
Avevo avuto la possibilità di leggere “I didn’t do it for you” di Michela Wrong anni fa, quando era appena uscito e, dopo averne notato una recensione sul Financial Times on-line, me ne procurai una copia in Inghilterra, dove ha avuto un grande successo, anche grazie all’importanza del suo editore, Fourth Estate. Ho accolto quindi con favore l’uscita della traduzione italiana, anche se mi lascia perplessa la scelta editoriale di lasciare il titolo in inglese, mentre forse titolare “Non l’ho fatto per te” meglio spiegherebbe il sottotitolo “Come le nazioni del mondo hanno usato e abusato di un piccolo stato africano”. Anzi, a dire il vero l’autrice non dice “Stato”, ma “nazione”, che è un concetto diverso dallo Stato.
Il testo della Wrong infatti si pone lo scopo di far conoscere le vicissitudini storiche dell’Eritrea, nazione che si è data da fare per diventare Stato, dagli anni del primissimo colonialismo italiano a quelli più recenti della nascita, appunto, dello Stato indipendente.
Sarebbe stato utile, per il lettore italiano che poco o nulla sa dell’Eritrea e che normalmente la ritiene “una colonia fascista” pur essendo stata creata un cinquantennio prima dell’epoca fascista (accomunandola in questo alla Libia, dato che ben pochi sanno della guerra del 1911-12 e che molti turisti credono che l’aspetto prettamente italiano di certe cittadine nelle isole del Dodecaneso sia dovuto forse, chissà, all’aggressione alla Grecia del 1940) sarebbe stato utile, dicevo, creare magari un’edizione annotata, per commentare, ad esempio, il fatto che non è vero che il porto di Massaua venne bloccato dagli auto-affondamenti tedeschi (c’erano solo sei mercantili tedeschi) ma da decine di battelli italiani, e i loro comandanti non agirono “per dispetto”, come scrive la Wrong (“spite”) ma per evitare l’umiliazione di farli cadere in mano nemica (l’Autrice, inglese, certo ricorda quel che fecero i tedeschi a Scapa Flow durante la I^ guerra mondiale; sì, anche gli italiani si sono comportati con lo stesso orgoglio) v. https://www.ilcornodafrica.it/st-melecascapaflow.pdf ; o che i numerosi “Ascari ignoti” del cimitero militare di Cheren sono dovuti al fatto che la loro divisa non prevedeva la piastrina di riconoscimento, ma anche al fatto che le autorità britanniche permisero un frettolosissimo recupero delle salme dei nemici solo un anno dopo la battaglia (tant’è vero che sono molti anche gli italiani “ignoti”).
Ma ancora più utile sarebbe stato, a mio parere, affidare la traduzione a qualcuno che conoscesse un poco l’Eritrea, oppure farla revisionare, per evitare certi errori che sono dovuti anche a comprensibili difficoltà nella comprensione del testo da parte chi non conosce il paese.
Tradurre, intendiamoci, è sempre difficile; anche se in questo caso non si tratta di un romanzo né tantomeno di un testo poetico, mi rendo conto che è comunque un saggio di stampo giornalistico, con un linguaggio accattivante e talvolta metaforico, che occorre interpretare. Proprio per questo sarebbe stato utile un controllo da parte di qualche altro conoscitore dell’Eritrea, nonché , forse, un maggiore lavoro di coordinazione tra i due traduttori.
I nomi geografici sono generalmente stati copiati pari pari dall’inglese, mentre hanno una loro grafia diffusa in italiano (tanto più che spesso sono stati mappati per la prima volta proprio da italiani). Nessuno si sognerebbe di lasciare Leghorn per Livorno, o Paris per Parigi. Non si vede quindi perché usare Gonder per Gondar, Baraka per Barca (che la Wrong peraltro aveva scritto come Barka); l’altipiano di Hamasien anziché dell’Hamasien (l’Hamasien è una regione; sarebbe come scrivere “le montagne di Trentino” o “l’altipiano di Abruzzo”); il “Re dello Shewa” mi ha lasciato un attimo perplessa, poi ho capito in base al contesto che si trattava di Menelik, re dello Scioa; Wal Wal è riportato su tutti i giornali dell’epoca e anche sui libri di storia odierni come Ual Ual; anche Keren, se vogliamo, benché diffuso, è un inutile anglismo per Cheren.
Riporto qui ALCUNI errori o inesattezze che ho notato nella versione:
– Pag. 7 :
un trio di commercianti senegalesi rimasti a terra, che urlavano con voci da soprano.
Il che fa pensare a un trio di transessuali: maschi con voci femminili. In effetti, la Wrong parla di “Senegalese women traders”. Ma vabbé, può essere un refuso di stampa. Andiamo dunque avanti.
