Dopo essersi soffermato prima in Egitto e poi in Arabia, James Bruce giunse a Massaua nel 1768. Era nel pieno delle sue forze e aveva le idee chiare; la sua prima occupazione fu quella d’imparare, nel più breve tempo possibile, la lingua amarica che si parlava nel centro dell’Etiopia.
Se è indiscutibile che il famoso esploratore scozzese fosse diretto nel cuore dell’Africa per cercare le fonti del Nilo, in Etiopia si racconta ancora oggi che altri interessi albergassero nella mente di quel singolare e solitario viaggiatore; secondo gli etiopici, Bruce era interessato alle piante di caffè che nel Caffa, provincia dell’Etiopia, cresceva spontaneo ed erano utilizzati i chicchi delle sue bacche per preparare bevande deliziose e stimolanti.
Lui amava il caffè, ed è molto probabile che desiderasse impiantare un commercio redditizio con gli africani per diffondere in tutti i mercati del vecchio continente quella squisita bevanda che già da alcuni decenni incantava gli europei degli strati sociali più alti; infatti,fino a quel momento di caffè in Europa se ne trovava pochissimo e giungeva dal sud dell’Arabia a prezzi esorbitanti, sostenibili solo da pochi.
L’idea di Bruce, sempre secondo le leggende, era quella di aprire un canale commerciale diretto tra l’Abissinia e l’Egitto, poi sarebbe stato molto agevole far traversare alla sua merce il Mediterraneo. Bruce era un uomo fuori del comune: alto e snello aveva i lineamenti del viso delicati ed era squisito nei modi; possedeva una straordinaria predisposizione per le lingue e, oltre all’inglese, parlava perfettamente il portoghese, ma il suo arabo non era niente male e a Massaua, in poco tempo, riuscì a farsi capire anche dagli abissini che rimanevano impressionati da quell’uomo così elegante e fiero che parlava la loro lingua.
Le sue vesti erano sempre pulitissime, i suoi stivali lucidi, teneva con disinvoltura una preziosa spada al fianco e sempre, appesi alla cintura, una pistola e un pugnale finemente intarsiati. L’esploratore scozzese rimase a Massaua per quasi sei mesi e solo quando si sentì sicuro di avere appreso la filosofia abissina e l’idioma amarico, partì alla volta di Gondar, allora capitale dell’Etiopia, paese governato dalla regina Mentuab.
Sia la città sia la regina, erano oggetto di leggende fantastiche che alimentavano i temi principali dei menestrelli in tutto il Corno; Più che altro, quelle storie incuriosivano l’esploratore scozzese per la loro originalità, ma lui era piuttosto scettico perché apparivano difficilmente verosimili.
Il viaggio dalla costa verso l’altipiano fu lungo e non privo di problemi, per la maggior parte creati dall’ostacolo che i ras opponevano al proseguimento della sua marcia, interessati al fatto che quell’europeo rimanesse presso di loro il più a lungo possibile per carpire le sue conoscenze che spaziavano dalla medicina alla botanica, dell’ingegneria alle arti belliche, dalla costruzione di opere in muratura, all’uso del legno per la preparazione di mobili o altri utensili.
Era quindi un individuo prezioso, capace da solo di migliorare lo stile di vita di un’intera provincia. La fama di Bruce si diffuse rapida in Etiopia e giunse all’orecchio della regina Mentuab, in quel momento alle prese con un’epidemia di colera; i suoi medici non riuscivano a contrastare la diffusione del morbo rischiando non solo un’ecatombe di sudditi, ma anche la perdita di tanti suoi numerosi congiunti.
Lei era disperata non essendo capace di trovare qualcosa che fermasse il dilagare del terribile male; quando seppe della bravura di Bruce, iniziò a sperare nell’aiuto di quel particolare straniero e usò la sua autorità per spianargli la strada e farlo giungere il prima possibile al suo cospetto.
