Teodoro, di non facile interpretazione, anche se nasce spontaneo il sospetto che ci si trovi di fronte a episodi di vera e propria psicosi. Se ciò fosse vero, Teodoro dovrebbe essere collocato in quella vasta schiera di malati di mente che purtroppo in alcuni casi hanno avuto o hanno ancora in mano il destino di interi popoli.
Le storie di questi uomini che hanno raggiunto le massime cariche direttive sfruttando l’intelligenza ed il terrore interessano i medici, che sentono la necessità di porre, in tutti casi, una diagnosi: questa, anche se postuma, potrebbe aiutare a fare chiarezza; infatti fornirebbe la possibilità di comprendere e paragonare le esistenze di tutti quei regnanti o capi di Stato che hanno provocato, a causa della loro pazzia, disastri, ecatombe e immani sofferenze a intere generazioni. Solo la verità storica può permettere in tempi successivi di riconoscere la follia di tali personaggi e di poter favorire la prevenzione di drammi causati da altri simili individui.
Ciò non toglie che a Teodoro, malgrado tutto, vadano riconosciuti alcuni meriti politici non indifferenti, e ciò è in armonia con il comportamento di questi soggetti caratterizzati da alternati aspetti positivi e negativi del loro agire, il che alimenta il vasto capitolo del genio e follia. Come medico cercherò quindi di valutare la personalità di Teodoro e cercare di capire se si possa evidenziare una patologia vera e propria che possa spiegare i comportamenti di un personaggio quanto mai emblematico e comprendere come e perché i suoi sudditi l’abbiano in buona parte osannato.
Sono curioso, tra l’altro, di sapere se sia possibile apprendere, da chi gli è vissuto vicino o da chi scrisse su di lui, se Teodoro avesse conquistato il potere per i suoi meriti personali, per il suo coraggio e per una fede cieca nell’avvenire, per il suo disprezzo della ricchezza e del lusso, per la munifica riconoscenza verso i sudditi fedeli, oppure instaurando un regime di terrore.
Disegni dell’epoca mettono in risalto la sua bellezza, il fisico scolpito e i lineamenti del volto delicatissimi, acconciato sempre con grazia e con indosso abiti leggeri, ma mai eleganti.
Pochi gioielli accentuavano il suo aspetto signorile nettamente distinto e superiore a tutti gli uomini della sua corte. Se vogliamo parlare di questo Negus, non possiamo ignorare che Teodoro è stato senza dubbio un uomo dalla personalità fortissima e originale, indiscutibilmente superiore di aspetto fisico, modi di fare e capacità regali rispetto a tanti altri negus che l’hanno preceduto o seguito sul trono del Leone di Giuda.
Teodoro ha ispirato non solo innumerevoli poeti estemporanei del suo paese a cantarne le gesta, ma anche molti scrittori europei si sono cimentati a descrivere con enfasi la vita avventurosa di questo monarca; ricordiamo uno per tutti il dramma di Barrière, Teodoro, che nel 1868 riportò un grandioso successo al teatro Châtelet di Parigi, e gli scritti di Guglielmo Lejan.
La Zemene Mesafìnt, l’Era di Principi
La Zemene Mesafìnt fu un periodo della storia d’Etiopia compreso fra la metà del XVIII secolo e il 1855, in cui il paese fu teatro di una grande instabilità politica e di frequenti conflitti, seguiti alla deposizione di Yoas I, nipote dell’Imperatrice Mentuàb, il 7 maggio 1769 da parte di Ras Sehùl.
Il regno di Gondar, fondata nel 1632 dall’imperatore Fasilidès, si dissolse in una serie di piccoli stati indipendenti: Beghemedìr, Goggiàm, Tigrè, Lasta, Uollo, Scioa…
A partire dal 1852, il ras del Quarà, Cassa Hailù, intraprese una grande campagna militare per sconfiggere i vari ras e riunificare l’impero: l’impresa venne completata nel 1885 con la sua incoronazione a imperatore sotto il nome di Teodoro II. Il nuovo sovrano, non appartenente alla dinastia salomonica, inaugurò un importante processo di modernizzazione dello stato etiopico.
Cassa Hailù
Ho letto versioni diverse riguardo alle sue origini: secondo alcuni era di nobile genia, altri, più credibili, sostengono una sua umile discendenza, essendo stato il padre un semplice contadino e la madre una venditrice di cosso, medicamento dell’erboristeria abissina attivo contro la tenia.
A favore della seconda ipotesi, si racconta che la madre, quando ancora Teodoro aveva pochi anni, intuì per prima le doti lungimiranti del figlio, ma non poté far nulla se non metterlo in convento, in una di quelle scuole religiose dove si formavano anche i debterà (scribi e cantori, e anche preti sconsacrati per aver commesso peccati gravi o per essersi sposati).
Molti erano considerati stregoni e ciarlatani; tuttavia la stessa madre, che aveva dato al figlio il nome di Cassa, non poteva conoscere con precisione le ambiziose e grandiose mire che il figlio esternava fin da ragazzo senza alcun ritegno,in presenza in qualsiasi persona.
Non poteva esserci un rapporto rispettoso tra i preti abissini e l’irruenza di questo allievo così particolare, tanto che il giovane Cassa non perse l’occasione, pochi anni dopo, di fuggire dal convento quando questo fu assalito e saccheggiato da banditi. Fu allora che decise di raggiungere lo zio Rafael, reggente del Quarà, che gli fece apprendere il mestiere delle armi, certamente a lui più congeniale di quello professato dai preti.
Ritengo importante sottolineare che non sono riuscito a trovare fino ad ora scritti che testimoniassero una reale abilità di questo giovane uomo nel mestiere delle armi, mentre in tanti sono d’accordo nel descrivere il suo aspetto imponente e regale con le armi in pugno.
Da come si presentava al popolo si può dedurre che in Abissinia Cassa impressionasse per la capacità e al contempo la facilità di apparire un uomo d’arme, impressioni che lo fecero emergere al seguito di vari condottieri, quali lo stesso Ras Alì nel Goggiàm. Mancano però, e lo sottolineo ancora, notizie certe sul suo coraggio negli scontri diretti, il che mi fa pensare che cercasse in ogni modo di essere giudicato solo per il suo aspetto.
