Vincenzo Meleca, 28 agosto 2019
Ucronìa: genere di narrativa fantastica basata sulla premessa generale che la storia del mondo abbia seguito un corso alternativo rispetto a quello reale, come, ad esempio, se l’Impero romano fosse sopravvissuto fino ai nostri giorni, oppure se Cristoforo Colombo avesse preso possesso dell’America in nome e per conto della Repubblica di Genova, oppure se i confederati avessero vinto la guerra di secessione americana, oppure se Hitler avesse vinto la seconda guerra mondiale, e così via….
Sarebbe interessante cimentarsi in questo genere letterario ipotizzando cosa sarebbe potuto accadere nel Corno d’Africa, in Europa e persino nel mondo intero se, nel 1935, si fossero realizzate le millanterie di uno strano personaggio, Chukry Jacir Bey.

No, non ci pare il caso. Quanto risulta dalla documentazione disponibile ci sembra già sufficientemente incredibile, eppure vero!
Partiamo dal personaggio, questo Chukry Jacir Bey. Di lui si sa davvero molto poco: secondo taluni era un ambiguo uomo d’affari (per taluni altri un finanziere) palestinese, sembra munito anche di un passaporto messicano, introdotto negli ambienti politici italiani dall’Ufficiale delle Camicie Nere (e fiduciario del SIM) Vezio Lucchini1, oppure un avventuriero levantino di cittadinanza messicana2, cristiano copto3, o anche, più semplicemente, un palestinese o siriano che vantava una sua antica conoscenza con il conte Carlo Senni4. Per il servizio di intelligence centrale olandese era nato il 18 marzo 1896 a Betlemme da un’importante famiglia palestinese, aveva qualche precedente penale in Svizzera e Belgio ed esibiva anche un biglietto da visita in base al quale sarebbe stato ex-delegato alla Conferenza di Versailles del 19195.
L’uomo, che vantava anche di aver lavorato come caporedattore del quotidiano arabo Sowt Aschaab, sosteneva di essere ben introdotto negli ambienti etiopici e di essere in particolare buon conoscente sia dell’Abuna6 Cirillo V, sia del Ras Yeggazù Mulughietà, al tempo Ministro della Guerra durante l’impero del Negus Hailé Selassié, sia, infine, persino di quest’ultimo.
In una fase molto delicata e critica dei rapporti tra Italia ed Etiopia, quando Mussolini e il Regio Esercito si stavano già preparando ad invadere la Nazione africana, il SIM, il nostro servizio segreto, stava muovendosi per raccogliere il massimo di informazioni sulle forze armate etiopiche, sulla situazione politica interna all’Etiopia e sui rapporti del Negus con alcune Nazioni europee, in particolare la Francia e la Gran Bretagna, ponendo in essere azioni di contrasto con le attività di intelligence di queste ultime.
In quella seconda metà del 1935 Il SIM, di cui era comandante il Generale Mario Roatta, in Africa Orientale aveva, come capo della sezione speciale “Africa Orientale”, il Tenente Colonnello Emilio Faldella, coadiuvato dal Tenente Colonnello Gianfranco
Zuretti, dal Colonnello Giuseppe Pièche, capo della sezione Controspionaggio e dai suoi diretti collaboratori, Tenente Colonnello Santo Emanuele e Capitano Antonio Bonsignore, tutti e tre carabinieri. Inoltre, l’addetto militare ad Addis Abeba, Colonnello Mario Calderini, collaborava strettamente con Faldella per osservare attentamente le capacità belliche etiopiche.
Non si hanno informazioni attendibili circa chi, dove e come ebbe il primo contatto con Jacir Bey: forse il Console della Milizia Vezio Lucchini7, che aveva contatti con il SIM e che in passato si era occupato di indagini antiterroristiche, o forse, il diplomatico conte Senni, al tempo capo del cerimoniale del Ministero degli Esteri, ma sta di fatto che il supposto palestinese, sembra nel dicembre 1935, a Roma, con la guerra già in corso, vantando i suoi contatti con il Negus e con alti dignitari etiopici, si offrì di cercare di convincere Hailè Selassiè a porre termine al conflitto, accettando una serie di condizioni a favore dell’Italia8.

