Un SM-75 GA-RT

Vincenzo Meleca, 27 marzo 2017

9 maggio 1942 -“Ritorneremo”

Nel 1942 le nostre colonie in Africa Orientale erano oramai sotto il controllo britannico. Ma in Eritrea gli italiani ancora residenti erano molti e tutti o quasi speravano che le sorti della guerra, che in Africa Settentrionale sembravano volgere a favore delle Truppe dell’Asse, potessero capovolgere la situazione. Era necessario che l’Italia desse un segnale di speranza in tal senso.L’occasione si presentò inopinatamente nella primavera del 1942, come conseguenza di un ardito progetto nato nel gennaio di quello stesso anno:un raid diretto in Giappone. A Roma si sospettava infatti che i britannici fossero riusciti a forzare i codici di trasmissione fra Italia e Giappone, quindi si ritenne necessario fornire a Tokyo nuovi e più sicuri codici. Esclusi per motivi di difficoltà organizzative e di tempi troppo lunghi sia il trasporto via terra sia quello via mare con unità di superficie o sommergibili, fu deciso di trasferirli per via aerea, impresa anche questa tutt’altro che facile.

Allo scopo fu realizzato un primo esemplare di una versione ad hoc del velivolo da trasporto Savoia Marchetti SM-75 (n. costruzione 32054, matricola militare 60537), che fu denominata GA-RT (Grande Autonomia-Roma Tokio)1.

Il velivolo fu approntato il 10 marzo ed il successivo 15 marzo il comandante della missione, Tenente Colonnello pilota Amedeo Paradisi, radunò l’equipaggio da lui selezionato e composto dal Capitano pilota Publio Magini (ideatore di un
particolare sistema di navigazione astronomica), dal Sottotenente marconista Ezio Vaschetto e dal Maresciallo motorista Vittorio Trovi. Soltanto due giorni dopo, il 17 marzo, tutti e quattro giunsero alla Savoia Marchetti per ritirare l’SM-75 GA e
provarlo in volo.

Come test di prova, il generale Rino Corso Fougier, sottosegretario di Stato all’Aeronautica  e  capo  di  Stato  Maggiore  della  Regia  Aeronautica,  decise,  in occasione della ricorrenza della proclamazione dell’Impero (9 maggio 1936), di effettuare una missione simbolica nei cieli dell’Eritrea, lanciando sulla capitale Asmara un carico di manifestini tricolore con la scritta “Ritorneremo”.

Alle 7,55 del 7 maggio 1942 il trimotore  decollò da Guidonia atterrando all’aeroporto di Bengasi-K.2 alle 13,15. Qui, l’aereo fu rifornito di carburante ed alle 17,30 del giorno successivo decollò per il lungo volo sui territori in mano nemica: Egitto, Sudan, Etiopia ed Eritrea. La navigazione si svolse a circa 300 metri di quota con  silenzio-radio  interrotto  soltanto  da  brevissime  chiamate  per  verificare  il collegamento con Guidonia, in quanto solo in caso di grave emergenza l’equipaggio era autorizzato a comunicare con la base di partenza.

Il velivolo arrivò alle 3,00 di notte del 9 maggio nel cielo di Asmara, con la città ben  illuminata,  poichè  gli  inglesi  la  consideravano  al  sicuro  dalle  possibilità offensive dell’aviazione italiana. Per circa un quarto d’ora l’SM-75 circuitò sulla città, mentre Vaschetto e Trovi lanciavano i pacchi di manifestini con il titolo “Italiani di Eritrea: la Patria non vi dimentica. Ritorneremo!” e questo testo: “In questo giorno consacrato alle glorie dell’Esercito e alla perennità dell’Impero, ali italiane vi
recano il saluto della Madre Patria, sempre protesa e anelante verso di voi e verso le sue terre africane bagnate dal sangue e dal sudore dei suoi figli. La vostra attesa è la nostra attesa: la volontà del Duce è la volontà del popolo. Nulla sarà dimenticato e tutto sarà vendicato. La vittoria sarà nostra e renderà giustizia a noi, popoli poveri bisognosi di spazio su cui sventoli, sovrana e benedicente, la nostra bandiera. Italiani dell’Eritrea, della Somalia, dell’Impero, vi abbiamo tutti nel cuore come voi avete l’immagine della vostra mamma e dei vostri cari lontani. Non dubitate. Il giorno, il grande giorno si approssima e verrà. La nostra decisione è più che mai ferma e irrevocabile nel motto del grande Duca che nella morte non dorme ma aspetta: RITORNEREMO
!”

