Nicky di Paolo, 10 dicembre 2016

I primi esploratori che si avventurarono nelle terre del Corno d’Africa ebbero modo di constatare che la gente di quei luoghi raccontava tante storie che solo in parte erano elaborazioni di storie vere: più precisamente erano i menestrelli che avevano la caratteristica di non fermarsi mai in uno stesso luogo e quindi vivevano o vedevano avvenimenti spesso importanti che riportavano nei loro spostamenti aggiornando la popolazione di ciò che succedeva nel resto dell’impero.

La maggior parte del loro narrare però, era opera di fantasia intrisa di storie immaginate, di racconti paradossali, di luoghi mitici, di genti eroiche, di animali del tutti inventati.

E’ da sottolineare che sia nelle storie vere che in quelle di fantasia, i cantastorie tendevano sempre a esagerare nel bene e nel male gli aspetti fisici dei loro personaggi umani e non umani mentre erano più cauti a decantare o a deplorare gli aspetti interiori. Caratteristica abbastanza singolare è che poche sono le favole di quei luoghi,che hanno un inizio, una fine e una morale evidente come quelle proprie del mondo occidentale.

In Eritrea, poi, quarant’anni di guerra hanno sconvolto il mondo dei suoi caratteristici menestrelli. La maggior parte di loro sono semplicemente spariti dalla circolazione, chiamati evidentemente a servire la patria in una guerra lunghissima. Quarant’anni di ostilità rappresentano un’intera generazione che ha fatto a meno dei cantastorie e non vediamo come si possa in qualche modo rimediare a questa importante sparizione.

Riguardo a questo aspetto della vita in Eritrea, faremo riferimento obbligatoriamente a tutto ciò che era presente, laggiù, fino alla fine degli anni ’60, mentre non siamo riusciti a sapere nulla dello stato attuale di questo importante costume dell’Africa orientale. Con una eccezione: come in tutto il mondo, anche in Eritrea da un po’ di anni hanno fatto la comparsa i cantanti rap che ricordano alla lontana i vecchi cantastorie:forse per questa similitudine, stanno riscuotendo laggiù un discreto successo. Se dovessimo stilare un elenco delle canzoni o dei racconti che riempivano il repertorio dei menestrelli abissini, il tema che occupava il maggior spazio era in assoluto quello che esaltava le gesta, la vita e la morte dei re e dei ras;di questi naturalmente venivano cantate o raccontatele gesta valorose, le vittorie riportate in battaglia contro i nemici, contro terribili animali, ma anche contro diavoli, spiriti maligni, streghe e stregoni, riuscendo a mescolare il tutto senza offendere la Chiesa o la gente influente.

Con molto tatto e tanto mestiere i cantastorie cercavano di lenire sia la vergogna che il dolore dei loro personaggi, qualsiasi ruolo dovessero interpretare. I menestrelli sapevano bene che cantare o raccontare le avventure di nobili condottieri o anche di semplici guerrieri in maniera offensiva, poteva dare esito ad un sacco di legnate che era sempre imperativo evitare. Abbiamo già accennato al fatto che, oltre alle imprese eroiche, i cantastorie custodivano nel loro repertorio storie e favole del tutto inventate, molte delle quali proprie del Corno, mentre altre, le più garbate, erano molto simili nei contenuti alle favole europee;come poi queste ultime possano avere raggiunto il Corno d’Africa, possiamo fare al riguardo solo supposizioni.

In ogni caso anche questo tipo di racconti, identici nella loro essenza alla favolistica della cultura europea,erano stati trasformati onde poter essere inseriti nell’ambiente africano. Ad esempio gli animali erano sostituiti e adattati alla realtà e allo stile di vita del Corno: il lupo era diventato un leone, il capretto una gazzella, un cane randagio una iena, ma le storie raccontate erano le stesse, e solo in questo caso comprensive di un inizio, di una fine e di una morale. Le novelle del Corno avevano un sottofondo musicale, alquanto primitivo, ma efficace; di solito era un violino monocorde ad accompagnare il cantastorie, altre volte era un piccolo tamburo, più raramente un tipico complessino che suonava accompagnamenti sempre graditi all’ascoltatore.

Come abbiamo già ricordato,in genere nella favolistica abissina non si trova una morale,o almeno non è facile dedurla nella maggior parte dei casi; le novelle del Corno, senza capo né coda, avevano solo lo scopo di interessare o al limite di divertire la platea. Difficile per chi esponeva era riuscire a far ridere chi ascoltava;a tal proposito non aveva alcuna importanza la parvenza dei cantastorie,che non erano mai vestiti con abiti particolari, ma acconciati come il resto della gente dalla quale si distinguevano solo se si mettevano in piedi sopra un grosso masso o su un ramo di una pianta a declamare ad alta voce.

Come in tutte le rappresentazioni vocali c’era chi veramente ci metteva la passione nel recitare e, in tal caso, fra i tanti spettatori indifferenti, c’era qualcuno che ascoltava e prendeva il monologo in seria considerazione; raramente una significativa ovazione poteva gratificare il bravo menestrello: il pubblico, in genere folto, rimaneva abitualmente del tutto silenzioso.

A mio parere non era importante per chi raccontava far ridere o anche commuovere la gente radunata ad ascoltare le storie: importante peri menestrelli era essere sufficientemente ripetitivi affinché il pubblico potesse mandare a mente i racconti: in seguito tutti avrebbero potuto cogliere l’occasione di diventare, una volta tanto, cantastorie improvvisati. I menestrelli non elemosinavano mai, ma facevano buon viso a tutto ciò che la gente, in genere molto povera, poteva offrire; i ras, i dignitari e i capo villaggi erano quelli che più gratificavano i menestrelli, specie se questi declamavano versi ricchi di lodi nei loro confronti. Non è facile capire la traduzione di tante canzoni o di versi lunghi pagine e pagine: se non si conosce la storia dei personaggi presi in considerazione non si può sperare di capirne il significato.

Più semplice è immaginarsi le ragioni per cui molte favole di origine africana sono simili per tutte le genti di quel continente, dai bantù alle popolazioni del Corno, per arrivare fino al Nordafrica; quindi qualcuno potrebbe sostenere che non esiste una tradizione favolista per ciascun popolo di quelle terre. In verità la novellistica dell’etiopico e dell’Eritreo riflette il carattere degli abitanti del Corno: sono individui molto complessi, ricchi di capziosa logicità e hanno un senso politico portato ad esasperanti sottigliezze; gli abissini in particolare sono acuti nel dipanare gli intrighi, ma, in caso di necessità, diventano abili costruttori di interessi, inventori di vicende sempre fini a se stesse; sono poi simpatici pensatori che si divertono a infierire con la pratica del cavillo che serpeggia sempre nell’intimo del loro animo.

Infine l’abitante del Corno è anche un guerriero e quindi è probabile che fra quelle genti manchi l’ingenua semplicità di pensiero che può dar vita ad una manifestazione quale è quella della fiaba.