Sembra incredibile, ma in quello stesso periodo Samuel Hoare, Segretario di Stato per gli Affari Esteri e del Commonwealth e Pierre Laval, Primo ministro francese, avevano predisposto un piano di pace che puntava ad evitare la sconfitta, ritenuta inevitabile, di Hailè Selassiè e a mantenere buoni rapporti con l’Italia, alla quale andava la loro gratitudine per l’intervento di Mussolini che, l’anno precedente, aveva evitato il tentativo di Hitler di annettere l’Austria.
Se questo piano fosse stato accettato da Italia e Etiopia, la prima avrebbe ottenuto, a nord il Tigrai, ampliando così il territorio dell’Eritrea, e a sud la provincia dell’Ogaden, ampliando il territorio della Somalia Italiana; inoltre, sarebbe stato garantito all’Italia un sostanziale controllo economico esclusivo nel sud dell’Etiopia. L’Etiopia avrebbe acquisito dall’Italia una fascia dell’Eritrea meridionale che le avrebbe consentito l’accesso al mare dal porto di Assab. A quanto risulta, Mussolini era pronto ad accettare l’accordo, ma il piano Hoare-Laval fu scoperto e reso pubblico il 13 dicembre 19359, scatenando l’ostilità del popolo inglese. Ciò fece sì che il governo britannico si dissociasse dal piano, causandone il fallimento e le dimissioni sia di Hoare sia di Laval.

Torniamo a Jacir Bey. Dopo la conferma che i vantati agganci di Jacir Bey erano veritieri, e dopo il fallimento del patto Hoare-Laval, le offerte del faccendiere vennero prese in considerazione sia da Emilio Faldella sia da Carlo Senni, esperto diplomatico e alto funzionario del Ministero degli Affari esteri, sia, forse, anche da Vezio Lucchini.
È forse in questa fase che Jacir Bey amplia la propria offerta di collaborazione, proponendo non uno ma ben tre piani: con il primo, il faccendiere avrebbe dovuto convincere Hailè Selassiè a concludere la pace con l’Italia entro il 15 febbraio 1936 con
una serie alquanto complessa di condizioni: per quelle di natura territoriale, il Negus avrebbe dovuto cedere all’Italia il Tigrai, il Birù e una porzione della Dancalia (territori che sarebbero stati incorporati dall’Eritrea), e le province di Sidamo, Bale, Arussi,
Ararghiè e Aussa, nonchè i territori abitati dall’etnia Borana (che sarebbero state annesse alla Somalia Italiana). Inoltre, Hailè Selassiè avrebbe dovuto accettare la presenza di un certo numero di consiglieri italiani in campo economico, militare e di politica estera (cosa che ne avrebbe di fatto condizionato grandemente il potere), consentire l’ingresso di un certo numero di coloni italiani e, infine, concedere una serie di diritti per la ricerca e lo sfruttamento minerario. In cambio, l’Etiopia sarebbe rimasta (si fa per dire…) indipendente, con la garanzia italiana che il Negus avrebbe mantenuto il trono e il titolo di Imperatore per sé e i suoi discendenti e avrebbe ottenuto una striscia larga una ventina di chilometri nel sud dell’Eritrea, compresa la città e il porto di Assab, consentendo così alla Nazione africana di avere uno sbocco al Mar Rosso. In buona sostanza, questo piano, che sostanzialmente avrebbe trasformato l’Etiopia in una sorta di protettorato italiano (simile a quello francese sul Marocco), ricalcava a grandi linee il Piano Hoare-Laval.
Una seconda proposta, tutto sommato una variante della prima, prevedeva che, per “ammorbidire” la prevedibile riottosità di Hailè Selassiè e per consentirgli di salvare la faccia nei confronti del suo popolo e dei suoi dignitari di corte (spesso avversari politici), si sarebbe dovuta organizzare una finta battaglia, concordando data e luogo dello scontro, durante la quale vi sarebbe stato uno scambio di colpi d’arma da fuoco e d’artiglieria, dopo di che le truppe etiopiche avrebbero dovuto ritirarsi in buon ordine, ammettendo la sconfitta e spianando la strada ad un trattato di pace che avrebbe previsto le stesse condizioni del piano principale.
Ma Jacir Bey doveva essere un personaggio davvero geniale e preparato, se espose un terzo e ultimo piano, nel caso i primi due non fossero stati accettati dall’Imperatore d’Etiopia: sostenne di essere in grado di conoscere – o forse, addirittura, di organizzare- i suoi spostamenti aerei e, durante uno di questi, dirottare l’aereo in una zona controllata dalle truppe italiane e costringere così Hailè Selassiè a firmare il trattato di pace.