Se questo fosse vero, il giovane Cassasi sarebbe quindi fatto notare solo per la straordinaria apparenza e per la magnifica figura che aveva con le armi indosso, sfruttando soprattutto la sua straordinaria bellezza che lo elevava sopra il resto della corte e gli faceva aprire l’animo e il corpo delle donne che non esitarono a fornirgli un valido appoggio per la sua ascesa nella nobiltà abissina.
Anche ora, guardando i disegni del tempo, si rimane sorpresi per la bellezza di Teodoro, straordinaria se era ritratto appena vestito di una semplice tunica, ma che diventava insuperabile e dominante se si presentava armato.
Possiamo quindi essere certi che fu la sua splendida figura ad aprirgli la strada nelle corti dei ras e la principale artefice che gli creò la fama di grande condottiero. A mio parere Cassa era sicuramente abile nello sfruttare oltre alla sua avvenenza anche la sua furbizia per introdursi nella nobiltà etiopica ma, ripeto, non sono riuscito a trovare scritti dettagliati delle sue capacità e del suo coraggio in battaglia. Fu sempre la sua avvenenza che lo fece ritrovare sotto la protezione dell’Iteghiè Menèn, madre del Negus Giovanni III e donna di grande personalità e previdenza,che lo consigliò di prendere per moglie la figlia di Ras Alì con la speranza che la giovane sposa riuscisse a calmare la sua irruenza. È certo che la figlia di ras Alì non riuscì a tenere a freno il giovane marito che si diede a eclissarsi con la scusa di condurre campagne belliche di difesa e di razzia; usò la giovane sposa solo per introdursi sempre di più a corte dove si fece largo tra nuovi amici e qualche nemico; fra questi ultimi c’era il nobile Uendiràd, un gagliardo ufficiale che si rese disponibile per tenere tranquillo Cassa a corte accanto alla giovane moglie.
Uendiràd non ebbe neppure il tempo di avvicinarsi all’intrepido Cassa perché fu subito catturato dai suoi uomini costretto a bere una dose di quella purga che preparava la madre del giovane condottiero, e quindi a Uendiràd toccò tornare a corte disonorato e gemente. Ras Alì dovette sorbire il rospo e,per proteggersi da eventuali rappresaglie da parte di Cassa, gli affidò il comando del territorio dell’Uogherà e lo insignì del titolo di deggiàcc[3].
Dopo quella facile vittoria Cassa mise in evidenza le proprie ambizioni cercando di convincere tutti gli abissini che lui rappresentava il garante dell’integrità territoriale etiopica. Fu allora che marciò contro gli egiziani che minacciavano i confini ad ovest dell’Etiopia e non gli fu difficile respingerli, ma non sconfiggerli; infatti in alcuni scontri con gli egiziani si trovò di fronte una fucileria e un’artiglieria non numerosa, ma addestrata e disciplinata che, anche se solo di poco, lo fecero indietreggiare.
Cassa era sempre timoroso di scontrarsi frontalmente con un esercito efficiente e perciò si ritirò davanti agli egiziani e da quel momento comprese quanto valore avesse per un esercito la disciplina e la preparazione, tanto da indurlo a fare altrettanto. Tuttavia l’insuccesso temporaneo subito con gli egiziani, procurò a Cassa l’ostilità della corte e della stessa Imperatrice Menèn, che non ci pensò su più di tanto e mosse contro di lui alla testa della guardia imperiale. Cassa non si fece intimidire e sbaragliò la milizia imperiale e la stessa imperatrice fu catturata e fatta prigioniera. Per liberare la regina, Cassa pretese il perdono e la libertà, nonché una promessa di non belligeranza, e inoltre si fece concedere il dominio della ricca provincia del Tigrai: così, appena ventinovenne, ne occupò la capitale, in pratica senza alcuna fatica. I continui successi del giovane Cassa indussero i grandi feudatari a non cessare di allearsi all‘ancora potente Ras Alì che tramava per combattere lo stesso genero, allestendo una potente armata che per alcuni anni impegnò le forze di Cassa.
C’è da sottolineare che, anche in questa evenienza, Cassa si guardò bene dal farsi valere come guerriero attaccando alla maniera etiopica frontalmente il nemico. Non essendo riuscito a trovare, anche in questo frangente, documenti che descrivano il comportamento di Cassa durante le battaglie, ho confermato il sospetto che lui non si esponesse mai in prima persona e invece si guardasse bene dal cercare uno scontro aperto e definitivo che potesse essere pericoloso per la sua stessa vita. Teodoro quindi ignorò le usanze belliche abissine, ma attaccò, come era ormai solito comportarsi in battaglia, con fulminee incursioni, le ali dell’esercito nemico, impiegando drappelli condotti dai suoi luogotenenti.
Sfruttando tale tattica, sconfisse lo stesso Ali e, senza esporsi, lo batté infine duramente costringendolo a ritirarsi con un pugno di seguaci e a rifugiarsi in un amba fra le montagne del Derrà, dove rimase in esilio. Dopo di allora Cassa dominò la scena politica in Abissinia e costrinse gli altri ras ad unirsi a lui, pena terribili rappresaglie; ristabilì anche il potere religioso con l’appoggio della Abuna Salama che fu felice, in quel momento, di ristabilire un forte legame con l’uomo che appariva essere il più forte dell’Etiopia.
Ma il giovane Cassa non riusciva a mantenere un rapporto tranquillo con il Clero e quel periodo di pace durò ben poco; fra i due poteri prevalse di nuovo l’odio e la mancanza di tolleranza. Quello fu un momento che mise in luce anche i limiti e la scarsa preparazione politica di Cassa e si evidenziarono i primi sintomi di comportamento anomalo; infatti non esitò a decretare la pena di morte per tutti quegli abitanti musulmani, israeliani e pagani che rifiutassero di abbracciare il cristianesimo. Iniziarono quindi serie di fulminee e strepitose razzie vittoriose contro gli Uollo Galla, gli Scioani, e poi contro il Goggiàm e infine contro le stesse genti del Tigrai che continuavano a rifiutare il suo dominio: quest’ultima regione fu molto dura da sottomettere e le armate di Cassa subirono alcune sconfitte che lo resero più crudele e gli fecero confermare la necessità di adottare le tecniche belliche dei bianchi.