– p. 9: ” la storia è scritta – o più precisamente , riscritta– dai vincitori.
No. E’ una delle frasi che mi ha fatto apprezzare la Wrong, che scrive: history is written – or, more accurately, written out”
Written out in questo caso significa “cancellata, nascosta”, non “riscritta”. I vincitori non perdono tempo a riscrivere, semplicemente e più economicamente cancellano. Che la storia sia scritta dai vincitori è un luogo comune; che sia “cancellata” è un’osservazione intelligente, confermata del resto da quanto l’autrice scrive nello stesso paragrafo: “Eritrea has been lost in the milk haze of amnesia” “l’Eritrea è stata perduta nella nebbia lattiginosa della dimenticanza” ( mi soffermo un attimo a far notare che l’espressione dei traduttori “l’Eritrea si è persa nell’oblio” è un po’ ambigua, facendo magari pensare a un “si” riflessivo, anziché passivante); “better to forget than dwell …” “meglio dimenticare che rivangare …”
– Il 1° cap. La città sopra le nuvole è uno tra i meno scorrevoli. Spesso la versione è forzata o circonvoluta. Riporto solo qualche esempio:
Per esempio: p. 17: The locals handle the contrast in temperatures with a practised twitch of their white cotton shawls” viene tradotto con “accorto strattone”. Per chi ha visto il rapido ed elegante gesto con cui gli eritrei, uomini e donne, si drappeggiano il costume tradizionale sa che non si sognano certo di “strattonarlo”; “twitch” in questo caso indica un veloce gesto roteante, “si adattano alla differenza fra le temperature avvolgendosi abilmente”; per inciso, l’inglese shemmah ha il suo corrispondente italiano: sciamma.
p- 19 : “Its beauty has a sombre tinge, for it has been premised on tragedy” “La sua bellezza tuttavia ha una tinta fosca, perché si fonda sulle premesse di una tragedia” . Perché quel giro di parole? “ Si fonda su una tragedia”, punto.
“ the nostalgia of that borrowed memory” “la nostalgia di questo prestito della memoria” Eh? “nostalgia del prestito della memoria”? Magari vuol dire qualcosa come “la nostalgia di quei ricordi di famiglia” (to borrow non vuol dire solo “prestare”, ma anche “derivare”; l’ A. stava parlando di un vecchio album di foto, da cui ha forse derivato la sua felicità nel trovarsi ad Asmara. Sensazione, peraltro, che è uguale a quella che io stessa ho provato la prima volta che sono andata in Eritrea).
p. 22 : “L’esperienza italiana è così centrale per il senso d’ identità dell’Eritrea e dell’Etiopia, che si rivela per come ciascuna delle due nazioni si misura sull’altra (?). Durante la guerra ….” Non sarebbe più semplice e soprattutto più chiaro, scrivere “L’esperienza italiana è talmente centrale per il senso di identità di Eritrea e di Etiopia, per l’auto-stima di ognuna delle due nazioni nei confronti dell’altra, che durante la guerra …” So central is the Italian experience to both Eritrea and Ethiopia’s sense of identity, to how each nation measures itself against the other, that during the war…. Sarebbe davvero da notare il contrasto fra i due Stati
Per il I° capitolo, mi fermo qui. Andiamo avanti.
– Il 2° capitolo (quello sull’ “ultimo italiano”) quando l’ho letto in inglese è stato così interessante che poi, alla prima occasione, ad Asmara sono andata a cercare e visitare la tomba dei Cicoria (ci ho trovato anche Filippo, nel frattempo deceduto).

Il capitolo è dedicato, più che a Filippo Cicoria, persona alla quale certo non varrebbe la pena di dedicare tante pagine, a delineare la figura di Ferdinando Martini.
Curiosamente, si trova anche qui (intendiamoci, non è certo fondamentale, ma è indicativa) quella disinvoltura nella versione dei generi che abbiamo trovato per i/le commercianti senegalesi: le “young eritrean girls” dell’A. sono diventate, a pag. 55, “fanciulli eritrei”; vero che Martini, in Nell’Affrica italiana, parla di fanciulli, ma la versione non deve correggere un autore, a mio parere; oppure, bastava mettere una noticina.
Ma andiamo al cap. 3°, quello sulla ferrovia :
– pag. 63: Tra un sobbalzo e l’altro, mentre la vettura arrancava lungo i tornanti tra Asmara e Massaua…;
un’auto che arranca da Asmara a Massaua, e non il contrario, significa non solo tradire la geomorfologia dell’ Eritrea, ma anche non avere notato che precedentemente era stato messo in chiaro che Asmara è a 2400 metri, Massaua a livello mare. Il testo originale è: “Lurching from side to side while the car took he hairpin bends on the road from Asmara to Massawa…” Nessun riferimento a faticosi arrancamenti.