In tal modo toccò agli stessi ras aiutarlo di malavoglia a procedere veloce verso il suo obiettivo. Bruce, una volta salito sull’altipiano si convinse di essere entrato in un mondo tanto fantastico quanto surreale e, entrato a Gondar, non riusciva a credere a ciò che vedeva; aveva di fronte a sé una città medioevale piena di castelli turriti, costruiti con grosse pietre evidentemente estratte da una cava e che nulla avevano di diverso dai manieri europei.
La sua meravigliasi accresceva ancora di più quando entrava in una delle tante chiese, semplici nella loro struttura, ma che trovava zeppe di dipinti che gli ricordavano lo stile bizantino, ricchi di fascino e rappresentanti scene di cristianità che non avrebbe mai immaginato di trovare in quei luoghi.
Bruce si sentì un po’ inutile quando si rese conto che tutti sapevano dove si trovavano le fonti del Nilo che nasceva dal sud del grande lago Tzana per poi girarsi di 180 gradi e, dopo aver percorso un turbolento tratto verso nord, si gettava dall’acrocoro realizzando spettacolari cascate che portavano quella preziosa acqua giù, in basso, verso gli assetati deserti della Numidia; là il Nilo Azzurro si sarebbe incontrato con un altro grande fiume per poi iniziare il lunghissimo cammino verso il grande deserto e infine sboccare nel Mar Mediterraneo.
Non è dato sapere se lo scozzese rimase deluso dal fatto che le sorgenti del Nilo non fossero laggiù un mistero per nessuno, ma si promise di andare a controllare. In compenso Bruce seppe che nel mercato di Gondar circolava molto caffè proveniente da luoghi non lontani. In vero a Londra si trovava il caffè, ma in Africa non c’era nessun mercante che fosse interessato a instaurare un commercio con l’Europa dove tutto il caffè giungeva dall’Arabia.
Alcuni notabili di Gondar lo consigliarono di recarsi sulle rive del lago Tzana dove le piante di caffè crescevano spontanee, e per la maggior parte curate dai monasteri presenti in quei luoghi. Prima di rimettersi in viaggio Bruce doveva però incontrare quella regina che tutti i sudditi idolatravano, e questa totale devozione l’incuriosì non poco.
Mentuab non si trovava in quel momento nella sua reggia a Gondar, ma si era rifugiata a Cusquam, un monastero non lontano dalla città con adiacente a una sontuosa dimora; lei sperava così di salvarsi dalla terribile epidemia che in quel momento flagellava la zona; aveva portato con sé tutta la sua numerosa famiglia e alcuni dignitari di corte. Se Gondar folgorò Bruce, Cusquamlo commosse per la sua delicata imponenza,circondata da giardini in fiore e nascosta da boschi secolari dove svettavano campanili e torri merlate.
Giunto in vista della regale dimora, Bruce fu colpito da lieti e garruli trastulli emessi da frotte di bimbi di ogni età che circondavano in un immenso prato verde un gazebo quadrangolare bianco. La base del chiosco era formata da cuscini di seta multicolori e di varie dimensioni, dove una giovane donna semidistesa era intenta a osservare, criticare ed elogiare un nutrito gruppo di fanciulli che assisi, nei pressi del gazebo, erano tutti presi a pitturare con colori e pennelli rappresentazioni sacre o profane della vita abissina.
Bruce rimase in disparte senza farsi notare, per bearsi di quello spettacolo che non aveva mai visto prima benché avesse viaggiato tanto alla continua ricerca della rarità e di mondi nuovi; si era avvicinato di soppiatto per non disturbare quella scena così carica di eleganza e di civiltà, ma fu presto notato da alcune damigelle della regina che evidentemente sapevano dell’arrivo di Bruce e dell’interesse che la loro signora nutriva per lui; Mentuab aveva mobilitato tutta la corte per affrettare l’incontro e al contempo acquisire più notizie possibili su quest’uomo così particolare che giungeva dall’Europa solo, ma con un bagaglio di conoscenze che, a quanto si diceva, superava qualsiasi sapiente non solo dell’Africa, ma anche della stessa Europa.
