Enrico Mania, 1 dicembre 2007, fotografie di Antioco Lusci
In un libro autobiografico (“DI CHE COLORE DIPINGERSI?”) confessa, a novantotto anni, ancora briosa e ricca di giovanile fantasia, alcuni aspetti della sua vita, non certo privi di difficoltà e di avventure, ma anche di un amore infinito verso i tramonti e le aurore del deserto africano ,
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Gli anni, come con un pizzico d’orgoglio lo evidenzia Rita Levi Montalcini, non sono da riservare solo ai diari, ma dire apertamente quanti sono e, possibilmente, come sono stati spesi. Più semplicemente, un anno misura il tempo che trascorre nei dodici mesi. Punto e basta, perchè non è soltanto il Premio Nobel d’eccellenza del nostro Paese a parlare dell’età, ma si ritrova sulla stessa lunghezza d’onda la nostra pittrice.
Infatti, Nenne Sanguineti Poggi, proprio in questo periodo, ha riposto sulle proprie spalle il rispettabile anniversario delle novantotto primavere. Per lei, non era più un segreto fantasticare sulla battuta, ad esempio, della sua ”zona d’ombra”. Voi mi chiederete: cos’è? Non è difficile da spiegare. Si era nel pieno dell’estate di qualche anno fa e al sole era preferibile ripararsi nella parte ombreggiata da alberi e da un muro a secco di un terrapieno con sopra una vecchia casetta. L’immagine scherzosa plasmata dalla nostra interlocutrice aveva destato un sorriso spontaneo quanto gradito per la spontaneità delle parole. La pittrice è diventata ora anche scrittrice, con un volume di ricordi di oltre trecento pagine ricche di voli pindarici, tipico di Nenne Sanguineti Poggi, che con disinvoltura si distacca da un argomento per affrontarne uno diverso, il tutto che si sviluppa fra l’Italia e l’Africa, fra Asmara e le “cento città dello stivale”.
E’ un libro, scritto per gli amici, dal titolo un po’ enigmatico: “DI CHE COLORE DIPINGERSI?”. Qui occorre, prima di continuare, una breve sosta, trarre un respiro profondo onde riprendere un po’ dell’uno e un po’ dell’altro argomento. E quale il primo? Ovviamente, la “zona d’ombra” su cui non è surreale chiedersi: quale è il suo recondito significato? L’Africa o l’Italia ? La Liguria o l’Eritrea? E, quale è questa “zona d’ombra”; e quale, di grazia, il suo recondito significato? Ecco la domanda a cui cerco di affibbiare il significato delle parole nella loro giusta accessione, collocazione e dimensione. Ecco, non svelo proprio nessun segreto se mi trasferisco a Finale Ligure, ritrovandomi nel luogo dove la “zona d’ombra” c’era, per ripararsi da un sole estivo, verso mezzogiorno, semi nascosto dietro un antico edificio e dove, all’entrata del luogo della sua ennesima “personale”, ci eravamo fermati per parlare di un argomento non prefissato. Una rimpatriata come altre volte era accaduto.
L’argomento riguardava, soprattutto, l’insieme di lontani ricordi. Insomma, di tutto e di più quando la nostra artista ci invitò, come dice la canzone, “a farci più in là...” A spostarci, insomma, nella desiderata “zona d’ombra”. Tutto qui. La restante parte dovrebbe essere nota. Anche a chi, de “IL QUOTIDIANO ERITREO”, si interessava velocemente solo dei titoli. Di Nenne Sanguineti Poggi, infatti, ho seguito gran parte del percorso artistico in terra africana, nelle varie personali ad Asmara e Addis Abeba, senza che si potesse trovare – e ritrovare – l’appartenenza a qualsiasi scuola o corrente di pensiero; ho visto nascere e abbellire le numerose chiese e gli istituti scolastici dell’Eritrea e del Tigrai di grandi mosaici; sono stato più volte preso dalla malia incantatrice girovagando per i corridoi dei “passi perduti” del Palazzo Africa, dovuto all’estro e fantasia dell’architetto Arturo Mezzedimi; ho visto plasmare nella sua casa le opere predisposte per le “personali” o pronte a partire verso lontani luoghi museali e abitazioni da abbellire con quadri dal tema sull’Africa.
Il tema raramente si scostava da questo soggetto. Ma la “zona d’ombra” dov’è e cos’è? Un po’ di pazienza. Semplicemente, la nostra nonagenaria si era permessa di sorridere alla sua non giovane età e ci aveva invitati a spostarci insieme. Detto sottovoce, essere nella “zona d’ombra” era come eludere lo sguardo del Padreterno il quale, da lassù, tutto può vedere e anche gioire per questa innocente birichinata.
Così, per un semplice spostamento, si era raggiunta la “zona d’ombra”. Qui ho svelato l’arcano e il pensiero, un po’ civettuolo, un po’ anche ironico, di Nenne Sanguineti Poggi, ormai poco distante da un tappa della vita significativa quanto mai, anche se lei continua ad essere così, frizzante per un verso e pungente per un altro. La “zona d’ombra” alla “Fortezza” di Finale Ligure, il punto più alto e, in quel momento, ricercato della cittadina non è un eremo ma una costruzione con le sue sale destinata, ai giorni nostri, ad incontri culturali di largo respiro e di coinvolgente interesse artistico. A Finale Ligure e Savona la Poggi ha vissuto parte della sua vita, intercalandola ai lunghi soggiorni in terra africana. Dalla terra ligure ha raggiunto l’Africa appena novella sposa: matrimonio per procura naturalmente, come spesso accadeva quando le lontananze difficilmente permettevano di conoscersi meglio.