Poco tempo dopo la conquista del Tigrai, Cassa assunse ufficialmente il titolo di Negusse Neghèst e si fece consacrare re dalla Abuna Salama nella chiesa di Derasghiè Mariam nel Semièn. Prese il nome di Teodoro II per adempiere ad una profezia, secondo la quale un uomo chiamato Teodoro avrebbe riportato l’Impero etiopico al suo massimo splendore.
Teodoro II
Dal momento in cui Teodoro divenne negus, cambiò profondamente il suo modo di agire, frenando temporaneamente il suo carattere, ma non la sua bramosia e la sua incapacità di mantenere una logica continuità alle sue direttive. La sua mania di grandezza non aveva limiti: sosteneva di essere di sangue reale e di discendere direttamente da Salomone e da Alessandro Magno; anche dopo l’incoronazione, Teodoro dovette vedersela ancora con la gente del Tigrai che continuavano senza sosta a cercare di organizzarsi contro il tiranno. Teodoro adottava ormai la stessa tecnica di guerriglia: toccata e fuga e poi, sempre di sorpresa, si eclissava fino a sferrare un nuovo e repentino assalto contro un altro drappello di nemici rimasti per qualche ragione isolati. I ras erano invece abituati a grandi scontri diretti e risolutivi e la guerra con Teodoro diventava difficile con battaglie che si trascinavano a lungo senza possibilità di vittorie definitive, mentre Teodoro continuava a colpire depredando tutti i loro rifornimenti sia di alimenti che di armi.
Teodoro non si lasciava impressionare dalle imponenti armate nemiche,ma cercava in tutti i modi di rendere sempre più veloci e sicure le sue campagne; si racconta un fatto che può mettere in luce il carattere del Negus: un luogotenente dell’esercito nemico di Teodoro tradì il proprio ras facendo subire gravi rovesci alle sue armate. Quando si presentò a Teodoro per riscuotere il prezzo del suo tradimento si sentì rispondere “io diffido del servo che vende il suo padrone” e quindi lo fece arrestare e imprigionare. È da sottolineare ancora una volta come, negli anni successivi, Teodoro per un certo tempo regnò con dignità, coraggio e sapienza e mostrò doti veramente regali cercando di riformare le antiche leggi etiopiche. Proibì di mutilare i feriti e i morti dopo i combattimenti e dedicò molto del suo tempo a cercare di eliminare l’Islam dal suo impero. Rafforzò il suo potere nominando una corte nuova,scegliendo uomini da lui stesso formati al governo; cercò di rinnovare la giustizia e l’amministrazione in armonia alle tradizioni e alle consuetudini dell’antica monarchia arrivando, in alcuni casi, a spingere il popolo stesso a posare le armi e riprendere il mestiere dei loro padri; tentò così di recuperare, in alcune parti e in alcuni momenti, la tranquilla operosità dei villaggi e delle terre ripopolando la campagna e ricreando quella figura del contadino che era stata sostituita nell’ultimo secolo da bande armate e senza controllo che si facevano comprare solo con oro o con i denari.
Dal momento in cui Teodoro prese contatto con i bianchi, si hanno notizie più certe sul suo modo di governare; gli europei che lo conobbero e scrissero su di lui rimanevano così sconcertati dal suo comportamento che non riuscivano a mettere nero su bianco un giudizio sereno; due cose predominano sulle cronache giornalistiche europee inerenti a Teodoro: tutti rimavano sconcertati da come dava le sue direttive che poi, dopo poche ore, venivano del tutto contraddette; in secondo luogo destavano orrore le sue terribili punizioni contro coloro che avessero la sfortuna di apparire contrari alle sue volontà.
Chi ha scritto di Teodoro ricorda gli eccessi di ira di questo sovrano come ad esempio quella causata dall’uccisione di Plowden, un console inglese che lui aveva voluto alla sua corte. Teodoro era affezionato a Plowden e come rappresaglia fece uccidere o mutilare 2000 persone delle tribù responsabili dell’assassinio. Se da una parte queste riforme, introdotte o tentate, trovarono l’approvazione della maggior parte delle popolazioni dell’interno, d’altra parte suscitarono reazioni feroci e accesero violenti sentimenti da parte di molti nobili abissini che si vedevano espropriati di quel potere che aveva reso loro la vita facile per tanti anni:era tanto l’odio,che Teodoro dovette subire bene 11 attentati nei quali rimase sei volte ferito.
Teodoro cercò anche di mettere le mani nel campo religioso cominciando a emettere un editto nel quale imponeva ad ogni abissino di prendere una sola moglie e di consacrare l’unione matrimoniale con la benedizione sacerdotale del cristiano. Anche riguardo al matrimonio, Teodoro contraddisse le sue stesse direttive in quanto si sposò due volte.
Impose il battesimo forzato a tutti i pagani e nel contempo cercò di ridimensionare i forti poteri di quella chiesa che, almeno apparentemente, si disinteressava di politica e praticava solo opere buone.
Purtroppo per lui la Chiesa etiopica non voleva cedere nessuno dei i suoi poteri. L’Abuna aveva il controllo totale su tutto il Clero dell’impero e non tralasciava mai di ostacolare la politica imperiale. Il Clero tuttavia seguì con particolare attenzione il cambiamento di Teodoro che, dopo qualche anno di buon governo, cominciò a dare segni di instabilità mentale calpestando i suoi stessi decreti e le sue leggi, mentre pretendeva dalla corte di essere considerato come il monarca più potente del mondo. Divenne un vero e proprio despota, tanto crudele da raggiungere stadi di vera e propria paranoia,così evidente da diventare oggetto dì scherno con il soprannome di “Nerone d’Etiopia”.
