Caro Corno, i miei sogni ed i miei ricordi eritrei sono svaniti come lacrime nella pioggia.
L’Eritrea si è trasformata in un translucido ectoplasma che aleggia nell’aere; una forma indefinita ed indistinta che non ha più nulla da dirmi.
Tuttavia, non posso reprimere un leggere moto di stizza quando leggo i reportages dall’Eritrea di giornalisti, inviati e quant’altro che su quotidiani, settimanali, mensili e libri raccontano sempre gli stessi stereotipi senza mai sforzarsi di capire cos’era l’Eritrea prima dell’indipendenza.
Un’insieme di genti – Italiani, Greci, Ebrei, Indiani, Yemeniti, Armeni, Eritrei, Etiopici…. – che si erano inventati una sorta di convivenza talmente efficace da trasformare quel Paese in uno dei più floridi, se non il più florido, del Continente Africano.
Che questo rapporto, poi, sia andato progressivamente deteriorandosi per le varie mutazioni politiche avvicendatesi nel Paese, non inficia minimamente i risultati di quel periodo “aureo” che vide innegabili progressi anche in campo sociale.
Eritrei divenuti infermieri, impiegati, operai specializzati, artigiani, negozianti, titolari di attività di lavorazione del ferro, del legno….
Dopo un viaggio di qualche giorno ed una visita ad Asmara e Massaua, questi “esperti” parlano di cose che non hanno neppure scalfito, limitandosi a sfiorarne la superficie.
Mi pare che un po’ di stizza sia giustificata.
Angra
1 ottobre 2016