Le sue motivazioni furono la scelta di “un posto al sole”, la speranza di evitare i danni della seconda conflagrazione mondiale, per fermarsi in Eritrea e scoprire l’intensità dei colori del bassopiano occidentale e gioire nei mesi primaverili di Asmara, della bellezza dei glicini che adornavano le strade dei quartieri residenziali le cui case costruite con mattoni a vista erano definite anche “francesi” per i molti villeggianti europei provenienti nel periodo estivo dal territorio di Gibuti. In questi luoghi asmarini, con il suo cavalletto e la cassettina dei colori, Nenne cercava di carpire gli attimi più coinvolgenti del mattino o della sera. Erano momenti di suggestiva comunanza fra l’idea e il progetto, per non disperdere quel fascino traboccante, che si ritrova solo in certe ore della giornata. Nella natura, infatti, si ritrovano tutti gli ingredienti necessari al compimento del lavoro. E, a questo punto, ho fretta di riprendere il filo del discorso.
Semplice: la “zona d’ombra” voluta dalla imperturbabile ironia della nostra pittrice non è un vezzo ma un profondo desiderio di manifestare qualcosa. Ad esempio, la sua età che non nasconde più. Dunque, qualcosa è cambiato. Qualcosa che è maturato in armonia con il perfezionarsi della saggezza attraverso gli anni, rispettando qualche legittimo dubbio. Infatti, non è sempre vero che la saggezza è originata dall’età. Qualche volta deriva dal colore e dallo spessore attribuito alle “pallottole” inserite nelle barre del proprio pallottoliere. Insomma, anche il pallottoliere non è più quello strumento base 3dell’aritmetica. Al tempo del computer può legittimamente essere contestato anche il pallottoliere.
Tutto è discutibile. Per la nostra pittrice, il palesare senza sotterfugi la sua età è diventato quasi un vezzo, un’onorificenza da far conoscere e da poter vantare; il tutto rientra in uno schema attento, senza sbavature, come attenta è sempre stata Nenne nella sua produzione pittorica, specialmente quando rappresenta scene di vita cunama, o di nomadi beni amer o di attraenti bilene. È tutto un elencare di etnie contrapposte a semplici sapori della loro cucina, fatta di intingoli ripetitivi e piuttosto piccanti. Sostanze che si trasformano in colori che vengono trasportati su tela, o incollati sulla carta di mosaici, sia nelle espressioni del mondo che l’ha sempre ispirata nei suoi incontri con quel mondo che ha tanto amato, come ha tanto amato il suo unico figlio, a cui dedica gran parte del suo libro autobiografico.
Un mondo che ritroviamo, e sembra voler svelare, con la sincerità di sempre, i suoi anni (due anni ancora e, poi, disinvolta e disinibita, raggiungerà il secolo) cui è sempre stata un po’ recalcitrante, ma certo lo ha fatto per difendere il suo spazio e quel pizzico, appunto, di civetteria. Soprattutto, ha guardato il colore con amore. C’è qualcosa di misterioso che quasi tende a non importunare Colui che lassù tutto vede. E sembra, comunque, che voglia, nella sua generosità, senza limiti di tempo e fremiti nascosti, potersi nascondere ancora nelle sue segrete (ma non tanto) “zone d’ombra”, come mi ha detto e spiegato una volta a Finale Ligure, sua città, dopo Asmara, e residenza abituale della sua infanzia, della sua giovinezza e… della terza età, insieme ad altre città dove ha posto e continuerà a porre il suo domicilio errabondo.
Una presenza simbolica, almeno fino a quando ci sono le sue opere ad avere una precisa funzione di rappresentanza. A questo punto azzardo una richiesta: la “zona d’ombra” cosa rappresenta? Non lo so, e la nostra nonagenaria pittrice ha esposto di recente ancora due volte: una a Finale Ligure e, l’altra, a Milano. Un successo in entrambe le “vernici”. Inoltre, non sveliamo una novità se accenniamo alla simbiosi di idee che è esistita con l’architetto Arturo Mezzedimi, autore delle opere (palazzi, chiese e scuole) che hanno dato un volto nuovo e moderno alle città di Addis Abeba e di Asmara, città del “Corno d’Africa”. Si, perché alcune delle sue opere sono state concepite nella visione globale del continente che arranca fra difficoltà immani. Il racconto della “zona d’ombra” è completo? Voglio sperare di non avere stancato i lettori che mi hanno coraggiosamente seguito.
Non era mia intenzione annoiarvi. A me, comunque, la “zona d’ombra” mi ha convinto e cercherò, nei limiti del possibile, di esercitarmi allo scopo di ottenere una sospensiva, una comprensiva dilazione anche per me. Mentre continuo a sfogliare i ricordi che ha gettato a josa nella sua autobiografia.