L’incontro tra Mentuab e Bruce fu sicuramente ricco d’intense sensazioni provate da ambedue, tanto che l’inglese dedicò varie pagine del suo diario a questa donna che l’impressionò non solo per la bellezza ma soprattutto per la dolcezza che emanava dalla sua persona e che riversava su chi le stava attorno: Bruce la descrisse come la più bella donna che avesse conosciuto in tutta la sua vita; il volto splendido non aveva una ruga e due occhi immensi illuminavano un sorriso radioso.
La regina l’invitò a sedere vicino a lei e lui rimase turbato da quella dolce presenza e incantato da due mani perfette che, con movimenti lenti e distesi,aggiustavano o completavano le ingenue pitture dei bimbi; lei sembrava la sorella maggiore delle bambine assise che la circondavano implorando il suo magistrale intervento. Mentuab, secondo Bruce, era un’ottima pittrice e il suo giudizio era importante poiché lui stesso disegnava con mano esperta i luoghi, le cose e le persone che voleva mantenere vive nella sua mente.
Anche la regina rimase colpita dall’affascinante presenza dell’esploratore europeo non tanto per la sua eleganza e per la sua statuaria bellezza, quanto per la vasta cultura che quell’uomo esternava e difatti lei tralasciò presto i convenevoli che imponeva la tradizione abissina, per affrontare l’argomento che più le stava a cuore in quel momento, implorando l’aiuto del viaggiatore scozzese a debellare quella terribile epidemia scoppiata nella sua terra.
Bruce, che non sarebbe mai riuscito a negarle qualcosa, le assicurò il suo aiuto, tracciando le misure igieniche più urgenti da adottare per cercare di ridurre al minimo il contagio: lui consigliò la regina di rimanere nella sua residenza senza tornare a Gondar e, cercando di diminuire le fonti del contagio, l’invitò a chiudere tutti gli ingressi della grande tenuta di Cusquam non facendo entrare nessuno, neppure il figlio più grande che era l’erede al trono.
Quando la regina fu più che certa che Bruce avrebbe fatto tutto il possibile per limitare i grossi danni provocati dall’epidemia, informò Bruce che conosceva le ragioni del suo viaggio in Etiopia, ma non c’era bisogno di aiutarlo a trovare l’origine del grande fiume Abbai,quello che gli europei chiamavano il Nilo Azzurro,perché tutti gli indigeni erano a conoscenza del luogo dove nasceva e quello dove il fiume usciva dall’Etiopia per entrare nel Sudan.
Lei, però lo avrebbe aiutato a impiantare quel commercio di caffè che lui desiderava. Bruce che sovrastava per altezza quella stupenda donna, si sentì una nullità per non essere riuscito a tenere nascoste le sue mire, ma Mentuab, che si aspettava proprio quella reazione, fece sospendere i giochi di pittura dei bimbi e il vasto prato si popolò in un baleno di carri carichi di arbusti che Bruce riconobbe subito trattarsi di piante di caffè.
Meravigliato da tanta abbondanza in un posto relativamente lontano dal Caffa, la regione che lui ambiva visitare per i suoi scopi commerciali, chiese alla regina come fosse riuscita a fare giungere a Gondar piante ancora fresche e zeppe di rosse bacche di caffè:lei, ancora una volta lo sorprese informandolo che attorno al lago Tzana, esistevano da sempre vaste piantagioni di caffè che i suoi sudditi amavano consumare in abbondanza.
Mentre la regina parlava, alcune ancelle allestirono di fronte al gazebo un fornello in pietra con un fuocovivo e scoppiettante; accanto disposero vari recipienti e di fronte alcuni cuscini sui quali si adagiò Mentuab, invitando Bruce a fare altrettanto. L’inglese si tolse la spada e si sedette accanto alla regina che l’informò di voler preparare personalmente il caffè per lui, fatto questo molto raro e riservato solo a persone del tutto speciali. La regina, aiutata da due giovani,colse direttamente dalle piante che erano nei carri, un cestino di bacche che con calma cominciarono ad aprire per raccogliere i chicchi. In un altro fornello, anche questo acceso, misero a bruciare gocce di resine varie e profumatissime tanto che il Bruce fu in pochi attimi trasportato in un mondo magico dove Mentuab appariva in tutta la sua bellezza conducendolo alla scoperta di un mondo celestiale.
