Nicky Di Paolo, 10-04-05

È da tempo che avevo intenzione di scrivere una serie di biografie di  italiani che hanno lasciato un segno nel Corno d’Africa e alla fine mi sono deciso.

Di una cosa sono sempre stato convinto: non mi sarei occupato dei militari in quanto non ho una cultura specifica per poter trattare di questi ultimi, ma ero ugualmente esitante su come iniziare questa nuova rubrica, se farmi da capo o scegliere a caso, quando improvvisamente ho capito che non c’era bisogno di partire da lontano, anzi forse la cosa migliore era quella di iniziare presentando un personaggio attuale e ancora poco conosciuto.

Ho avuto di recente la ventura di imbattermi in un individuo molto particolare, o meglio in una coppia che venera l’Africa e più in particolare il Corno d’Africa.

Il mio impatto con questi  personaggi è stato per lo meno curioso. Un giorno di otto mesi fa ricevetti una lettera. Era un elenco di imprecisioni scritte nei miei libri. Chi pubblica è abituato a queste missive: meno male che arrivano anche  lettere che ti  sollevano il morale. Mentre alle seconde rispondi volentieri  instaurando con chi ha scritto una immediata simpatia, verso gli autori delle prime provi un’istantanea resistenza a allacciare anche un rapporto epistolare.

Invero i critici, di qualsiasi tipo, non mi sono mai piaciuti perché ritengo che vivano della creatività altrui. In altre parole si potrebbe dire che c’è chi fa e c’è chi critica. 

Tuttavia quella lettera aveva un qualcosa che mi spinse a rispondere di getto al mittente: contestai molte valutazioni, di tante altre dovetti constatarne la giustezza, ma la cosa più curiosa fu che avvertii la necessità di instaurare un dialogo  con il mio nuovo critico. Fatto sta che in pochi giorni  scambiai  decine di e-mail che man mano riuscivano a sciogliere quel gelo iniziale che incombeva sugli scritti di ambedue.

Cominciai a capire che il mio interlocutore era sicuramente  uomo di eccellente cultura e allorché mi inviò alcune immagini del Corno d’Africa riprese da lui, capii che mi trovavo di fronte anche ad un ottimo fotografo, capace di cogliere ciò che l’Africa riesce ad elargire solo a chi è profondamente in correlazione con quella terra.

Non era solo un critico, era capace di vedere, di capire e di creare.

Ma le sorprese non finivano mai. Alberto Vascon, questo è il  nome dell’uomo, continuò ogni giorno ad impressionarmi con le sue continue e sempre entusiasmanti visioni delle Eritrea e dell’Etiopia.

Quando poi iniziò ad inviarmi i suoi CD dove aveva registrato, in presentazioni intelligenti, migliaia di immagini di escursioni in territori dell’Abissinia, della Dancalia e del resto dell’Etiopia  pressoché sconosciuti, allora mi resi conto che mi trovavo di fronte ad un personaggio di altri tempi, forse all’ultimo degli esploratori.

Nelle compilation di fotografie sempre perfette, sempre ricche di tanta poesia e di tanto amore per quei luoghi  era presente spesso la figura di una donna che presto identificai come Bianca Cremonesi, la moglie di Alberto. 

Scorrendo le foto si deduceva subito che si trattava di una coppia molto affiatata che aveva in comune non solo il mal d’Africa, ma anche e direi sopratutto  il desiderio di una ricerca continua di luoghi nascosti, inviolati, magici.

E’ bene ora che passi dalla narrazione al passato, a quella al presente, perché quei due sono ben lungi da attaccare al chiodo lo zaino, ma trascorrono tuttora la loro vita a progettare vere e proprie spedizioni nel Corno e, quello che è più importante ad attuarle. Malgrado siano in pensione da tempo.

La coppia viaggia sempre  da sola, di solito in  fuoristrada, ma anche a dorso di cavallo o di mulo, e molto spesso a piedi percorrendo centinaia e centinaia di chilometri lontano da qualsiasi pista, lontano da qualsiasi centro abitato. Coraggio da vendere quindi ma soprattutto tanta voglia di vivere l’Africa come molti di noi  sperano invano di riuscirci in  un ipotetico giorno della propria esistenza.

Vado in Africa spesso, giro per l’Eritrea e per l’Etiopia, ma non mi sono mai sognato di fare centinaia di chilometri con qualsiasi mezzo o a piedi per la Dancalia oppure di salire in cima al Ras Dascian  assieme ad una compagna e ad un paio di portatori. Non mi è mai passato per la mente di arrivare fino alle falde dell’Erte Ale, il mitico vulcano della Dancalia, meta ardua e ambita da tanti intrepidi, e poi raggiungere la bocca dell’orrido a piedi. Non ne ho il coraggio né tantomeno il fisico. Alberto, che ha qualche anno più di me, evidentemente possiede ambedue.