In verità Teodoro divenne famoso per le torture che infliggeva a chi fosse o semplicemente apparisse un nemico da abbattere. Alcuni scritti riportano la descrizione delle torture applicate da Teodoro; secondo questi testi Teodoro faceva scorticare vivi i propri nemici o li faceva appendere per la lingua mentre altre vittime della sua collera furono crocifisse e portate in giro per le strade delle città. Una volta decise di recarsi in preghiera al convento di Madera Mariam; come era tradizione 450 debterà e preti uscirono dal convento per andare incontro al corteo reale al suono di tamburi e al passo di danza sacra. Teodoro, senza alcuna ragione apparente e, contro ogni supplica di grazia da parte dei nobili al seguito e di tanti altri preti, li fece fucilare tutti in blocco, malgrado molte delle vittime non superassero i 14 anni.
Subito dopo aver vinto ras Seiùm nello Scioa, che si era ribellato alla sua ferocia, entrò ad Ancober e fece massacrare tutti quelli che si erano rifugiati nelle chiese e fece tagliare la mano destra e il piede sinistro ad altri 500 abitanti catturati in combattimento. Quello, senza dubbio, fu un periodo nero per l’Etiopia dove la nobiltà e il Clero erano i più colpiti dalla follia di Teodoro che si scagliò perfino contro la natura; infatti fu lui che decretò, senza una ragione apparente, la fine delle piante di uva in tutto l’impero.
Ordinò la bruciatura, l’eradicazione e l’abbattimento di ogni pianta di uva esistente in quel momento; dovevano essere tante se la nobiltà e il Clero tentarono di opporsi a questa incomprensibile atrocità che colpiva chiunque non aderisse alle sue imposizioni.
Nel 1855 Teodoro fu costretto ad una campagna bellica contro gli Uollo Galla che con la Regina Uorchìt intendevano ribellarsi alla crudeltà dell’Imperatore. La campagna fu piuttosto dura: Teodoro riuscì a riconquistare tante terre e tutto il Tigrai. D’altra parte in ogni lato dell’impero risuonavano i lamenti per il dolore delle torture inflitte ai nemici che supplicavano l’Imperatore di ucciderli, per cessare di subire quelle terribili pene. Teodoro però non aveva fatto i conti con il carattere degli abissini che apparentemente sembravano accettare il potere di quel sovrano tiranno, mentre sotto sotto e con il tempo iniziarono ad organizzare un’ennesima ribellione.
Infatti il Tigrai prima e poi molte altre province cominciarono nuovamente a sollevarsi e Teodoro non riusciva più a contrastare contemporaneamente tanti nemici. Erano infatti tanti i ras che iniziarono a creare con l’alleanza un formidabile esercito per poter battere il Negus; anche il Clero si schierò contro l’Imperatore che, senza pensarci troppo fece rinchiudere l’Abuna Salama con l’accusa di avere intrattenuto illeciti rapporti con l’Imperatrice; il prelato morì distrutto nella mente e nel fisico in fondo a una prigione. È sorprendente il fatto che nessun altro missionario cattolico o protestante riuscì a farsi benvolere da Teodoro che era solito dire ”prima arrivano da noi i missionari poi i consoli e infine i soldati”. Rileggendo ora i documenti inerenti a Teodoro, stilati da cronisti o diplomatici europei, nonché da quei pochi scritti di fonte etiopica, emergono chiare manifestazioni di un disturbo mentale di questo Negus: negli ultimi anni del suo regno,non ci furono più atti, editti, imposizioni, leggi che avessero un senso logico, che seguissero una linea politica e che permettessero ai ras e al popolo di capire come agire e contenersi al volere dell’Imperatore: infatti Teodoro cadeva continuamente in contraddizione senza mai giustificare o documentare le sue decisioni. Si creò una situazione completamente diversa dai primi anni del suo impero, caratterizzati tutto sommato da un apparente buon governo; gli ultimi anni invece furono momenti terribili, mentre avrebbero dovuto mostrare la maturità dell’Imperatore.
Nel 1866 l’imperatore decise di impossessarsi dei tesori delle 44 chiese di Gondar e dei 1000 manoscritti, che aggiunse alle ricchezze già trafugate nelle precedenti guerre con i vari ras, e trasferì il tutto a Magdala, dopodiché diede fuoco a Gondar per porre fine alla sua Corte dissoluta[4].
Quando improvvisamente sparì il lato positivo del suo carattere per farsi evidente solo quello crudele e politicamente negativo, mutò anche l’aspetto comportamentale: in compenso era rimasto selvaggiamente ambizioso e orgoglioso fino a assumere atteggiamenti maniacali, da molti ritenuti veri e propri interventi del demonio. Cavalleresco alla sua maniera, crudele e intelligente, negli ultimi anni del suo regno creò attorno a sé un’atmosfera satura di tensione per le continue, imprevedibili e repentine decisioni, senza mai consultarsi con i membri della sua corte, senza mai mettere in discussione il suo operato.
I menestrelli cantando le sue gesta, affermavano che Teodoro aveva, come patrimonio e appoggio, solo il suo scudo e la sua lancia, da cui non si separava mai. Se questo era l’aspetto esteriore di Teodoro, le sue azioni erano in genere gradite agli stranieri perché almeno apparentemente rivolte a mutare il volto dell’Etiopia feudale e schiavista;per raggiungere i suoi scopi aveva però bisogno di un alleato europeo e per lui l’Inghilterra rappresentava ciò che di meglio si potesse trovare.
Sperava in una alleanza internazionale per conquistare la Terra Santa e in un aiuto per avviare l’industrializzazione del proprio paese. Ma il governo inglese non aveva questi interessi e non lo prendeva sul serio. Più che altro le ambizioni e le vicende dell’Imperatore abissino, riportate spesso dalla stampa inglese, erano pressoché ignorate dalla corte britannica, anche se questa era sempre ben vigile per gli sviluppi della propria politica estera, in particolare quella africana, non trascurando mai l’occasione di allargare il suo già smisurato impero; stranamente però il popolo inglese, a differenza del governo della Regina Vittoria, seguiva con simpatia le vicende di questo Negus e i giornali di allora scrivevano con benevolenza delle gesta di Teodoro e auspicavano un’alleanza dell’Inghilterra con l’Etiopia.