Bruce aveva già avuto modo di assistere sia a Massaua sia nei luoghi attraversati per giungere nel cuore dell’Etiopia al rituale della preparazione del caffè e ne era stato piacevolmente impressionato, ma lì a Cusquam, sia per gli effetti degli effluvi delle sostanze bruciate, sia per la presenza di quella donna stupenda, lui si sentì rapito e trasportato in un mondo di sogni. Intanto Mentuab e le giovani allontanarono il fornello con i profumi e posero sull’altro una padellina con una manciata di semi di caffè crudi.
Ai profumi degli incensi e delle resine bruciate, si sostituì in modo rapido l’aroma del caffè tostato che saturò l’aria e scosse Bruce che era scivolato in una sorta di deliquio. La regina non profferiva parola, conoscendo bene i piacevoli effetti che provocavano nell’animo umano le sostanze impiegate nel suo rituale e da lei personalmente scelte proprio per colpire l’animo di quell’uomo, l’unico che, in quel momento difficile della sua vita, potesse aiutarla.
Nel frattempo Bruce, eccitato dall’intenso aroma del caffè tostato, non si accorse che al momento di toglierlo dal fuoco, la regina pose altre resine sull’altro fornello con relative emissioni di altri aromi che trasportarono nuovamente l’inglese in una nuova dimensione surreale di benessere e beatitudine, godendosi la presenza dell’incantevole Mentuab; lei,dopo aver fatto pestare in un mortaio i chicchi di caffè ancora caldi, aggiunse alla polvere ottenuta una generosa dose di zenzero secco grattugiato lì per lì da una delle ancelle; per ultimo versò alcuni cucchiai di miele e una giusta quantità di acqua; quindi rimescolò il tutto nello stesso mortaio, agitando delicatamente il contenuto per poi travasarlo dentro un recipiente di coccio dal collo allungato che appoggiò direttamente sul fuoco; nell’aria si diffuse un nuovo profumo di caffè speziato che riportò Bruce nella dimensione reale mentre dentro di lui si faceva sempre più impellente il desiderio di bere quel liquido o meglio quella pozione il cui profumo sortiva invitante e seducente dal becco dal bricco di coccio nero.
Due ancelle crearono con i cuscini una sorta di sedile rotondo e posero nel centro un tavolino basso, dove depositarono una ventina di tazzine da caffè senza manico decorate con fini miniature di composizioni floreali. Mentuab spiegò quindi all’ospite che le due ancelle assise assieme a loro, erano due delle sue figlie, le più piccole. Bruce rimase interdetto non sapendo come chiarire l‘equivoco essendo le due donne in oggetto visibilmente più anziane della regina che comprese il dubbio dell’inglese ma preferì rimandare le spiegazioni invitandolo invece a gustare quel magico caffè versato dalle ancelle nelle giuste tazzine; lui non si fece pregare e assaporò quel nettare denso e perfettamente dolcificato che si trangugiava in un baleno creando immediata la necessità di berne dell’altro: non riuscì a chiedere o a commentare la bontà della bevanda perché gli fu posta di fronte un’altra tazzina colma di quel caffè straordinario che faceva solo sperare di poterne bere ad libitum.
Mentuab gli spiegò che il bricco del caffè doveva compiere continui giri del tavolo riempiendo le tazzine almeno tre volte, o anche sei o nove rispettando la tradizione abissina che credeva nella magia del numero tre; lei confidò all’ospite anche il perché la bevanda diventava a ogni giro più buona: il caffè tutte le volte che passava dal lungo collo si arricchiva di profumo e sapori estratti dai sedimenti trattenuti da un filtro vegetale inserito all’interno del collo stesso.