– Nella stessa pagina così viene tradotto il tipico modo di camminare degli eritrei:
“il bastone da passeggio a tracolla e le mani a penzoloni sui fianchi, con l’aspetto di prigionieri di guerra.
E anche questo è un errore madornale dovuto a poca conoscenza del paese, perché la Wrong correttamente dice: “walking stick slung across the shoulders, hands flopped, prisoners-of-war like, from the pole”.
Quelle mani a penzoloni sui fianchi non esistono. Anche quel bastone da passeggio, evocatore di gentiluomini vittoriani, messo curiosamente a tracolla come fosse la borsetta di una signora, lascia perplesso chiunque abbia visto i pastori eritrei, che mettono il nodoso bastone da cammino di traverso sulle spalle, appoggiandoci gli avambracci e lasciando penzolare le mani. Altrimenti non si capisce perché la Wrong li paragoni a prigionieri di guerra (che evidentemente non portano il bastone da passeggio a tracolla e le mani lungo i fianchi….)

Quanto alla ferrovia, a pag. 74 c’è una vera incongruenza. Queste le parole che Martini avrebbe scritto più di una volta nel suo diario : la ferrovia “sarebbe il solo, vero, efficace rimedio a parecchie delle piaghe che travagliano la colonia. Forse a tutte”
Nell’originale, la Wrong, citando Martini, nello stesso punto del testo scrive: ” -The railway means peace, both inside and ouside our borders, and huge savings on the budget- he told his diary, time and again“ “La ferrovia significa pace, sia dentro che fuori dai confini, e un notevole risparmio di soldi”
Frasi, ammetterete, parecchio diverse.. In effetti, esiste nel testo della Wrong la frase relativa al “rimedio alle piaghe della colonia”, ma alla fine di quel paragrafo. In pratica, è sparito qualsiasi riferimento alla ferrovia come opera di pace, e le citazioni sono state spostate. Se i traduttori hanno controllato sull’originale di Martini, non so. E’ probabile. Ma non è motivo, credo, sufficiente per alterare il testo.
p.82: Ras Tafari, “the former Abyssinian regent” è diventato, con mia enorme preoccupazione , “il vecchio reggente abissino” anziché “l’ex-reggente”. Che a poco più di quarant’anni (Haile Sellassie era nato nel 1892 e si sta parlando dello scoppio della guerra d’Etiopia nel 1935) si venga trattati da vecchi, alla mia età è stata una stilettata.
Andiamo al 4° capitolo, sulla battaglia di Cheren, a cui la mia lettura si è fermata:
– Nel titolo, la terribile salita di Cheren, vista da Agordat da cui venivano le truppe britanniche “This horrible escarpment” è diventato un “orribile precipizio“! Eppure la Wrong prende il titolo dalla dichiarazione del gen.Platt “it was a question of fighting this horrible escarpment…” che a pag. 99 viene infatti tradotto “terribile scarpata”.
pretitolo:
Era il contrario di qualsiasi libro fosse mai stato scritto, ma in ogni caso venne alla luce.
Che significa? “Venne alla luce” tipo reperto archeologico? E perché “il contrario di qualsiasi libro”?
“It was contrary to ever book that had ever been written, but it came off” è una citazione di Platt riportata dalla Wrong, che a pag. 108 viene tradotta “qualsiasi libro mai scritto avrebbe consigliato il contrario, ma alla fine nonostante tutto riuscimmo nell’intento”. Si ha l’impressione che i due traduttori non abbiano letto quanto loro stessi hanno tradotto.
– ma quando ho letto, poche righe sotto il titolo, a pag. 91, che
“gli abitanti della città ogni settimana si recano in gita a visitare uno scrigno sacro (Holy Shrine) nascosto nella cavità di un antico baobab” ho mollato la lettura, perché tanto conoscevo il resto.. Qualsiasi frettoloso turista che si rechi anche per pochi giorni in Eritrea viene accompagnato a visitare il luogo di culto interreligioso (cattolico, ortodosso, islamico) più famoso dell’Eritrea, cioè la Cappella mariana, ovvero “Madonna del baobab”, che non ha nulla a che fare con uno scrigno. Del resto, basta digitare “Holy Shrine Keren” per vedere le immagini relative.

Volevo francamente mollare lì, ma mi sono azzardata oltre per un po’:
A pag. 93 si parla degli Italiani come “un nemico da barzelletta” “ Eh no! La Wrong parla di “an enemy regarded as a joke”, “considerato da barzelletta”. Gli Italiani non erano affatto da barzelletta, lo hanno appunto dimostrato anche a Cheren, e proprio averli considerati tali è stato un grosso errore di valutazione da parte britannica.
Mi sono fermata qui.
Buona lettura.
Valeria Isacchini
novembre 2017