Dopo  di  che,  indisturbato,  il  velivolo  iniziò  il  rientro  seguendo  una  rotta leggermente spostata più ad oriente rispetto a quella che aveva caratterizzato il volo di andata. Ciò lo portò a sorvolare anche l’importante aeroporto britannico di Uadi Halfa, sul Nilo, sul quale il nostro equipaggio potè vedere distintamente una linea di aerei da caccia nemici, ma anche qui il volo procedette senza intralci o reazioni di sorta.

Giunto nel settore di Bengasi l’equipaggio, verificata la favorevole situazione del carburante, decise di proseguire il volo verso la Puglia. Giunti nei pressi di Taranto-Grottaglie le riserve erano ancora tali da consentire la continuazione del volo verso Roma, dove, alle ore 21,30 del 9 maggio, 1’SM-75 GA atterrò all’aeroporto di Ciampino, concludendo così un volo senza scalo di 28 ore e di circa 6.000 chilometri compiuto con eccezionale regolarità.

Alla luce del successo della missione, il Governo diramò questo comunicato: “L’IMPERO RAGGIUNTO DI UN SOLO BALZO DA UN NOSTRO VELIVOLO Roma, 9 maggio 1942 – XX All’alba di oggi 9 maggio, sesto anniversario della Fondazione dell’Impero, un velivolo della Regia Aeronautica, superato di un balzo il Mediterraneo ed i deserti libico e del Sudan ha raggiunto Asmara ed altre località dell’Impero, lasciando cadere fervidi messaggi di saluto ai nostri connazionali ed alle popolazioni indigene; nei messaggi è espresso il sentimento italiano, sempre teso ed anelante verso le terre del suo Impero, bagnate dal sangue e dal sudore di tanti suoi figli. La vostra attesa è la nostra attesa – dice il messaggio – la volontà del Duce è la volontà del popolo. Nulla sarà dimenticato e tutto sarà vendicato. Vi abbiamo nel cuore come voi avete l’immagine della vostra Mamma e dei vostri cari lontani. Il giorno, il grande giorno, si approssima e verrà. La nostra decisione è più che mai ferma ed irrevocabile nel motto del Grande Duce che, nella attesa non dorme ma aspetta: Ritorneremo».

Altro  messaggio  in  lingua  italiana  ed  amarica  è  stato  lanciato  alle  fedeli popolazioni dell’Eritrea e dell’Impero, assicurandole che il Governo le ricorda ed esortandole ad attendere il ritorno del tricolore, che ha recato loro il benessere e la civiltà. Il velivolo era pilotato dal Tenente Colonnello Amedeo Paradisi e dal Capitano Publio Magini ed aveva a bordo il Sottotenente Marconista Ezio Vaschetto ed il Maresciallo Motorista Vittorio Trovi.

La rotta seguita dall’SM-75 GA-RT durante la missione in Eritrea

“IL VELIVOLO E’ RIENTRATO. Alle ore 21,35 l’aereo al comando del Tenente Colonnello Amedeo Paradisi, dopo trenta  ore  di  volo  senza  scalo,  ha  regolarmente  atterrato  su  un  aeroporto metropolitano. L’equipaggio è stato ricevuto dal Capo di Stato maggiore della Regia Aeronautica Generale Fougier; dal Vicesegretario del Partito, Ravasio; da un Direttore Generale del Ministero dell’Africa Italiana, in rappresentanza del Ministro Teruzzi. Il Generale Fougier ha recato ai valorosi aviatori l’alto compiacimento del Duce.”