Essendo un uomo d’affari (…), il palestinese non offrì la sua collaborazione per la realizzazione di questi piani a titolo gratuito, ma pretese il pagamento di cinquanta milioni di lire, nel caso fosse riuscito il primo piano, o di cento milioni di lire (o degli equivalenti 422.360 franchi svizzeri) nel caso di riuscita di uno degli altri due. Ovviamente, il compenso avrebbe dovuto essere preventivamente depositato a suo nome presso una banca italiana, che lui indicò nel Banco di Napoli10.
Questo avventuriero (“impostore” lo definisce tout court Salvemini11) levantino-messicano fu comunque preso sul serio e il 9 dicembre 1935 Faldella e Lucchini e, forse, anche Senni firmarono con lui, nell’ufficio del conte Senni e alla presenza di
quest’ultimo, un formale contratto con tre allegati: il primo conteneva le condizioni di pace cui Hailè Selassiè avrebbe dovuto aderire; il secondo trattava della finta battaglia, precisando che avrebbe dovuto essere inscenata entro sei giorni dalla data fissata dallo Stato Maggiore italiano; il terzo descriveva le fasi del possibile dirottamento dell’aeroplano che avrebbe dovuto trasportare il Negus12. Tutti questi documenti sono andati purtroppo persi, o scomparsi dagli archivi o forse distrutti, tranne questa lettera del Banco di Napoli: “Napoli, li dicembre 1935 – XIV E.E – Signor Jacir Bey, Roma. – Con la presente Vi comunichiamo che il signor Emilio Faldella ha aperto a Vostro nome presso questo Banco, un credito di 100.000.000 (cento milioni) di lire italiane, vincolato, irrevocabile e valido fino al 15 febbraio 1936, utilizzabile soltanto nei casi previsti da accordi particolari a Voi noti. Il direttore generale, Giuseppe Frignani”13. Il contratto doveva essere eseguito tassativamente entro il 15 febbraio 1936, altrimenti, dopo tale data, non sarebbe più stato valido.
La missione di Jacir Bey, se mai fu tentata, comunque fallì: Hailè Selassiè in quell’ultimo scorcio del 1935, con le truppe italiane bloccate nel Tembièn, probabilmente non pensava di perdere la guerra oppure, quantomeno, sperava in un intervento della Lega delle Nazioni per fermare gli italiani.

Va doverosamente ricordato che era davvero difficile ipotizzare che Hailè Selassiè sarebbe stato disposto a firmare una pace che l’avrebbe visto comunque perdere il proprio potere e il proprio Impero: gli italiani avrebbero dovuto accorgersene già poche settimane prima dei contatti avuti con Jacir Bey, quando il Negus, dopo aver saputo dei tentativi del SIM di rintracciare e liberare l’ex Imperatore Ligg Yasù, per rimetterlo sul trono del Leone di Giuda, lo fece uccidere, probabilmente nella notte tra il 24 e il 25 novembre 193514.
A quanto risulta, Jacir Bey non ebbe modo di ritirare il compenso pattuito, che il 15 febbraio stesso tornò nelle casse dello Stato15, ma sembra che, per tacitarlo ed evitare che la vicenda arrivasse alla stampa, il SIM gli abbia comunque fatto avere la considerevole cifra di 500.000 lire italiane purchè sparisse dalla circolazione, cosa che lui fece ben volentieri16.
Oltre due anni dopo, nel 1937, però, il faccendiere palestinese ricompare in Olanda e, assieme ad un altro personaggio equivoco, il belga Charles Ansiaux17, prova a ricattare il SIM. Questa volta il Servizio Informazioni Militare decide di risolvere in modo definitivo la questione e incarica il colonnello dei carabinieri Santo Emanuele di povvedere18. Sembra che l’ufficiale abbia eseguito in modo efficace l’incarico, tanto che scrisse successivamente che “Oramai Jacir Bey è morto. Essendo morto anche Ansiaux, il Governo italiano non ha più da temere”, aggiungendo, in cambio del suo successo e, forse, del suo silenzio, la richiesta di una promozione per avere evitato all’Italia la pubblicazione del contratto…19.
Chiudo questo mie note con una considerazione e con una domanda.
La considerazione: secondo Carl von Clausewitz, la guerra non è altro che “la continuazione della politica con altri mezzi“. Ma ci sono molti modi di combattere e vincere una guerra, di conquistare un impero, e tra questi, come la Storia insegna, il ricorso alle operazioni segrete.