Poi ho scoperto che sono lustri e lustri che quei due continuano a scorrazzare per l’Abissinia e tutte le terre limitrofi documentando con accuratezza e puntigliosità tutti i dettagli geografici, etnici ed ambientali  producendo una mole di materiale quanto mai prezioso ai fini scientifici oltre che naturalmente turistici.

Appena  conosci Alberto,  diventa subito evidente che non sopporta che qualcuno scriva imperfezioni sul Corno. Lettore instancabile, non ha alcun timore a prendere carta e penna e contestare  chiunque commetta errori, rilevando le eventuali inesattezze riportate. Non credo ci sia stato qualcuno che si riuscito ad ovviare alla sua critica.

Ma chi sono questi ultimi esploratori? A loro non piace essere chiamati con tale nome,  ma insisto  in quanto,  come vedremo appresso, la loro storia non si discosta da quella dei primi esploratori italiani giunti nel Corno d’Africa.

Alberto è nato a Capodistria nel 1934 e a 4 anni, assieme ad un fratello e alla madre, giunse  ad Addis Abeba, dove il padre lavorava già da tempo. Nel 1947 la famiglia si trasferì all’Asmara per poi, dieci anni dopo, tornare ad Addis Abeba.

Nel 1962 conobbe Bianca, insegnante di inglese. Si sposarono nel 1967 ed iniziarono subito a lavorare nell’interno dell’Etiopia,  in cantieri di grandi opere pubbliche; il loro primo ingaggio lo ebbero per la realizzazione della diga di Legadadi, costruita per l’approvvigionamento idrico della capitale. Solitamente  lavoravano sempre in luoghi molto isolati. Lei, figlia di un alpinista, ha al suo attivo le scalate dei monti più alti dell’Africa: è salita sulle vette del Kilimangiaro, del Ruwenzori, del monte Kenia e del Ras Dascian; è la compagna ideale per un personaggio particolare quale è Alberto. Non credo che ci siano tante donne disposte a seguire un uomo nelle spedizioni più spericolate. Il ruolo di Bianca invece, se ho capito bene, è quello di stimolarlo e mai frenarlo. Durante le spedizioni è lei che pianifica le scalate ed è lei che riprende con la cinepresa, mentre Alberto si dà da fare con le macchine fotografiche.

Dal momento del matrimonio  la loro vita è trascorsa tra lavoro e  intrepide spedizioni in Eritrea e in Etiopia alla ricerca di luoghi da scoprire, di genti da conoscere, di paesaggi ed animali da fotografare.

Le immagini di Alberto hanno del fantastico, ti toccano nel profondo,  trasmettendo sempre il patos con cui sono state scattate. Ma soprattutto ti fanno riconoscere l’Africa che ami, ti fanno sentire “a casa”, ti trasportano dentro le loro avventure, ti inducono a toccare con mano tutto quello che tu non hai mai avuto il coraggio di andare a vedere.

Le compilation di Alberto mi commuovono: mi danno le medesime sensazioni che provo visitando musei importanti, mostre di grandi pittori, ma soprattutto mi entusiasmano perché mi fanno conoscere meglio i posti dove sono nato e dove avrei voluto vivere sempre.

Le storie di viaggio di Alberto e Bianca sono veri e propri romanzi di avventura: tutte le loro spedizioni hanno l’impronta dell’alea.

A titolo di esempio ricorderò l’ultima, effettuata l’anno scorso, quando quei due temerari decisero di traversare la Dancalia settentrionale in solitaria.

La Dancalia ha sempre sollecitato la fantasia degli esploratori, dei viaggiatori ed anche dei turisti; traversata dall’equatore termico, ha da mostrare a chi ci si avventura i suoi assolati deserti, i suoi spaventosi vulcani, la sua sconfinata depressione, il suo clima infernale, i suoi crudeli abitanti; la mancanza assoluta di punti di riferimento della civiltà, le piste difficili, il pericolo dei danni solari, scoraggiano però anche i più ardimentosi.

Tanto per rendersi conto della portata dell’impresa, basterà ricordare che le traversate della Dancalia settentrionale, dopo quelle dei mitici esploratori degli anni venti (Franchetti, Nesbitt, Vinassa de Regny,)  sono state ben poche: tre furono  realizzate dal CAI di Asmara negli anni settanta in gruppi nutriti di persone, nel 1995 il vulcanologo inglese Clive Oppenheimer tentò una spedizione sull’Erta Ale, ma dancali armati glielo impedirono.

Nel 1997 riuscì invece a raggiungere l’Erta Ale una spedizione di Argonauti Explorers: questi si cautelarono viaggiando con ben sette fuoristrada, ma senza attraversare la Dancalia,; nel 95, infatti, erano stati sequestrati dai Dancali per due settimane nel tentativo di fare la traversata.

Dopo di loro nel 2001 ci hanno provato i francesi, ma le loro guide furono uccise dai dancali; una spedizione anglo-americana pochi mesi dopo dovette rinunciare per la pericolosità dell’impresa.