L’equipaggio del volo su Asmara. Da sinistra: S.Ten. Ezio Vaschetto, Ten. Col. Amedeo Paradisi, Cap. Publio Magini, Mar. Vittorio Trovi

Per la cronaca, l’SM-75 dell’impresa su Asmara e destinato alla missione in Giappone, pochissimi giorni dopo il suo rientro in Italia, l’11 maggio, durante un volo di trasferimento da Ciampino a Guidonia ebbe un’avaria simultanea a tutti e tre i  motori,  dovuta  quasi  certamente  alla  mancata  sostituzione  delle  candele. Nonostante il comandante Paradisi fosse riuscito a compiere un disperato atterraggio di emergenza, l’aereo si sfasciò al suolo e Paradisi nell’incidente riportò gravissime lesioni alla gamba destra, che sarà poi amputata. Magini, Vaschetto e Trovi, uscirono invece dal disastro tutto sommato malconci, ma vivi.

Per tre dei quattro sfumò così purtroppo la possibilità di diventare protagonisti di un’altra grande impresa aerea.

Essendo stata confermata la missione in Giappone, con un notevole impegno delle maestranze della Savoia Marchetti e del personale militare impegnato nelle missione, fu approntato un secondo esemplare di SM-75 GA-RT (n. di costruzione 32056, matricola civile I-BUBA, matricola militare MM 60539), sul quale furono montati, dopo essere stati revisionati, gli stessi motori del velivolo precipitato. Il nuovo equipaggio era composto dal Tenente Colonnello pilota Antonio Moscatelli2, dal Capitano pilota Mario Curto, dal Sottotenente radionavigatore Ernesto Mazzotti, dal Maresciallo motorista Ernesto Leone ed infine dal Capitano Publio Magini, l’unico componente della precedente missione su Asmara, come navigatore3.

La missione partì il 29 giugno ed ebbe un grande successo.

Il Savoia Marchetti SM-75 GA-RT della missione in Giappone con il suo equipaggio. Da sinistra: Mar. Ernesto Leone, Cap. Publio Magini, Ten. Col. Antonio Moscatelli, S.Ten. Ernesto Mazzotti, Cap. Mario Curto. (forse la foto è stata scattata in epoca successiva al rientro dal Giappone, in quanto Magini non sembra avere la gamba ingessata)

23 maggio 1943 – L’ultima azione bellica: il bombardamento dell’aeroporto di Gura

Nella primavera del 1943, per l’Italia, le sorti della guerra volgevano oramai al peggio.

Ciò nonostante, lo Stato Maggiore della Regia Aeronautica, sulla scorta di informazioni giunte dagli italiani ancora residenti in Eritrea, impostò nel marzo 1943 una missione offensiva a lungo raggio per portare un attacco al lontano aeroporto di Gura, situato ad una trentina di chilometri da Asmara.

L’indicazione posta a suo tempo dagli italiani all’ingresso della base aerea di Gura

Qui occorre però accennare brevemente al perchè era stato scelto questo obiettivo.
L’aeroporto di Gura, costruito nel 1935, dopo essere stato abbandonato dagli italiani (non prima però che fossero state distrutte tutte le installazioni di interesse militare), era stato prima parzialmente utilizzato dalla Royal Air Force (RAF) come base d’appoggio, poi dagli australiani, che vi avevano costruito un grande ospedale4 e quindi dagli americani. La Gura Army Secret Air Base era nata durante una riunione del War Department statunitense tenutasi il 19 novembre 1941, che approvò un progetto segreto, il “Project 19”, per la creazione di un grande centro di manutenzione di velivoli, in particolare i grandi bombardieri quadrimotori Consolidated B-24 Liberator e Boeing B-17 Flying Fortess operanti sull’Europa e nei Balcani5 , situato il più lontano possibile da eventuali attacchi delle forze di terra e dell’aria dell’Asse.

