I documenti amministrativi dell’epoca coloniale sono sparsi e incompleti, ma sono anche una delle poche fonti scritte conservate nel periodo post-fascista. Durante l’analisi dei documenti presenti presso l’Archivio dell’Ufficio Storico dello SME, il professor Alessandro Volterra, dottore di ricerca in Storia dell’Africa, ha ricostruito la storia dell’ascaro Fessahaziòn Beienè, che ebbe una vita decisamente particolare per un suddito coloniale dell’epoca fascista.

Fessahatsiòn arrivò in Italia nel 1921, dopo aver lavorato come autista ad Asmara per un ufficiale italiano; il solo fatto che possedesse una patente di guida, cosa rara per gli eritrei ma anche per gli italiani, ci annuncia una personalità fuori dal comune. Parlava inoltre le lingue: Tigrè, Tigrignà, Arabo, Italiano e Amarico e veniva quindi impiegato anche come interprete. Si stabilì a Roma, prendendo servizio presso la famiglia Montenero come autista. Dal blog del nipote di Fessahatsiòn, leggiamo: “Per quanto ho capito finora, era un uomo moderno (per i suoi tempi), un uomo intelligente e molto complesso. Era un musicista, un cuoco, parlava diverse lingue, era un pilota, un gentleman, un autista, si vestiva in maniera elegante, ecc…”. Lavorando per i Montenero conobbe Girolama Ricucci, probabilmente anche lei a servizio della stessa famiglia; i due iniziarono una relazione che finì drasticamente quando la ragazza rimase incinta nell’estate del 1923, visto che Fessahatsiòn ritornò nel dicembre della stesso anno in Eritrea.

Non si sa se il rimpatrio fu forzato o volontario, sebbene le circostanze ci inducono a pensare che ci furono delle pressioni per allontanarlo dalla capitale: sappiamo infatti, grazie al blog del pronipote Issayas’ blog, http://kemey.blogspot.it/2011/11/sketches-of-trip-eritrea-2011_1315.html che nella famiglia Montenero era presente un ufficiale, probabilmente il capo famiglia. Essendo il 1923, si può immaginare che esso fosse iscritto al partito, che non avrebbe visto di buon occhio la permanenza di un autista così sui generis. Alla nascita del bambino, Girolama gli diede il suo cognome e lo lasciò in un istituto per orfani. Claudio Ricucci, figlio di una ragazza italiana e di un suddito eritreo, trascorse i primi dodici anni della sua vita spostato tra vari orfanatrofi.

Intanto il nostro protagonista è tornato in Eritrea, per riarruolarsi nell’esercito; tornò a Roma nel 1927 come accompagnatore dei piloti yemeniti in addestramento. Non contento, prese in due anni un primo brevetto di pilota ed un secondo brevetto di pilota militare. Nell’aprile del 1929 venne trasferito in Somalia, addetto al Comando del Regio Corpo, dove resterà in servizio fino al 1936. Del fascicolo da cui il prof. Volterra ha estratto queste informazioni fa parte anche una nota sul servizio prestato, redatta dal gen. Luigi Frusci. La nota riporta che Fessahatsiòn, nel periodo della guerra contro l’Impero etiopico, “con tatto e intelligenza ammirevole ha saputo fornire notevoli e precise informazioni, notizie che furono molto apprezzate e molto utili ai nostri comandi militari”. Continua lodando le capacità personali del soldato: “inspira grande fiducia per serietà, intelligenza, zelo e per la precisione che mette nell’assolvere i casi che gli vengono affidati”. Queste doti, che gli permisero una carriera brillante, non lo salvarono però dalle assurdità della burocrazia fascista.

Si arriva al 1936, quando Fessahatsiòn tornò a Roma, questa volta per cercare suo figlio. Lo ritrovò nell’istituto Colonie Giovani Lavoratori di Roma; la madre, risposatasi, acconsentì alla richiesta dell’uomo di portare via il bambino. Ma qui, naturalmente, iniziano le complicazioni burocratiche: Claudio, riconosciuto dalla madre, aveva ottenuto la cittadinanza italiana, e “non è ammissibile che lui viva in rapporti di figlio e padre con un eritreo”. Il rapporto figlio/genitore presuppone dei comandi e degli obblighi, e un suddito eritreo Fessahatsiòn che dà ordini a un cittadino italiano Claudio era impensabile. Fessahatsiòn non poté dunque riconoscere suo figlio, e dovette limitarsi a nominarlo suo erede e ad impegnarsi a provvedere alle sue necessità. Questo non bastò tuttavia a mettere a tacere gli scrupoli dei burocrati fascisti; un promemoria del fascicolo ci informa che “non vi è dubbio politicamente che è meglio ritorni in Somalia, e così venne apposto sul lasciapassare di Fessahatsiòn il divieto di tornare in Italia.

