Manlio Bonati, 5 gennaio 2006 |
Centodieci anni fa il capitano d’artiglieria Vittorio Bottego (nato a Parma il 29.7.1860, morto sul Daga Roba il 17.3.1897) stava preparando la sua seconda spedizione in Africa Orientale. Si trattava di una missione che aveva un duplice scopo: provvedere alla fondazione di una stazione a Lugh, importante centro commerciale nell’interno della Somalia situato in un’ansa ellittica del Giuba; procedere alla ricognizione geografica dei territori di confine verso il sud-ovest e l’ovest della sfera d’influenza coloniale dell’Italia, con la relativa esplorazione del corso del fiume Omo. La spedizione dipendeva direttamente dalla Società Geografica Italiana di Roma, la quale era in continuo contatto d’intesa con il Ministero degli Affari Esteri: gli interlocutori erano il marchese Giacomo Doria, presidente della Società, e il ministro della guerra Stanislao Moccenni. Quest’ultimo in data 28 marzo 1895 scriveva al sottosegretario di Stato del Ministero degli Esteri, Giulio Adamoli, quanto segue: “Mi affretto ad assicurare V. E. che si è già disposto perché il sottotenente del 47° Reggimento Fanteria, Citerni Sig. Carlo, si trovi in Roma per il giorno 1° aprile p.v., a disposizione del Capitano sig. Bottego”. L’esploratore parmigiano aveva in quei giorni scelto il primo dei suoi compagni di viaggio. Bottego conosceva Carlo Citerni, nato a Scarlino nel grossetano il 3 agosto 1873, da alcuni anni. Sapeva di potersi fidare di questo giovane ufficiale che era nipote del capitano di fanteria Pio Citerni, che aveva sposato sua sorella Celestina. Il 10 maggio 1895 Mocenni corrispondeva col presidente del Consiglio dei Ministri Francesco Crispi, informandolo che aveva posto sia Bottego che Citerni a disposizione della Società Geografica, pur continuando essi a percepire le paghe del loro grado. A questo proposito il capo della spedizione aveva richiesto che ai militari che lo avrebbero accompagnato fosse riconosciuto per diritto lo stipendio e l’indennità di ufficiale comandato all’estero. Successivamente furono aggregati il sottotenente di vascello Lamberto Vannutelli (1871-1966) e il civile dottor Maurizio Sacchi (1864-1897), che doveva eseguire osservazioni fisiche e naturalistiche, mentre in terra africana si unì loro l’esploratore Ugo Ferrandi (1852-1928), capitano della marina mercantile, che assunse l’incarico di dirigere la stazione commerciale di Lugh. Citerni si preparava adeguatamente per affrontare la rischiosa missione, nella quale aveva l’incombenza di tenere il diario, di scattare delle fotografie e tante altre mansioni tipiche delle spedizioni di quei tempi. “Bottego, Citerni, Vannutelli e Sacchi salparono da Napoli il 3 luglio 1895 sul piroscafo Po. Il 7 approdarono ad Alessandria d’Egitto e il 10 a Suez. Il governatore Baratieri accolse gli esploratori a Massaua il 14 luglio, stava per partire anche lui con il proposito di chiedere a Roma denaro ed uomini per fronteggiare l’esercito di Menelik. A Massaua il reclutamento degli ascari andava a rilento per la penuria di gente idonea. Poi Bottego e Sacchi andarono sul Palestina ad Aden per fare degli acquisti, il capo ritornò a Massaua mentre il geologo proseguì per Zanzibar per rifornirsi di quadrupedi. Si sarebbero ritrovati a Brava con Ferrandi. Sacchi, espletato il suo compito a Zanzibar prese la nave Avoca che il 18 settembre fece tappa a Chisimaio. Qui il dottore si imbatté casualmente con Vannutelli, sbarcato il giorno prima con uomini, muli e bagagli. Si trattava dell’avanguardia della spedizione in quanto a conti fatti s’erano accorti che tutti non avrebbero trovato posto sul Dogali, la regia nave che da Massaua avrebbe dovuto trasportarli a Brava. Vannutelli doveva ora raggiungerla per via terra, però l’arrivo insperato di Sacchi fece sì che lui portasse con sé, per via marittima, tutto il pesante bagaglio con sette uomini, invece gli altri 35 ascari e i 26 muli, sgravati dai colli, sarebbero andati a piedi. Il 20 Sacchi stringeva già amicizia con Ugo Ferrandi, Vannutelli il 26. Bottego e il grosso della spedizione salutarono Massaua il 15 e, dopo un necessario scalo ad