La scelta cadde appunto sull’aeroporto di Gura che, nei primi mesi del 1942, fu ampliato dall’USAAF, arrivando ad avere, oltre a varie centinaia di militari dell’U.S. Air Force e dell’esercito indiano, più di 2.000 lavoratori civili statunitensi (di cui circa trecento ingegneri e tecnici aeronautici) reclutati dalle società aeronautiche Boeing e Douglas6, molte centinaia di eritrei e sudanesi (addetti ai lavori di manovalanza) ed un certo numero di italiani, tra cui anche prigionieri di guerra7.

L’ospedale militare australiano di Gura
Dipendenti della Douglasin pausa con il supervisore italiano (all’estrema sinistra) ed il suo aiutante (all’estrema destra)
Lavoratori eritrei che riparano la pista dell’aeroporto di Gura

Non vi sono molte informazioni circa le mansioni affidate ai nostri connazionali: nel  testo di Swancara si accenna ad alcuni  artigiani (“veramente bravi”) che costruivano stampi di legno per la costruzione di parti di ricambio in plastica e vetro (per le cupole in plexiglass del navigatore e delle torrette delle mitragliatrici), ad alcuni meccanici della C.I.T.A.O. (Compagnia Italiana Tecnica dell’Africa Orientale) impiegati nella manutenzione degli immobili, ad altri ancora utilizzati nei servizi di ristorazione, nonchè a qualche anziano che, avendo imparato le lingue locali, fu assunto come supervisore del personale nativo eritreo e sudanese utilizzato in compiti di bassa manovalanza8. La base fu operativa fino alla fine del 1943, anche se alcuni reparti dell’83th Air Depot Group lasciarono Gura successivamente: il 320th Depot Repair Squadron, il 1° Febbraio 1946 ed il 9th Engine Overhaul Squadron, l’8 ottobre 19489

Agosto 1942: una veduta dell’aeroporto di Gura, affollato di aerei in riparazione, tra cui una decina di B-17 Flying Fortess, tre B-24 Liberator (in secondo piano) ed un PBY Catalina (in basso a destra)
Lavoratori eritrei e sudanesi addetti alla pulizie di un Boeing B-17 Flying Fortress
Tecnici americani al lavoro su un Consolitated B-24 Liberator

Torniamo alla missione.

Il tipo di velivolo prescelto fu ancora il Savoia Marchetti SM-75 GA, l’unico in grado di avere l’autonomia necessaria, come l’impresa dell’anno precedente aveva dimostrato.

La scelta cadde su due SM-75 GA del Nucleo Comunicazioni della LATI: l’ I-BUBA (n. di costruzione 32056, matricola militare MM 60539), già protagonista della missione in Giappone e l’I-TAMO (n. di costruzione 32060, matricola militare MM 60543)10, che vennero modificati allo scopo.

Se il volo prevedeva un itinerario simile a quello del 1942, cambiavano però le caratteristiche tecnico-tattiche in quanto, anziché un leggero carico di manifestini, i velivoli avrebbero dovuto trasportare ciascuno un carico di dieci bombe da 100 kg. La missione aveva ovviamente un alto grado di segretezza, per cui tutti i lavori vennero eseguiti a Guidonia, nell’hangar della LATI che, decentrato rispetto alle aviorimesse del Centro Sperimentale, poteva essere meglio sorvegliato.

L’SM-75 I-TAMO ancora con la livrea civile dell’Ala Littoria

Gli equipaggi prescelti erano composti, per il primo velivolo, dal Maggiore pilota Giulio Cesare Villa, dal Capitano pilota Manlio Lizzani, dal Maresciallo motorista Giovanni Mazza e dal Maresciallo marconista Luigi Benvenuto; per il secondo, dal Capitano pilota Max Peroli, dal Capitano pilota Ardito Cristiani, dal Maresciallo motorista Giuseppe Boero e dal Sottotenente marconista Mario Marasco.