Qui le notizie diventano incerte: in un annuncio pubblicato sul blog Il Chichingiolo http://www.ilchichingiolo.it/, Sansone Bairu, nipote di Claudio, chiede informazioni sulla vita dello zio, riportando che “Fessahatsiòn venne trasferito a Mogadiscio (Somalia), si sposò con mia nonna, che era eritrea proveniente da Cheren, e lì nacque mia madre Lina”.

L’ultimo documento del fascicolo è del 1940: Caroselli, governatore della Somalia, scrisse al Ministero dell’Africa Italiana chiedendo spiegazioni sul divieto di fare ritorno in Italia, informando che la condotta del ragazzo “lascia molto a desiderare”. Questa non era una considerazione sul carattere di Claudio o sul suo comportamento: il problema era sempre lo stesso, lo scandalo che produceva una famiglia africana con un figlio cittadino italiano. Dunque Teruzzi, Sottosegretario di Stato per l’Africa Italiana, rispose al governatore che, non essendo ammissibile la convivenza di Claudio con il padre, e non potendo riaffidarlo alla madre, “che si è costituita una famiglia dove la posizione di un bastardo meticcio sarebbe assolutamente insostenibile sia materialmente che moralmente”, il ragazzo sarebbe dovuto essere affidato ad un ente di assistenza. Questa risposta è datata 12 maggio 1940: il giorno dopo sarà emanata la legge 882, “Norme relative ai meticci”, che all’articolo 11 stabilisce che “il meticcio cittadino è considerato di razza ariana”. Questa fu la base legale che avrebbe potuto togliere a Fessahatsiòn la tutela del figlio.

Dopo questo documento le uniche fonti per ricostruire la storia di Claudio e suo padre sono testimonianze: un amico del ragazzo, Vittorio, dice che hanno studiato insieme in collegio a Mogadiscio. Anche il blog Issaya’s blog, già citato sopra, riporta che Claudio finì in un collegio, a spese del padre; forse riuscirono così ad eludere le folli procedure del regime. Il signor Bairu, nel suo appello di ricerca, scrive che all’arrivo degli inglesi in Somalia nel 1941 “qualcosa cambiò, nonno Fessahatsiòn ebbe paura per Claudio e decise di farlo partire con la massa di italiani che se ne andavano, con il cognome della mamma, Ricucci, contro il volere dello stesso Claudio, che se ne andò con un rancore per suo padre. Fu quella l’ultima volta che mia madre lo vide o sentì”. Sarebbe dunque il 1941 la data di ritorno del ragazzo in Italia? Vittorio, l’amico di scuola, ricorda che se ne andò all’indomani dell’eccidio di Mogadiscio, e dunque nel 1948. Le ultime notizie che abbiamo di Claudio sono del 1953, quando
si arruolò come militare ad Albenga. Secondo il blog del nipote, Fessahatsiòn sarebbe stato invece espulso dalla Somalia, non sappiamo perché o da chi, e portato in Etiopia dove finì i suoi giorni, morendo negli anni Sessanta.

Fessehatsion (second from left) with Yemeni army-pilot trainees in Italy
Non ci sono informazioni su questa donna

Note

1- L’ articolo del pronipote “Sketches of a trip: Eritrea 2011”, Issaya’s blog

2- L’articolo (scaricabile, vedi da pag. 333) di Alessandro Volterra, Fessehatsion Beyene. Storia di un suddito coloniale tra carriera e razzismo tratto da: Sudditi coloniali. Ascari eritrei 1935-1941”, Milano, FrancoAngeli, 2005, pp. 134-139 eum.unimc.it/it/index.php?controller=attachment&id_attachment=972