La domanda: cosa sarebbe successo se il piano Hoare-Laval o quello di Jacir Bey avessero avuto successo?
No, non mi cimenterò nel tentativo di scrivere un romanzo ucronico, mi limito a porre all’attenzione del lettore le considerazioni di un acuto analista politico, Henry Kissinger, citate da J. Kenneth Brody: “More recently Henry Kissinger has accorded the plan his highest accolade-Realpolitik. That the plan and its failure were a critical stage on the road to the Second World War is the firm conclusion of this work and the contribution it offers to history” (“Più recentemente Henry Kissinger ha accordato al piano il suo più alto riconoscimento di realpolitik. Il fatto che il piano e il suo fallimento siano stati una fase critica sulla strada della seconda guerra mondiale è la ferma conclusione di questo lavoro e il contributo che offre alla storia”)20. Secondo Henry Kissinger, dunque, la decisione del Governo britannico fu errata: la sua politica estera nei confronti di Germania e Italia avrebbe dovuto sostenere l’Italia, evitando (o cercando di evitare) così di rafforzare i rapporti di quest’ultima con la Germania, cosa che avrebbe comportato, come poi di fatto avvenne, l’inesorabile scoppio della guerra in Europa.
NOTE
1 Andrea Vento, “In silenzio gioite e soffrite: storia dei servizi segreti italiani dal Risorgimento alla guerra fredda”, Il Saggiatore, 2014, pag. 186.
2 Gaetano Salvemini, “Preludio alla Seconda Guerra Mondiale”, Feltrinelli, 1967, pag. 513
3 Il particolare è tratto da varie fonti, in particolare dal saggio di A. Vento, op. cit., pag.384.
4 Mario Roatta, “Sciacalli addosso al SIM”, Mursia 2018, pag. 293.
6 Abuna è il titolo onorifico usato dai vescovi capi della Chiesa ortodossa etiopica e della Chiesa ortodossa eritrea.
7 Lucchini, all’epoca Capo di Stato Maggiore della Milizia Ferroviaria (una branca della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, per certi versi antesignana dell’attuale Polizia Ferroviaria) fu incaricato da Mussolini di condurre le indagini sull’eccidio alla Fiera di Milano del 12 aprile 1928
8 Secondo il Generale Roatta, il SIM ricevette l’ordine, non si sa da chi, di destinare un Ufficiale superiore a trattare la questione con Jacir Bey. Questi fu il capo della sezione speciale “Africa Orientale”, Tenente Colonnello Emilio Faldella, al quale venne affiancato, per ordine di chi non è noto, un console della MVSN, la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, Vezio Lucchini. Cfr. M. Roatta, op. cit., pag. 293 e A. Vento, op. cit., pag. 3849 Non è chiaro se la prima a rendere pubblico il patto sia stata la stampa francese o quella britannica.
10 George William Baer, “Test case: Italy, Ethiopia, and the League of Nations”, Hoover institution Press, 1976, pagg 250-251.
11 G. Salvemini, op. cit., pag. 574
12 Sia sulla data sia sulle persone che firmarono il contratto vi sono discordanze: circa la data alcune fonti indicano il 10 dicembre (cfr. G. Salvemini, cit., pag. 593), altre l’11. Quanto alle persone, taluni danno per certa la presenza di Senni e non di Lucchini. In entrambi i casi abbiamo ritenuto attendibile quanto scritto dal Generale Roatta, a pag. 294 del suo libro “Sciacalli addosso al SIM”, e dall’avvocato Arturo Orvieto, difensore di vari imputati, tra i quali lo stesso generale Roatta e il colonnello Emanuele, durante il processo di fronte all’Alta Corte di Giustizia per le sanzioni contro il fascismo. Cfr. Il Cosmopolita, 13 gennaio 1945, pagg. 1 e 7. Per quel che concerne il contenuto degli allegati, cfr. G. Salvemini, op. cit., pag 593.
13 Cfr. Arrigo Petacco, “Faccetta nera – Storia della conquista dell’impero”, Mondadori, 2005, pag. 103
14 Ligg Yasù (o Iassù), il nipote che Menelik, prima di morire, il 12 dicembre 1913, aveva designato come suo legittimo successore, era stato detronizzato nel 1916 dall’imperatrice Zauditù e da Ras Tafari, cugino di Menelik. Quest’ultimo lo incarcerò nel castello di Grauà, località a un’ottantina di chilometri da Harar e per Ras Tafari divenne così spianata la strada per diventare prima reggente e poi, nel 1930, alla morte dell’imperatrice, Imperatore d’Etiopia con il nome di Hailè Selassiè.