Tre degli otto componenti gli equipaggi della missione: da sinistra: Cap. Manlio Lizzani, Magg. Giulio Cesare Villa, Cap. Max Peroli

Tra le modifiche apportate furono installati un correttore di rotta ed un serbatoio supplementare in fusoliera che richiese alcune verifiche dei centraggi. Lunga ed accurata fu la messa a punto dei motori Alfa Romeo 128 per poter ridurre al minimo i consumi di carburante, ottenendo alla fine un’incredibile riduzione del 40%.

Per la sistemazione delle 10 bombe furono installate nel vano di carico inferiore delle rastrelliere, complete dei congegni per lo sgancio, e, nelle cabine di pilotaggio, un traguardo di puntamento Jozza G.3A. Per alleggerire al massimo i velivoli, vennero smontate le torrette dorsali Caproni-Lanciani Delta “E”, dotate di una mitragliatrice Scotti da 12,7 mm, ciò che avrebbe reso i due aerei privi di qualsiasi difesa in caso di attacco da parte dei caccia britannici ed americani Curtiss P-40 Warhawk presenti a Gura.

Per il montaggio e la verifica dei motori e delle attrezzature belliche, i due SM-75 si trasferirono da Guidonia a Furbara, quello con MM.60539 il 2 aprile 1943 l’altro, la MM.60543, il 14 aprile. Quest’ultimo, poi, il 6 maggio effettuò un volo di prova da Guidonia, da dove decollò alle 11,15, fino a Rodi, prevista base di partenza effettiva, dove atterrò alle 17,50, con lo scopo principale di verificare i consumi.

Rientrato a Guidonia il 10 maggio, con una sosta intermedia a Bari, il velivolo si riunì all’altro SM-75 e finalmente la coppia di aerei si trasferì a Rodi il 19 maggio per prepararsi alla missione.  Questa iniziò alle 6,45 del 23 maggio 1943, prima con il laborioso decollo dell’SM-75 MM. 60543 del Maggiore Villa (il velivolo aveva un peso totale di 23.000 kg, di cui circa 10.200 erano rappresentati dagli 11.000 litri di carburante) e quindi, a seguire, con quello dell’SM-75 di Peroli.

Schieramento di Curtiss P-40 Warhawk sull’aeroporto di Gura

I due velivoli volarono a bassissima quota in direzione della costa nordafricana per sfuggire al rilevamento dei radars nemici, mentre, a quote più alte, altri nostri aerei, tra cui due coppie di aerosiluranti, cercavano di ingannare la difesa aerea britannica. All’altezza di Marsa Matruh sorvolarono senza  problemi numerosi apprestamenti militari nemici senza ricevere alcuna offesa anzi, non riconosciuti, vennero fatti segno a festosi cenni di saluto. Solo più tardi, lungo la valle del Nilo, i nostri due velivoli salirono ad una quota più alta, attorno ai 3.000 metri.

A questo punto però cominciarono i guai: l’SM-75 di Peroli11 ebbe un consumo eccessivo di carburante, per cui non avrebbe potuto arrivare sino a Gura.

Venne deciso quindi di puntare sull’obiettivo alternativo di Port Sudan, che fu attaccato al tramonto, da bassa quota e con buon esito dopo 11 ore e 30′ dalla partenza. Sganciato tutto il carico di bombe, Peroli invertì la rotta, dirigendosi a Nord-Nord-Ovest, verso Rodi. L’SM-75  di  Villa  proseguì  da  solo.  Era  già  sera  inoltrata  quando, forse incautamente, sorvolò Asmara, tutta illuminata. Al rumore dei motori di un aereo sconosciuto gli inglesi che governavano la città ordinarono subito l’oscuramento. Pochi minuti ancora di volo e il nostro bombardiere arrivò in vista dell’aeroporto di Gura, anch’esso ben illuminato poichè le operazioni di manutenzione dei velivoli alleati continuavano anche di notte12.

Come era successo ad Asmara, anche a Gura però le luci vennero subito spente, ma gli obiettivi erano già stati ben identificati dal nostro equipaggio, che, sorvolando da una quota di 500 metri per tutta la lunghezza la linea degli hangars, aprì i portelloni ventrali sganciando gli ordigni uno ad uno ed invertendo subito dopo la rotta per rientrare anch’esso a Rodi.