Da come la descrisse nei suoi diari, l’esploratore scozzese doveva essersi per forza innamorato a prima vista di quella donna che non esitò a definire un essere meraviglioso e che non ricordava di averne mai conosciuta una più bella. In compenso Bruce era molto lusingato dal fatto che la regina lo esaltasse pubblicamente facendogli nascere nel cuore un sentimento profondo di ammirazione e di desiderio; tuttavia se aveva fatto dei sogni, questi s’infransero nella realtà quando, durante la cena che fu servita al tramonto, lei gli confidò con sincerità che era perdutamente innamorata e legata al capitano delle sue guardie da oltre un trentennio; da lui aveva avuto un figlio e quattro figlie, due delle quali in quel momento presenti a Cusquam, ambedue di oltre trenta anni. Lo stupore di Bruce raggiunse il massimo quando Mentuab ammise che di anni lei ne aveva sessantatre.
Lui a quel tempo ne aveva trentanove, ma si sentiva più anziano di quella donna che mostrava meno della metà dei suoi anni. In compenso Mentuab promise al deluso scozzese di fornirgli tutti gli aiuti necessari per recarsi sul lago Tzana a fare i rilievi del suo fiume con lettere di presentazione per i religiosi responsabili delle piantagioni di caffè che, oltre a circondare il lago, occupavano la maggior parte del fertile terreno che ricopriva le numerose isole. I coltivatori di caffè erano, infatti, tutti frati devoti alla regina che incassava la metà dei proventi ricavati dalla vendita dei chicchi.
Dai religiosi lui avrebbe poi saputo quali fossero le piante migliori, e quali avessero potuto affrontare e sopportare un viaggio così lungo per giungere in Europa. Bruce rimase a Cusquam un paio giorni nei quali ebbe la piacevole compagnia della regina che l’invitò a confrontarsi in gare di disegno e di pittura; lei inoltre gli narrò tutte le leggende che circolavano sull’origine del caffè.
Di certo il caffè in Etiopia, a memoria di uomo, era stato sempre considerato un ottimo alimento e Mentuab raccontò che alcuni abitanti delle rive del grande lago si nutrivano ancora con la polpa delle bacche del caffè e che solo di recente si era iniziato a usare il miele per addolcire la bevanda ottenuta con i semi tostati.
Molti anni prima, una volta scoperte le proprietà stimolanti ed eccitanti del caffè, gli abissini avevano usato il sale per dare alla bevanda un sapore meno amaro. La regina poi rivelò che, fra le tante storie che circolavano sulla scoperta del caffè, lei preferiva quella che raccontava di un pastorello che in un tempo lontano si accorse che le sue capre si eccitavano a dismisura quando ingerivano le bacche di caffè; il giovane ne parlò con un uomo di chiesa che,incuriosito, volle rendersi conto di persona e appurò che le capre si eccitavano in maniera esagerata dopo aver mangiato le bacche; subito volle provare lui stesso quell’effetto e rimase impressionato dalla piacevole sensazione provata.
Il religioso informò i confratelli che vollero tutti fare la medesima gradevole esperienza e iniziarono a coltivare nei loro orti le piante di caffè le cui bacche sembravano ridare forza al fisico e serenità allo spirito. Una sera poi i frati misero per sbaglio su un focolare, assieme alla legna da ardere, un arbusto di caffè zeppo di bacche e furono quasi intimoriti dal profumo intenso che si diffuse all’intorno; qualcuno pensò che poteva essere un’opera del demonio perché quella fragranza dava piacere.
Altri frati però sostennero che il profumo così delizioso e benefico poteva essere solo di origine celestiale. Ci volle altro tempo per imparare ad abbrustolire solo i semi, a trovare la migliore tostatura e infine con l’aggiunta del miele e dello zenzero, avevano creato una bevanda squisita e stimolante che gli abissini avevano introdotto nella loro quotidianità.