Teodoro in effetti, come abbiamo già ricordato, si diede da fare per tirare fuori l’Etiopia dal suo secolare immobilismo; cercò di abolire la schiavitù, spediva lunghe lettere ai governanti europei implorando collaborazione per poter diradare, con la loro cultura, le tenebre dell’ignoranza africana. Se i giornali dell’epoca e l’opinione pubblica inglese risposero positivamente alle richieste del galante Imperatore abissino, rimanevano però molte le difficoltà oggettive che si opponevano al raggiungimento di un’intesa tra Teodoro II e l’Inghilterra.
Le lettere ufficiali che l’Imperatore spediva alla Regina Vittoria venivano pubblicate dai giornali anglosassoni che appoggiavano le richieste di Teodoro, tanto che il governo inglese si sentì, alla fine, in dovere di fare qualcosa per l’Abissinia e cominciò a inviare in Africa tecnici e soldi, che Teodoro utilizzò, più che altro, per rafforzare la sua posizione interna. Sempre alla ricerca di denari, Teodoro non ebbe remore a espropriare terreni e tesori della Chiesa per remunerare i capi del suo esercito. Fece poi riscrive un moderno codice penale e civile e con i denari avuti dagli inglesi e diede vita ad una armata imperiale di 4000 uomini equipaggiati con fucili moderni e alcuni cannoni. Con questo ultimo riarmo riuscì a sconfiggere quei Ras ribelli che ancora non si erano sottoposti al volere imperiale. Infine, con la stessa armata si spostò a Magdala dove pose il trono dell’impero
Teodoro in verità non smise mai di sognare la vera modernizzazione del suo paese e affrontò molti altri problemi che impedivano all’Etiopia di imporsi al mondo. Si occupò del commercio e pensò di costruire una rete stradale con centro a Debra Mariam, verso Gondar, il Goggiàm e Magdala, idea mai realizzata[5].
Un ulteriore grande problema che l’Imperatore affrontò, anche se non si può essere sicuri di quanto egli lo percepisse coscientemente, fu la mancanza di una vera e propria borghesia etiopica, o anche semplicemente di una classe di funzionari colti e laici legati direttamente a lui ma i risultati migliori li ottenne dall’immigrazione in Abissinia di commercianti e tecnici di varie nazionalità. Basterebbe questo per giustificare il grande interesse che hanno sempre avuto poeti e scrittori nel raccontare la storia di Teodoro, ma è stata la sua fine a farlo conoscere al mondo intero e, specie per gli abissini, gli ultimi giorni di Teodoro vengono decantati ancora oggi come una vicenda ricca di eroismo e di coraggio.
Tutto nacque allorché Teodoro venne a sapere che in Inghilterra la Regina Vittoria era rimasta vedova del principe consorte; senza porre indugi fece scrivere ad un suo scrivano una lettera alla sovrana anglosassone nella quale esprimeva il suo cordoglio e, certo di fare una cosa gradita, richiedeva la sua mano, contraddicendosi ancora una volta sulle precedenti sue disposizioni con le quali esortava i sudditi del suo regno a sposarsi una sola volta. Non si sa se la lettera di Teodoro sia mai arrivata alla corte inglese, o se per caso andò smarrita come pure poteva essere andata dispersa una risposta degna della diplomazia europea.
Teodoro prese male quel silenzio e si sentì profondamente ferito nel suo orgoglio; colse l’occasione di vendicarsi imprigionando il console inglese Cameron appena giunto in Etiopia con tutta la sua famiglia e il suo seguito: altri europei che si trovavano in Abissinia per varie ragioni fecero la stessa fine; il Negus rinchiuse tutti i suoi prigionieri nella fortezza di Magdala, ma nei suoi spostamenti se li portava tutti appresso per dimostrare che non aveva paura di nessuno.
Per dimostrare potenza trascinava i prigionieri europei tanto incatenati da impedirne il cammino, causando loro immani sofferenze. Lasciò liberi invece i francesi fra i quali c’era un certo Guglielmo Lejan, che ho già ricordato. Teodoro lo teneva in così alta considerazione da volerlo sempre vicino: in pratica però, era anche lui come gli inglesi, impossibilitato a lasciare la fortezza di Magdala.
Con Lejan la situazione precipitò quando Teodoro voleva costringerlo a sposare una sua sorella vedova più che quarantenne: il francese, disperato, tentò la fuga che, malgrado le enormi difficoltà che la situazione presentava, gli riuscì e tornò in Francia dove scrisse un’interessante storia di questo Imperatore. Prima che la notizia della prigionia del console inglese giungesse in Inghilterra, ci volle del tempo, ma quando la Regina Vittoria venne a conoscenza del fattaccio, s’infuriò talmente che fece approvare, in men che non si dica, dal suo Parlamento un atto di guerra contro Teodoro.
Gli inglesi, tuttavia, erano perfettamente consci delle enormi difficoltà alle quali sarebbero andati incontro per trasportare, se non con gravi perdite, un esercito sull’acrocoro etiopico dove, fino ad allora, nessuno c’era mai riuscito. In quel particolare momento i britannici diedero una dimostrazione al mondo intero della loro efficienza, organizzando in una maniera epocale la guerra al Negus; di fatto loro non potevano assolutamente evidenziare una sola debolezza, in quanto nel loro immenso impero, sparso nel mondo, molti dei popoli da loro sottomessi, si sarebbero sentiti incoraggiati,da una sconfitta inglese, a tentare di liberarsi del colonialismo.
La macchina bellica della Gran Bretagna si mise subito in moto per allestire dall’India una flotta di 280 navi con a bordo 32.000 uomini di cui 13.000 erano soldati, materiale bellico facilmente trasportabile e 55.000 animali, la maggior parte muli, capaci di arrampicarsi sui monti trasportando pesi considerevoli, e 44 di elefanti; questi ultimi animali servivano per trasportare i cannoni, ma anche per impressionare gli abissini mostrando di essere capaci di addomesticare quei grandi bestioni[6].