È allora che a bordo ci si accorse di un altro guaio: i portelloni non si chiudevano. La causa era dovuta ad una bomba che non si era sganciata completamente dalla rastrelliera! Si tentò di sganciarla agendo manualmente sui supporti, ma fu tutto inutile, per cui non restò altra alternativa che quella di cercare di ancorarla quel tanto che bastava per consentire la chiusura dei portelloni e proseguire il volo.

La rotta puntò direttamente a nord-nord-ovest, seguendo la linea della costa africana del Mar Rosso e, all’alba del 24 maggio, finito di sorvolare l’Africa ed il Mediterraneo, l’SM-75 si accinse ad atterrare all’aeroporto di Rodi-Gadurrà, dove era già arrivato felicemente l’SM-75 di Peroli. L’atterraggio era ad alto rischio, visto che la bomba in stiva era ancora spolettata e fissata in modo precario, ma Villa, con tutta la sua abilità di pilota, alle ore 06.45 portò a terra l’aereo con il massimo della delicatezza possibile.

Dopo un intero  giorno di meritato riposo, dopo che gli artificieri avevano provveduto a mettere in sicurezza la bomba e quindi a toglierla dalla stiva e dopo che il personale tecnico aveva controllato e revisionato il velivolo, il 26 maggio 1943, alle 6,00 del mattino, i due velivoli lasciarono Rodi atterrando a Guidonia alle 12,30, accolti da tutto il personale del Centro Sperimentale per festeggiare gli equipaggi tornati incolumi dalla lunga e pericolosa missione. Spenti i motori, le eliche ferme, ci si rese finalmente conto dell’impresa compiuta: ben 6.418 km percorsi in 24 ore su territorio nemico!

L’itinerario del’SM-75 che bombardò l’aeroporto di Gura
L’SM-75 di Villa accolto a Guidonia

Certo la missione ebbe successo e non si discute nè del valore e delle capacità degli equipaggi nè dell’affidabilità delle macchine utilizzate, ma non si può non rilevare che essa era stata compiuta da due soli aerei (per giunta aerei da trasporto
modificati per l’occasione in bombardieri…), mentre i contemporanei attacchi aerei angloamericani sull’Italia, Germania e Romania vedevano impegnati decine e decine, talora persino centinaia di bombardieri, spesso scortati da caccia a lungo raggio.

Un’annotazione finale: non sono molte le tracce documentali di fonte statunitense o britannica che confermino l’attacco. Alcuni quotidiani13 diedero la notizia il 27 maggio 1943 in pagine interne e con pochissimo rilievo, spesso con testi simili a
quello del “Daily Iowan”: “An italian bomber attack on Port Sudan and Gura, far down Red Sea. Is presumably from Crete and involving round trip of some 3.000 miles. Is one of the most remarkable contribution to psychological war. …Such an attack,  even  if  successful,  could  have  not  the  slightest  military  effect. (Un bombardiere italiano ha attaccato Port Sudan e Gura, nel basso Mar Rosso, partendo presumibilmente da Creta e con un volo di andata e ritorno di circa 3.000 miglia. È uno dei più notevoli contributi alla guerra psicologica ……. Un attacco del genere, anche in caso di successo, non potrebbe però avere il minimo effetto militare)”. Neppure nel già citato e dettagliatissimo libro di Swancara, “Project 19 – The Mission most secret”, dettagliatissimo testo sulla storia della base americana di Gura, vi è un qualsiasi accenno all’azione italiana.

——————-

Note

1 Questa versione differiva da quella base per avere una fusoliera priva di sfinestrature, un timone di coda più alto e di forma triangolare con apice arrotondato, motori più potenti (tre motori Alfa Romeo 128 RC-21 SPEC, da. 860 cv ciascuno, anzichè tre Alfa Romeo 126 RC.34 da 750 cv), un apposito goniometro mobile, una mappa della volta celeste installata sulla parete della cabina di pilotaggio, alle spalle del marconista ed un apparecchio radio con particolari caratteristiche per garantire i collegamenti su grandi distanze.

