Nicky Di Paolo, 11 dicembre 2014
Per quanto ne so, il letterato etiopico neggadràs Afework Gabre Yesus (1868-1947) è stato il primo autore che, oltre a scrivere una vita di Menelik II, ha pubblicato il primo romanzo etiopico, pubblicato a Roma nel 1908 con il titolo ልብ ወለድ ታሪክ (Lebb wallad tarik, la cui traduzione letterale è Una storia nata dal cuore, che Enrico Cerulli traduce Fantasia). Non so se il termine fantasia usato in Eritrea derivi dal titolo del romanzo di Afework, sta di fatto che con questo nome venivano chiamate dagli italiani, durante il periodo coloniale, le danze popolari accompagnate da musica, canti e tamburi.
Il termine fantasia è definito nel Glossario del nostro sito come “danza, deformazione fonetica italiana di fantasià (giubilo) dal verbo amarico fanattesè, giubilare” (v. https://www.ilcornodafrica.it/gloss.htm), e verosimilmente è da qui che ha avuto origine il nome.
Oggi possiamo constatare che 40 anni di guerre, decine dl anni di stasi economica, fuga in massa della gioventù, povertà perenne, tutte queste grandi calamità assieme, non hanno modificato mai nel Corno la tradizione di fare fantasia.
Nessuno, per quanto mi risulta, è mai riuscito a dare una descrizione esatta della fantasia nel vero senso della parola con cui viene definita dalle tribù africane del Corno d’Africa questa particolare danza primitiva, la cui origine si perde nella notte dei tempi; infatti fantasia non può definirsi una festa perché viene fatta anche in occasioni di mestizia. D’altronde fantasia non è un rito di ringraziamento perché può essere attuata per chiedere una grazia. Fantasia non è pura gioia perché come abbiamo detto, può accompagnare un defunto al cimitero. Fantasia non è neanche un’esibizione in quanto spesso e volentieri la fantasia può essere effettuata da un solo soggetto e senza alcuno spettatore. Non è neppure un gioco in quanto lo fanno sì i bambini, ma anche gli adulti e gli anziani e come gioco, richiede una buona dose di energia. Qualche volta, se si fa l’elemosina ad un accattone, questo si sente in dovere di farti 2-3 mosse di fantasia. In alcuni casi si può avere l’impressione, specie negli ultimi tempi, che gli abitanti dei villaggi che si attraversano viaggiando nell’interno del Corno, organizzino fantasie a pro dei turisti, ma ripeto sono solo un’impressione, mentre più spesso ci si imbatte in fantasie assolutamente non programmate e il cui fine o il cui scopo rimane difficilmente comprensibile.
Una fantasia particolare pubblica e programmata è quella che si danza alla fine della solenne cerimonia della festa del Mascàl allorché viene dato fuoco al damerà in una grande piazza e chiunque abbia a cuore una donna o viceversa, trascina il proprio partner a ballare l’oiè-oiè saltando sui fuochi del damerà crollato a terra fumante. Personalmente ho assistito a delle fantasie bellissime in occasione di riti funebri dove il ballo è una sorta di preghiera, per accompagnare in modo festoso il defunto nelle mani di Dio, per trasformare un sorriso di morte in una spinta di vita, per mutare la propria disgrazia in una manifestazione di speranza. Fantasia è sempre presente nei riti matrimoniali quale momento di gioia vissuto da tutti i partecipanti e non solo degli sposi.
Tutto ciò mi ricorda gli antichissimi riti religiosi cristiani abissini che includono la danza e il canto in mezzo alle preghiere o alle funzioni religiose, riti che certamente risalgono ai tempi di Davide e che sono rimasti inalterati nel tempo. A mio parere queste fantasie rituali religiose si sono nei secoli trasferite al mondo laico, ma senza perdere la loro originalità quale evento spirituale e solo in piccola parte materializzato alla vita tribale.
Ciò non toglie che le fantasie effettuate durante le feste e dove scorre suà e tegg in abbondanza, assumano i caratteri di una danza erotica che arriva a emozionare lo spettatore, che potrà essere turbato o eccitato, ma difficilmente riesce a rimanere indifferente a questa danza magica che ti arriva rapida al cuore.