Bruce pendeva dalle labbra di Mentuab e non si sarebbe mai stancato di ascoltare quella voce melodiosa che sortiva dalla bocca di un essere così perfetto e così amabile, ma fu la stessa regina che lo spinse a tornare a Gondar: doveva in tutti i modi cercare di arrestare l’epidemia che stava portando morte e disperazione fra i suoi sudditi. Bruce si diede subito da fare riunendo i notabili della città assieme a un medico greco che operava nella zona e a cinque uomini di medicina del luogo.
Suggerì quelle misure igieniche che aveva visto adottare in Inghilterra in caso di epidemie: fece raccogliere tutti i malati in un unico edificio senza che parenti o amici potessero venire a trovarli; convinse di dare fuoco a tutto ciò che si trovava all’interno delle stanze dove avevano giaciuto gli infermi e consigliò poi di far bere ai malati molta acqua, raccomandando inoltre di far somministrare loro, per aiutarli a reagire, caffè allo zenzero in dosi generose.
Fece infine chiudere tutte le porte della città senza fare entrare nessuno che desse segni della malattia. I risultati delle misure dello scozzese furono presto evidenti e il numero dei malati cominciò a decrescere, permettendo a Bruce di lasciare Gondar in forte ripresa.
Si recò quindi a Cusquam a salutare Mentuab che trovò intenta a preparare i salvacondotti per il suo viaggio e inoltre non gli permise di partire solo, com’era solito fare, ma lo costrinse ad accettare cinque uomini della sua guardia che lo avrebbero protetto dai banditi che s’infiltravano in Etiopia dalla Numidia.
Mentuab era felice per le buone notizie che giungevano da Gondar e le dispiaceva veder partire Bruce che in pochi giorni le aveva toccato il cuore. Si lasciarono ambedue con una nota di malinconia e con la speranza di rivedersi presto. Gondar era a un giorno di marcia dal lago Tzana e quindi l’esploratore bianco si ritrovò presto in mezzo a un territorio verdissimo, dove i fitti boschi rendevano difficile la visione dell’acqua a causa delle radici degli alberi che arrivavano a occupare le rive:tuttavia proseguì lesto, rendendosi presto conto che gli abissini avevano ragione e il grande fiume Addai partiva proprio da dove lo avevano segnalato. Fare i rilievi e disegnare i paesaggi gli chiedeva tempo che tuttavia trascorse veloce fino a quando non gli giunse un messaggio da Mentuab, scritto in “ghez“, la lingua degli abissini che ormai lui conosceva:
“Amico mio, sto molto male, non so cosa ho, ma ti prego torna subito a bere con me un caffè”.
Bruce non sapeva cosa pensare; aveva lasciato la regina in ottime condizioni fisiche e non riusciva a immaginare cosa potesse essere accaduto. In ogni caso, lui non perse tempo e riprese subito la via del ritorno; si era spinto molto a Nord e aveva trovato quelle stupende cascate del Nilo Azzurro che gli abissini erano certi esistessero, ma che nessuno fino allora aveva trovato.
Camminava svelto e tralasciò di occuparsi del commercio del caffè che aveva deciso di affrontare durante il suo ritorno. Quando fu a un giorno da Gondar, fu raggiunto da un messo di corte che l’informò della morte della regina. Lo stupore superò lo strazio che gli lacerò il petto e fece quasi di corsa gli ultimi chilometri che lo separavano da quella donna che gli aveva toccato il cuore. Gli vennero incontro le figlie piangenti, ma lui volle essere accompagnato subito nella cripta, dove Mentuab era stata posta, ricoperta di resine particolari che, in un luogo asciutto e ventilato, avrebbero permesso la mummificazione del corpo.
Bruce chiese di poter rimanere solo e non si sa quanto rimase accanto alla salma di Mentuab; è noto invece che quando uscì dalla cripta piangeva, lasciando stupiti gli astanti e i singhiozzi divennero più disperati quando una delle figlie l’avvicinò per consegnargli una piccola scatola che la regina gli aveva lasciato: l’aprì con mani tremanti, e ancor più commosso estrasse un sacchetto pieno di chicchi di caffè fra i quali spiccava una bianca radice di zenzero.
Nicky Di Paolo, 24 settembre 2017