2 Moscatelli aveva già partecipato a voli a lungo raggio, quali la competizione Istres-Damasco-Parigi del 1937, che fu vinta dai velivoli della sua squadriglia, i leggendari Sorci Verdi, e la trasvolata atlantica del 1938, che da Roma portò tre SM 79 a Rio de Janeiro. All’atto dell’armistizio si trasferì nell’Italia del sud, prestando  servizio  nell’Aeronautica  cobelligerante. Nel 1949  lavorò per  la  compagnia  aerea  LATI, assumendo poi l’incarico di rappresentante regionale della Società Alitalia a San Paolo del Brasile.

3 Magini partecipò per tutta la missione con uno stivaletto gessato fino all’anca per la frattura che aveva subito nell’incidente dell’11 maggio. Successivamente, fu assegnato ad altri compiti, diventando dapprima assistente di volo del Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, Rino Corso Fougier, assieme al quale partecipò alla progettazione dell’Operazione “S”, cioè il bombardamento di New York da realizzare con un altro volo a lungo raggio, operazione peraltro mai effettuata. Dopo l’8 settembre fu assistente del Generale Pietro Badoglio, nuovo Capo del Governo e, a guerra finita, passò all’aviazione civile, lavorando per le Avio  Linee  Italiane (ALI)  e per la Boeing dedicandosi allo sviluppo delle tecniche di atterraggio strumentale ed alla progettazione degli aliscafi ad ala immersa. Contribuì anche all’avvio dei rapporti commerciali tra industrie aeronautiche italiane e statunitensi.

4 L’ospedale fu poi il primo utilizzato dagli americani in Eritrea. Risistemato dalla Douglas a partire dal 17 giugno 1942, aveva 250 posti letto, sale chirurgiche e laboratorio d’analisi, al comando del Maggiore medico William A. Hutchinson.

5 La base ospitò in particolare l’82th e l’83th Air Depot Groups, preposti appunto alla manutenzione dei velivoli.

6  I potenziali dipendenti, che provenivano dai principali centri di produzione aeronautica degli Stati Uniti (Seattle, Midwest e California meridionale) erano stati allettati con promesse di buone sistemazioni logistiche, alti salari, strutture ricreative (campi da golf, campi da tennis e piscina) e l’impegno che nessuno sarebbe stato impiegato in zone di combattimento attivo. Una volta assunti, dovevano prestare giuramento di segretezza. Sul numero di lavoratori civili varie fonti indicano cifre diverse, alcune delle quali ci paiono poco attendibili, come i 2.819 americani, i 5.611 italiani e i 7.384 Eritrei indicati da Harold G. Marcus in Ethiopia, Great Britain and the United States,  1941-1974: The politics  of Empire, University  of California Press, 1983, citato in U.S intervention in the Horn:  Revisiting Ethiopia-Somalia dispute, pag. 187 http://shodhganga.inflibnet.ac.in/bitstream/10603/1861/13/13_chapter6.pdf

7 Furono a quanto pare gli inglesi a utilizzare i nostri prigionieri di guerra, proponendo loro la scelta tra il campo di concentramento ed il lavoro alla base. Chi accettava e superava i controlli della divisione medica della Douglas otteneva un permesso di rilascio speciale con il quale venivano trattati come personale civile. A Gura, la maggior parte di loro non era pagata, ma usufruiva di vitto e alloggio Il loro controllo era affidato al contingente di truppe Gourkha, che, a quanto racconta Swankara nel suo libro “Project 19 – A Mission most secret”, non esitarono ad usare i fucili nei casi in cui gli italiani non obbedirono ai loro ordini. Cfr. J. W. Swancara, cit, pag. 49.

8 Cfr. J. W. Swancara, cit., pagg. 49, 215 e 218

9. Gli Stati Uniti tornarono a Gura negli anni ’60, dopo aver fatto accordi con Hailè Selassiè (ricordiamo che l’Eritrea era stata annessa all’Etiopia) per poter utilizzare l’aeroporto per voli da ricognizione. Dopo il colpo di stato del colonnello Menghistu ed il cambio di alleanze dell’Etiopia, finita nell’orbita  sovietica, nell’aprile 1977 la base americana fu evacuata.