Per fare fantasia è indispensabile la presenza di vari tamburi, le cui dimensioni variano a seconda dei timbri che si vogliono creare. Spesso i suonatori di tamburo sono di piccola statura e vengono a creare scene simpaticissime con piccoli uomini che danzano e allo stesso tempo percuotono tamburi talvolta tanto grossi da nascondere totalmente il tamburino. Destano ammirazione anche i suonatori di massinqò, violini monocorde che riescono a tirare fuori da quegli elementari strumenti melodie complesse.
Le fantasie sono per la maggior parte improvvisate e sorprendono sempre i passanti per la rapidità di come queste cerimonie prendono vita e di come i partecipanti aumentino di numero di momento in momento, man mano che gente, anche estranea, si inserisce nella fantasia. Ogni tanto, quasi fosse presente un invisibile direttore d’orchestra che dirige i musici, i suoni improvvisamente si arrestano e nel silenzio totale in un istante si crea e alto si eleva un trillo più forte e più squillante di tanti fischietti arbitrali che suonino tutti assieme; è l’elleltà, l’alleluia che le donne del Corno elevano al cielo; molto di più di un gorgheggio, qualcosa di particolare che è trasmesso di generazione in generazione, un trillo festoso, acuto, altissimo, un evviva tanto originale quanto particolare, emesso da tutte le donne presenti e che si abbina alla fantasia in una perfetta sincronia.
Fino a quando sono rimasto in Africa orientale, l’esercito etiopico era considerato uno dei più disciplinati, dei più preparati fra tutte le armate africane. Ho avuto modo di assistere a scene di fantasia fra i militari, quanto mai suggestive. Ho visto ufficiali che si toglievano le scarpe, la giacca, il cappello e a torso nudo cominciavano a ballare in uno spiazzo sufficientemente grande per raccogliere qualche centinaio di persone. Gli ufficiali poi accettavano dai soldati le lance, gli scudi, le criniere di leone e sempre continuando a danzare minavano l’uccisione dei nemici. Erano scene affascinanti in quanto mutava completamente la personalità dei militari che facevano fantasia.
Dapprima, se gli ufficiali incutevano rispetto per la loro severità e distinzione, poi divenivano persone diverse che cercavano, nella, di esprimere ciò che veramente avevano nell’animo. Le fantasie dei militari sono in genere effettuate da soli uomini, agili e snelli, dalla presenza aitante, di forme perfette che rappresentano quei rapidi agguati, quel repentino celarsi ed apparire, quel muoversi in gesti di difesa con lo scudo e di attacco protendendo veloci con l’arco e con la lancia, armi proprie dei loro antenati. Di solito, retaggio dei militari sono anche le fantasie ballate a cavallo, tanto spettacolari quanto difficili sono le esibizioni.
Le fantasie in genere hanno durate lunghissime, non di rado proseguano dalla sera fino al mattino, specie quelle a cui partecipano le giovani donne che sono inesauribili nel ballare ed anzi, quando qualche musico interrompe per stanchezza, loro corrono ad abbracciarlo e pregarlo di continuare a suonare; in genere tutti i presenti che ballano o che assistono, segnano il ritmo durante la fantasia, ritmo sempre uguale, ossessivo, tanto che qualcuno dei partecipanti può rimanere preso da una frenesia improvvisa che lo fa danzare scompostamente, lo fa agitare e gridare con acuti strilli, fino a gettarsi a terra spossato rotolando e stralunando gli occhi, trascinandosi carponi, fino a cadere in uno stato di sonno profondo.
A mio parere le fantasie più belle sono quelle improvvisate da giovani civili per i più svariati motivi. Ho assistito a fantasie ballate con ombrelli spalancati creando un gioco di colori quanto mai suggestivo; particolarmente belle sono anche quelle fantasie in cui i giovani si avvalgono di drappi di stoffa colorati per ingentilire i loro movimenti dando vita a coreografie di grande effetto.