Teodoro aveva inizialmente un esercito di 9000 uomini circa: pochi di questi, come abbiamo già ricordato, erano bene armati e addestrati al combattimento; il grosso delle forze di Teodoro era costituito da contadini e pastori che avevano lasciato la terra per unirsi al negus sperando in facili guadagni. I combattenti abissini erano in genere male armati e assolutamente ignari, a parte la guerriglia, delle moderne tecniche di combattimento, mentre la forza inglese era stata affidata al comando di Robert Napier, generale di grande carisma e valido soldato.
Dal Ras Cassai del Tigrai Napier acquistò viveri per le sue truppe e si garantì il passaggio attraverso il Tigrai. Cassai favorì l’avanzata dell’esercito inglese, e fu ricompensato quando Napier, tornato vincitore, gli lasciò un gran numero di armi e munizioni, cosa che gli permise di diventare, poi, Imperatore d’Etiopia col nome di Giovanni IV.
Quel che aiutò Napier fu comunque l’ostilità generale provata dagli etiopici verso Teodoro. Gli inglesi avevano poi un altro alleato, piovuto dal cielo: era la cavalleria galla che, accortasi della debolezza e dell’evidente stato di difficoltà di Teodoro in confronto alla grande potenza e efficienza degli inglesi che marciavano sempre compatti e per nulla contrastati, coglieva l’occasione per vendicarsi degli abissini che fino a poco prima avevano imposto loro dolorosi balzelli e umiliazioni. L’odiato nemico in quel momento stava all’interno di Magdala, pressato dalle forze inglesi: era un’occasione da non perdere; i cavalieri galla attaccavano i lati dell’armata abissina, catturavano qualche cavaliere, lo eviravano, e lo lasciavano morire dissanguato, diffondendo il terrore fra i soldati del Negus che alla prima occasione disertavano e si davano alla fuga,inseguiti dai galla che aspettavano proprio quelle diserzioni.
Teodoro aveva fatto ben poco per il suo esercito, una volta venuto a conoscenza che l’Inghilterra preparava l’invasione dell’Etiopia; fece costruire da artigiani tedeschi suoi prigionieri due enormi cannoni del peso di 70 tonnellate ciascuno, le cui smisurate dimensioni vennero subito trasmesse dai menestrelli su tutto il territorio dell’Africa orientale. Fu questo l’unico problema che all’apparenza preoccupava Napier, ma era un lieve cruccio, perché alcuni informatori lo avevano edotto sul fatto che i cannoni esistevano, ma erano talmente grossi che spostarli o farli funzionare diveniva sempre un problema serio.
Napier era convinto che Teodoro lo assalisse in uno dei tanti valichi che lui doveva obbligatoriamente superare, dove gli abissini si sarebbero trovati a loro agio, muovendosi nel proprio territorio, conoscendo tutti l luoghi adatti a un’imboscata e le vie di funga; gli abissini poi sarebbero sempre stati perfettamente forniti di cibo e acqua e, cosa non da poco, erano resistenti alle terribili malattie endemiche locali, problemi questi ultimi presenti un po’ dovunque nel territorio africano.
Napier era anche consapevole delle capacità strategiche dei condottieri abissini e del valore guerresco dei loro uomini. Teodoro tuttavia nulla aveva del condottiero né dell’uomo d’arme e difatti, man mano che l’esercito britannico, dopo essere sbarcato nei pressi di Zula, non lontano da Massaua, saliva sull’acrocoro,si ritirò definitivamente nella fortezza di Magdala con soli 5000 uomini e 26 cannoni, naturalmente trattenendo con sé tutti i prigionieri inglesi. Una volta che Napier giunse a Magdala poco distante dalla fortezza imperiale, fece fatica a frenare l’impeto dei soldati indiani e inglesi che cominciavano a percepire la debolezza del nemico.
Teodoro sparò una cannonata con uno dei due grossi cannoni, ma il cannone esplose. L’altro cannone è ancora visibile all’estremità settentrionale dell’amba, sopra la valle del Bascillò.
Era il 13 Aprile 1868 quando l’esercito inglese si schierò ai piedi della fortezza di Magdala.
Di una cosa gli inglesi furono subito certi: il Negus non aveva alcuna voglia di battersi e questa considerazione diventò chiara quando Teodoro, lungi dal voler attirare il nemico in una imboscata ai piedi della sua fortezza, resosi conto della superiorità delle forze nemiche, fece quello che lui riteneva un atto di resa dignitoso offrendo al condottiero inglese, oltre alla libertà di tutti i prigionieri europei, ben 1000 buoi e 500 montoni che in Etiopia rappresentavano un valore enorme per quei tempi.
Il generale inglese non accettò quel gesto che agli occhi di un europeo era piuttosto offensivo e rigettò le condizioni di resa di Teodoro che avrebbe voluto per sé, per la sua famiglia e per i suoi fedeli, la totale libertà. Napier pretese invece una resa totale senza cedere a nessuna richiesta del Negus. Una simile ingiunzione del britannico non poteva essere accettata da Teodoro, che radunò tutti i suoi uomini e parlò loro dichiarando la sua ferma volontà di difendersi fino alla morte e invitando chi volesse essere ricoperto di onori e di gloria a rimanere con lui mentre lasciava liberi tutti coloro che preferivano arrendersi e salvare così la propria vita; gli abissini se ne andarono tutti lasciando il loro Imperatore solo con la seconda moglie, il figlio e una quindicina di guardie che iniziarono una strenua ma impari resistenza.
Riguardo alla moglie e al figlio (Teru-Work, la seconda bella e giovane moglie col piccolo figlio Alemayo) esistono versioni differenti: una che sostiene la presenza della Regina e del Principe assieme ai prigionieri inglesi messi in salvo da Teodoro, un’altra sostiene che moglie e figlio rimasero all’interno della fortezza assieme al Negus; ritengo che la storia più probabile sia quella che parla di una lettera di raccomandazione di Teodoro a Napier nella quale implorava salva la vita e il futuro dei suoi cari e come cosa più importante richiedeva che il figlio fosse educato nelle scuole inglesi.