10 Le foto disponibili ci fanno vedere due differenti versioni dei velivoli, con l’I-BUBA con il timone di coda alto (tipo SM-82)  e l’altro (l’I-TAMO) con il timone di coda arrotondato (tipo SM-79).

11 Peroli era stato protagonista di altri voli avventurosi, come quello che gli aveva consentito di riportare in Italia, sfuggendo alla cattura da parte truppe britanniche, 42 fra piloti, tecnici e specialisti della Regia Aeronautica. Il volo, non privo di incidenti, fu effettuato con tre anziani Savoia Marchetti SM-73 dell’Ala Littoria, l’I-VADO, l’I-ARCO e l’I-NOVI, decollati da Addis Abeba il 3 aprile 1941 ed atterrati a Roma-Urbe il 12 maggio 1941, con tappe a Gedda e Bengasi. Per questa azione fu decorato di Medaglia d’Oro al valore Aeronautico e promosso al grado di Capitano. Successivamente, Peroli compì ben cinque voli
dall’Italia fino a Gondar per rifornire le truppe italiane che ivi continuavano a resistere. Dopo l’armistizio, Peroli scelse di continuare a combattere con la Repubblica Sociale, ma dovette rinunciare a svolgere incarichi militari poichè Mussolini, con decreto 26 novembre 1944 n. 1039, lo nominò presidente dell’Ala Littoria, la compagnia nazionale di bandiera sotto la quale vennero riunite tutte le altre compagnie aeree civili italiane (in buona sostanza, la LATI e l’ALI). Cfr. Carlo de Risio, L’aviazione in Africa Orientale, in Rivista Aeronautica, n. 3/1999, pagg. 90-93. Nel 1953, Peroli fu protagonista di un altro volo degno di
essere ricordato: assieme al giornalista Maner Lualdi sorvolò il Polo Nord ripercorrendo con un piccolo aereo da turismo, un Ambrosini S 1002 R “Girifalco”, immatricolato I-LUAD, l’itinerario seguito dal dirigibile Italia 25 anni prima.

12 Sorge spontanea la domanda del perchè il personale di Gura non fu tempestivamente messo in allarme da Asmasra del sorvolo di un velivolo non identificato, probabilmente nemico.Ma a questa domanda non è stato possibile dare una risposta.

13 Citiamo quelli di cui siamo riusciti a trovare traccia, come l’Indianapolis Star, il Morning Herald, il The Cumberland News, il The Gallup Independent.

—————

Bibliografia essenziale

AA.VV, “Momenti di storia – I più famosi aerei dell’epopea aeronautica italiana”, Ediz. Aeronautiche Italiane, 1982

AA.VV., “Ali Italiane 1939-1945”, CGE, 1978

Brotzu Emilio e Garello, Giancarlo, “Trasporto” vol. 8, Bizzarri 1978

Cimoli Massimo, “S.A.S. I Servizi Aerei Speciali della Regia Aeronautica 1940-1943”, IBN, 2014

Connell Dan e Killion Tom, “Gura’” in Historical Dictionary of Eritrea, Scarecrow Press, 1998

Del Boca Angelo, “Gli italiani in Africa Orientale – La caduta dell’Impero”, Mondadori, 2014

De Risio Carlo, “L’aviazione in Africa Orientale”, in Rivista Aeronautica, n. 3/1999

Magoni Publio, “L’uomo che volò a Tokio, Mursia, 2009

Marcus Harold G., “Ethiopia, Great Britain and the United States, 1941-1974: The politics of Empire”, University of California Press, 1983

Ricci Corrado e Shores Christopher F., “La Guerra Aerea in Africa Orientale”, S.T.E.M. Mucchi, 1980

Swancara John W., “Project 19: A Mission Most Secret”, Honoribus Press, 1997