Se prima della guerra con l’Etiopia i dancali erano armati con lance, pugnali e forse con qualche vecchio fucile della seconda guerra mondiale, dopo il 1992 i mitra russi sono le loro armi preferite, mentre la brama di razziare non è mutata con il tempo. Quindi più pericolosi che mai, ora che la lunga guerra ha impoverito la popolazione.

Nel 2003 Alberto e Bianca decidono di sfidare tutto e tutti e progettano di andare da soli a traversare la Dancalia includendo naturalmente nella rotta la scalata dell’Erta Ale. Nessuno prima di loro aveva mai progettato per la traversata della Dancalia  nulla di più rischioso e di più arduo; impresa teoricamente impossibile per una coppia di solitari ultrasessantenni. Ma è proprio questo che li attira, che li seduce, che li spinge a gettarsi in avventure improponibili.

Eppure dai diari di viaggio non emerge  nessun patos, nessuna crisi di paura,  lo scritto è sempre lucido nel descrive minuziosamente i luoghi, le impressioni, le genti. Riporto alcune righe di Bianca sul lago Assale che meglio di qualsiasi commento possono far comprendere la serenità del viaggiatore e l’approccio culturale delle sue esplorazioni: “… la temperatura dell’aria qui supera i 40 gradi all’ombra nella stagione fresca, e raggiunge i 60 in quella calda, ma la temperatura del suolo è oggi molto più alta. E’ quanto mai curioso osservare i lavoratori che estraggono il sale  riparandosi dal sole cocente sotto la loro  futa  sostenuta da quattro bastoni piantati nel sale. Si riposano il venerdì, giorno di preghiera per gli afar, e la domenica, sacra ai cristiani dell’altipiano. Dopo qualche anno di lavoro disumano, i cavatori avranno messo da parte qualche soldo. I tigrini  torneranno sull’altipiano a comprarsi un pezzo di terra mentre gli afar acquisteranno dei cammelli e riprenderanno la loro vita di nomadi…”.

La foto di Bianca e Alberto, assieme ad una guida etiopica sull’orlo dell’orrido dell’Erta Ale, inconfondibile per il pozzo cilindrico pieno di lava fusa, dà un’idea della fierezza di questi due intrepidi, che incuranti dell’età, hanno raggiunto, senza tanto clamore, una meta ambita da tanti giovani escursionisti e studiosi, questi ultimi organizzati alla perfezione certo, ma carenti di quell’affettività che è indispensabile per realizzare obiettivi al limite delle possibilità umane; gli studiosi vanno sull’Ertale direttamente con l’elicottero.

La Dancalia è una delle tante mete conquistate da Alberto e Bianca. Hanno esplorato infatti  nel 1996 l’Etiopia meridionale:  l’Omo fino al lago Rodolfo e oltre l’Omo il Parco Nazionale dell’Omo, poi il lago Stefania, Mega, il Bale fino a Scek Hussen. Nel 1997 è la volta del Lago Tana e la scalata al Ras Dasciàn, e poi Lalibelà, Aksum, Debra Damo, per poi entrare in Eritrea e salire al Monastero del Bizen e infine riposarsi a Massaua. Nel 1998 affrontano l’Auasc, l’Harar, la Dancalia meridionale, Magdala, l’ Amba Ghescèn per poi fare i turisti a Lalibelà, a Debra Libanos, a Gibuti. Nel 1999 a Gambella poi, nello stesso anno dai  Surma e dai Mursi nella bassa valle dell’Omo.

Nel 2001 scendono (ovviamente non hanno seguito il corso del fiume, cosa impossibile, ma seguito le strade e le piste) il Nilo Azzurro fino al confine sudanese, e poi vanno nel Gheralta, e discendono  in Dancalia dall’altopiano all’Assale e Dallòl (primi turisti dopo quasi 30 anni sulla pista del sale). Nel 2002 si dedicano all’Eritrea partendo da Zala Anbessà fino a Barentù, per poi finire alle isole Dahlak, mettendo assieme decine di migliaia di immagini, chilometri di pellicole, centinaia di pagine di annotazioni. Ho tutte le compilation di Vascon:  mi sono goduto “Dancalia”, “Etiopia fuoristrada”, “Rosa abyssinica”,  ma ci sono anche  moltissimi filmati e tanti appunti di viaggio su cui ora Alberto  lavora per poter rendere disponibile la grande mole di dati raccolti.

Alberto e Bianca diventano poi spassosi quando ci raccontano i lati comici delle loro avventure. Sempre traversando la Dancalia ad esempio si soffermano in un’oasi molto vasta. Quando però vogliono ripartire, non riescono più a trovare la via d’uscita. Ci vogliono alcune ore ed una guida.

I coniugi Vascon sono, a mio parere, due italiani eccellenti che danno un notevole aiuto al Corno d’Africa, trasportando in Europa messaggi visivi incantevoli, immagini  istruttive e sensazioni coinvolgenti.