15 M.Roatta, op. cit., pag. 294. Per Salvemini Jacir Bey fu tacitato con tale somma per distoglierlo dal divulgare la faccenda e gettare così nel ridicolo coloro che lo avevano preso sul serio. Cfr. G. Salvemini, cit., pag. 574
16 Per il generale Roatta la somma fu corrisposta come compenso per l’attività svolta da Jacir Bey e a risarcimento delle spese da lui sostenute. Cfr. M. Roatta, op. cit., pag. 294
17 Sembra che Charles Ansiaux, dopo essere stato truffato da Jacir Bey, lo abbia denunciato alla Procura di Roma. Il Governo italiano, informato di ciò, intervenne e bloccò le indagini e l’eventuale processo, provocando l’ira di Ansiaux, che si rivolse all’ambasciata d’Italia a Bruxelles, minacciando di rendere pubblici i documenti in suo possesso (probabilmente la copia del contratto e la lettera di credito di Frignani).
18 Nel processo, avviato nel 1944 dall’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, che vide coinvolti alcuni politici e militari del SIM, Emanuele fu condannato in primo grado all’ergastolo, ma poi assolto per insufficienza di prove nel processo d’appello del 1949. Roatta, alla sbarra per l’omicidio dei fratelli Rosselli e per altre azioni di natura terroristica, tra cui anche l’omicidio di Jacir Bey, compiuti dal SIM durante la sua direzione, negò decisamente che Jacir Bey fosse stato ucciso per suo ordine. Anche lui condannato all’ergastolo in primo grado (la pubblica accusa era sostenuta dall’on. Mario Berlinguer, padre dei futuri esponenti del PCI Enrico e Giovanni Berlinguer), fu poi assolto dalla Cassazione nel 1948.
19 Cfr A. Vento, op. cit., pag. 18
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Per chi vuole approfondire
George William Baer, “Haile Selassie’s Protectorate Appeal to King Edward VIII”, in Cahiers d’études africaines, n. 34/1969.
George William Baer, “Test case: Italy, Ethiopia, and the League of Nations”, Hoover institution Press, 1976.
Franco Bandini, “Gli Italiani in Africa, Storia delle guerre coloniali 1882-1943”, Longanesi & C., 1971.
Correlli Barnett, “The Collapse of British Power”, Pan, 2002
Joel Kenneth Brody, “The Avoidable War: Pierre Laval and the Politics of Reality, 1935-1936”, Taylor & Francis Inc., 1999.
Alain Charbonnier, “1935: Il SIM Voleva “comprare” il Negus”, in Gnosis 3/2007
Clara Conti, “Servizio segreto – Cronache e documenti dei delitti di Stato”, De Luigi 1945. Henry Kissinger, “Diplomacy”, Simon & Schuster, 1994.
Mirko Molteni, “Storia dei servizi segreti”, Newton Compton, 2018.
Arturo Orvieto, “Suvich, Roatta & C. – Polemica con me stesso”, in “Il Cosmopolita”, 13 gennaio 1945.
Arrigo Petacco, “Faccetta nera – Storia della conquista dell’impero”, Mondadori, 2005. Alan John Percivale Taylor, “The Origins of the Second World War”, Penguin, 1991. Mario Roatta, “Sciacalli addosso al S.I.M.”, Mursia, 2018.
Gaetano Salvemini, “Preludio alla seconda guerra mondiale”, Feltrinelli, 1967
Andrea Vento, “In silenzio gioite e soffrite: storia dei servizi segreti italiani dal Risorgimento alla guerra fredda”, Il Saggiatore, 2014.
20 Cfr. J. Kenneth Brody, “The Avoidable War: Pierre Laval and the Politics of Reality, 1935-1936”, Taylor & Francis Inc., 1999, pag. 323. La validità del piano Hoare-Laval è stata sostenuta anche dallo storico militare Correlli Barnett, “The Collapse of British Power”, Pan, 2002, pp. 352-3 e p. 356 e dallo storico e giornalista Alan John Percivale Taylor, “The Origins of the Second World War”, Penguin, 1991, p. 128
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