Rimasto solo nei resti della sua reggia, uccisi o fuggiti gli ultimi suoi guerrieri e vedendo le truppe inglesi entrare dentro la fortezza, ormai ridotta a un rudere, Teodoro decise di spararsi un colpo di pistola alla tempia con un’arma regalatagli proprio dalla stessa Regina Vittoria. Il fatto che non si fosse arreso ispirò i menestrelli a presentare Teodoro come un eroe, chiedendosi cosa avevano conquistato gli Inglesi se non un cumulo di macerie. Al riguardo è ben noto un canto abissino, riportato da Annaratone, medico e scrittore:
Che cosa hanno potuto dire gli inglesi, tornando in patria?
Che avevano prigionieri?
Teodoro era rimasto solo.
Chi lo aveva ucciso?
Teodoro era rimasto solo
Essi lo avevano trovato morto,
e lui fu tanto abile da impedire che essi
raccontassero la loro vittoria.
(Da un canto abissino)
In verità, l’assedio di Magdala da parte di Napier fu estremamente fruttuoso per gli inglesi. Infatti Teodoro, durante il suo regno aveva requisito,in tutte le chiese dell’Etiopia, considerevoli ricchezze, costituite da oggetti d’oro e d’argento, nonché tantissimi, si dice1000, antichi tomi miniati di pregevole fattura. Questa fortuna era del tutto inaspettata da parte degli inglesi che si diedero ad un vero e proprio saccheggio.
Napier fece la parte del leone non solo scegliendo i pezzi migliori, ma nei giorni successivi acquistando dagli stessi soldati quello che si erano appropriati. Alcuni sostengono che avesse con sé degli esperti del British Museum, incaricati di valutare tutto ciò che era trasportabile e di sequestrarlo per il proprio governo
Ciò che è certo è che oggi al museo di Londra c’è molto materiale della razzia di Napier, ma purtroppo solo raramente sono aperti i locali contenenti i tesori etiopici e a nulla sono valse le richieste presentate dall’Etiopia per avere indietro le opere trafugate.
Un’altra considerazione che convalida il brutale saccheggio è che il ritiro dell’esercito inglese fu meno veloce dell’andata per l’enorme carico che dovevano trasportare gli animali al ritorno.
Secondo alcuni storici, Napier si portò appresso la moglie e il figlio di Teodoro, ma la donna si ammalò durante il viaggio e i medici inglesi non riuscirono a salvarla. Anche del figlio di Teodoro, si sa poco o nulla, frequentò scuole inglesi ma non fece più parlare di sé.
Epicrisi
Se si dovesse portare in giudizio l’imperatore Teodoro in un moderno tribunale,da un lato sarebbe abbastanza agevole per un pubblico ministero sostenere che l’accusato sia stato un imperatore malvagio e un uomo di una crudeltà inaudita: quindi potrebbe ottenere facilmente da una giuria il massimo della pena. Ben poco sarebbe in grado di sostenere la difesa se non dimostrare che è stato un negus voglioso di ammodernare il suo regno inseguendo alleanze con i paesi europei onde poter importare in Etiopia la civiltà.
In ogni caso, a suo carico, non si riuscirebbe a paragonare la spaventosa quantità di nefandezze compiute durante il suo regno con le poche cose buone attuate per il suo paese ei suoi sudditi. La difesa tuttavia, sempre in un processo celebrato in un tribunale dei nostri giorni, avrebbe una carta da giocare: potrebbe richiedere al giudice che il suo assistito fosse fatto valutare da un perito medico onde poter evidenziare un possibile stato di infermità mentale. Secondo questa tesi, se Teodoro venisse giudicato incapace di intendere e volere, tutti i crimini commessi nella sua vita sarebbero stati parti di una mente malata e come tali non punibili. Cerchiamo quindi di capire meglio lo stato mentale dell’imperatore Teodoro:
- Teodoro era un paranoico.
Era convinto che dietro a molti comportamenti di chi gli stava intorno vi fossero delle vere e proprie macchinazioni contro la sua persona; ciò gli comportava stati ansiosi, rabbia, che sfociavano in comportamenti violenti e polemici, e molto spesso anche lesivi.
2) Teodoro deformava la realtà.
Gli inglesi che ebbero la possibilità di osservare Teodoro, descrissero la sua estrema volubilità che si manifestava in spazi temporali brevissimi. Ciò che decideva di sera, la mattina difficilmente lo confermava e, purtroppo nella maggior parte dei casi, le sue decisioni comportavano l’uccisione o la segregazione di un elevato numero di persone: numeri che spesso si riferivano a centinaia di uomini donne e bambini che non avevano commesso alcun reato, ma si erano soltanto trovati ad attraversare la sua strada, e lui non provava mai pietà per alcuno.
3) Teodoro era un anaffettivo.
Era, tutto sommato, un uomo privo di sentimenti, che non si affezionava mai a nessuno. Era spesso preda di scatti d’ira con relativi comportamenti aggressivi e violenti e torturava i disgraziati che gli capitavano a tiro con sofferenze inaudite tipo quelle di scuoiare vivi o appendere per la lingua. I malcapitati accusati di volerlo sfruttare, danneggiare o ingannare anche quando non esistevano prove che sostenessero tali accuse. Teodoro sospettava sempre che gli altri complottassero contro di lui e quindi poteva attaccarli improvvisamente, in ogni momento e senza alcuna ragione. Spesso, allorché riceveva un messo o una lettera, urlava di essere stato profondamente ed irreversibilmente ingiuriato anche in mancanza di qualsiasi dato di fatto che giustificasse la sua ira. Era convinto che diplomatici stranieri e religiosi europei volessero la sua morte. Faceva eccezione il Cardinal Massaia e il Console inglese Plowden; allorché però quest’ultimo fu ucciso da bande di predoni, Teodoro non esitò a fare uccidere 2000 persone di tribù a cui facevano capo le bande assassine. Teodoro era riluttante a confidarsi o a entrare in intimità con gli altri, poiché temeva che le informazioni fornite venissero usate contro di lui. Oggi potrebbe definirsi con il termine tecnico di anaffettivo.
4) Teodoro era un megalomane.
Oltre a inventarsi una discendenza di alto rango, non esitava a definirsi un grande, tanto da ritenersi degno di richiedere la mano della regina inglese. Pretendeva di essere riconosciuto il re dei re e il suo trono il più importante della terra.
5) Teodoro esercitava il culto delle personalità.
Tutto il mondo doveva sapere che lui era l’imperatore dell’Etiopia e che voleva portare il suo paese alla civiltà. Era geloso in modo patologico, convinto che la moglie lo tradisse con l’Abuna, il capo della Chiesa abissina, e tanto fece che il povero prelato morì di dolore.
Anche in questo caso non c’era un minimo di verità nelle sue accuse così infamanti.
6) Teodoro era un omicida.
Ammazzava la gente senza giustificazione e faceva uccidere centinaia di persone per volta:ciò poteva imputarsi a due fattori, il primo dei quali era il gusto di uccidere per poi riconoscere le malefatte e chiedere il perdono al Cielo e a chi gli stava vicino. L’altro fattore che lo spingeva ad ammazzare la gente era quello generato dalla paura di essere lui in pericolo di vita. Eliminare le persone sospette era quindi per lui una necessità vitale,dove la tortura giocava un ruolo determinante per costringere a confessare colpe inesistenti onde giustificare la pena.
7) Teodoro era un suicida.
È noto che chi è un suicida è anche un omicida. Teodoro si tolse la vita piuttosto che finire nelle mani del nemico cercando, prima, di ottenere una pace che risparmiasse la sua dignità, e poi di evitare l’onta della sconfitta.
Non sono uno psichiatra e quindi ciò che scrivo andrebbe valutato da uno specialista del settore per essere convalidato, ma ho il fondato sospetto che Teodoro fosse affetto da una forma di schizofrenia maniacale dove, accanto a periodi di lucidità creativa, viveva momenti di violenta pazzia dando torture e morte a migliaia di suoi sudditi e creando un clima di terrore. La prima considerazione che viene in mente è chiedersi come mai i suoi seguaci non si siano riusciti a ribellarsi, a eliminare fin dall’inizio il potere di Teodoro e a opporsi al regime di violenza da lui imposto; in effetti va riconosciuta a una parte del popolo etiopico e per tutta la durata del regno di Teodoro una ferma opposizione alla sua malvagia tirannia; ma purtroppo ogni tentativo era destinato a fallire per l’incapacità dei ras di trovare un accordo per radunare una parte della popolazione abissina intenzionata a impedire al tiranno di operare; non erano in grado di raccogliere attorno a sé schiere di guerrieri etiopici diversi e che, almeno a parole, si ribellassero alle stragi compiute dal loro Negus, e si contrapponessero al suo potere rifiutandosi di osannarlo e seguirlo nelle sue sanguinose campagne belliche: era il terrore che frenava i loro impulsi e i loro scarsi tentativi. La storia di Teodoro è sovrapponibile a quella di tanti altri tiranni che si sono affacciati nella storia dell’uomo. Come poteva avere Teodoro un carisma di tale fatta se in realtà era un pazzo da legare? Evidentemente non so rispondere a una tale domanda, se non riconoscere che Teodoro non è stato il primo né l’ultimo a salire al posto di comando di un popolo alternando fasi creative a momenti di violenta follia. Non è tuttavia concepibile che prima di venire destituiti, questi personaggi siano stati venerati e acclamati come eroi. Questi soggetti, pur mostrando a chiare note i loro disturbi mentali, hanno trovato nei loro sudditi un fertile campo dove alimentare la loro follia.
Purtroppo sono ancora aperte le gravi ferite procurate a intere popolazioni da questi insani personaggi, che sono riusciti a raggiungere, con il loro patologico carisma e applicando un regime di terrore, un potere dispotico. Nella storia dell’umanità, quando i danni causati da questi individui hanno raggiunto un grado enorme, gli eserciti e i popoli si sono sempre ribellati, deponendo i dittatori.
Le insurrezioni però sono avvenute sempre troppo tardi e ci sono voluti tempi lunghissimi poi e grandi sacrifici per riuscire a riparare i danni causati dai cattivi governi. Oggi, più facilmente, questi soggetti possono essere individuati e messi in condizioni di non nuocere; l’enorme potenza dei media attuali e la loro diffusione universale denunciano immediatamente comportamenti abnormi che più facilmente possono essere evidenziati, isolati e condannatI.
Tuttavia al momento presente esistono ancora nel mondo tirannie che non si riescono a eliminare e ciò malgrado la condanna universale e l’isolamento creato loro dalle nazioni libere. Purtroppo Teodoro non è stato né il primo né l’ultimo tiranno: basti ricordare nell’antichità Nerone, nel secolo scorso Stalin, Hitler, Pol Pot, Saddam, e il più attuale Kim Yong. Eppure non dovrebbe essere stato difficile riconoscere questi individui che sono stati,e in alcuni casi lo sono tuttora, dei serial killer mascherati da vesti di condottieri eroici e coraggiosi.
Purtroppo è talmente disumano il clima di terrore instaurato da questi despoti che in genere essi riescono a restare molto a lungo al loro posto di comando malgrado tanti tentativi di opporsi alla loro sanguinosa tirannia. Personalmente ritengo molto utile diagnosticare l’eventuale presenza di una malattia mentale anche nei dittatori dei tempi passati: esaminando contestualmente le loro personalità con quelle che tiranneggiano nel mondo attuale, queste ultime avranno certamente una vita più dura una volta diffusa dai media la diagnosi del loro stato psichico.
La voce di condanna universale è una delle vie più logiche per isolare questi malati di mente che sono abilissimi nel nascondersi dietro false o furbesche apparenze e soprattutto trincerandosi dietro un regime di terrore.
[1] Jean d’Esme, A travers l’Empire de Menélik, 1928
[2] Nicky Di Paolo, Murad, 2006
[3] Deggiàcc, Deggiasmàcc: comandante (azmàcc) della porta (degg), titolo militare corrispondente a generale, governatore di provincia
[4] Jean Doresse, Ethiopia, 1959
[5] Carlo Conti Rossini, Etiopia e genti d’Etiopia, 1929
[6] Sulla spedizione britannica v. Alan Moorehead,Il Nilo Azzurro, 1963
Nicky Di Paolo, 24 settembre 2018
Foto di Alberto Vascon