Aden, il 1° ottobre approdarono nella città portuale, dove risiedeva il novarese. Nei primi giorni di ottobre avvenne un’accesa discussione tra Bottego e Ferrandi con il risultato che questi, se pur a malincuore, declinò l’invito di stanziarsi a Lugh. Fortunatamente il sopraggiunto Giacomo Trevis (1869-1897), che doveva sostituire il collega nella conduzione dell’amministrazione di Brava, fece una proficua opera di mediazione tra i due litiganti appianando le cose. Giacomo Trevis era anche latore di importanti notizie dal Sultano di Lugh che aveva fatto un accorato appello agli italiani per avere la protezione della nostra bandiera a difesa del pericolo Amara (ossia gli Abissini) sempre in agguato. In effetti, continuava il Trevis, la città era caduta nelle loro insaziabili mani a conferma di quanto Bottego paventava da tempo. Questo appello confermava l’ipotesi che il Sultano avrebbe accettato volentieri il presidio sotto la responsabilità di Ferrandi. Ormai tutto era pronto per la partenza, che si effettuò a mezzogiorno del 12 ottobre. La carovana comprendeva 3 bianchi, 250 ascari, 120 dromedari, 30 muli, 10 asini e un numero imprecisato di buoi e capre. Ferrandi e Sacchi rimasero ancora per sbrigare le ultime faccende. Il 17 tutti erano riuniti sulla riva sinistra dell’Uebi Scebeli. Trevis li aveva accompagnati per un certo tratto, alla fine i due gruppi si salutarono commossi con delle salve di moschetteria. Il bravo e disponibile Trevis aveva il destino segnato: il 9 febbraio 1897 venne ferito a morte a Merka da un somalo con una pugnalata ad un fianco” (cfr. il mio Vittorio Bottego. Coraggio e determinazione in Africa Orientale, Torino, Il Tucano Edizioni, 2005). Il 18 novembre arrivarono a Lugh, dove costruirono un forte, affidato al Ferrandi, sul quale fissarono con orgoglio la bandiera italiana. Questa località, che era la capitale della Somalia orientale, dominava le tre strade del Ganana (Giuba), del Daua e dell’Ueb. Vi soggiornarono per un mese e mezzo poi, salutato il presidio, si rimisero in viaggio il 27 dicembre. L’ultima loro lettera pervenuta alla presidenza della Società Geografica recava la data del 22 febbraio da Sancurar. I viaggiatori non erano stati più in grado di tenere i contatti. Unico anello della catena con il quale scambiare fitta corrispondenza rimaneva Ferrandi, ma anche l’ardito novarese rimase ben presto privo di notizie dei compagni, che si erano inoltrati nell’interno per raggiungere l’Omo e per scoprirne la defluenza (Lago Rodolfo, oggi Turkana). Il tempo trascorreva e dall’Africa arrivavano le informazioni più discordanti sull’andamento della spedizione, finché il 29 aprile 1897 il R. Ministero degli Esteri comunicava alla Società la dolorosa e ufficiale notizia, trasmessa da Addis Abeba dal dott. Cesare Nerazzini, plenipotenziario alla corte dell’imperatore Menelik, della morte di Vittorio Bottego e della prigionia di Citerni e Vannutelli. Fu proprio il Nerazzini che si prodigò affinché i superstiti raggiungessero la capitale dell’Etiopia. Questo avvenne il 22 giugno dopo aver sopportato ingiurie e violenze. Menelik li ricevette amichevolmente, prodigandosi per loro. Lascio ora la parola a Citerni e Vannutelli (ma la lettera è interamente scritta dal primo) che da Addis Abeba il 25 giugno riassumeva la storia di sedici mesi d’avventure: Onorevole Sig. Presidente, Le corrispondenze inviate dopo Sancurar (Bòran) sappiamo non essere giunte alla S.V. Ecco in breve le vicende della Spedizione: Da Sancurar pel Daua giungemmo agli Amarr, riva sinistra del Sagon, circa a 5° 23’ latitudine nord e 38° 15’ longitud. Est Greenwic; quindi piegammo a nord e toccando il lembo sud di Uallamo, dopo aver visitato il lago Pagadè, raggiungemmo il fiume Omo (1 luglio 1896) circa a 6° 40’ lat. nord. Sfuggendo miracolosamente all’inseguimento accanito del Sultano di Gimma Abbagifar e poi del Ras Uoldu Ghirghis (luglio e agosto 1896) riparammo al Bàss Naroc, dopo aver sostenuto senza gravi perdite continuamente attacchi delle dense e belligere popolazioni che abitano quella fertile ed elevatissima zona montuosa. La spedizione si recò anche al Bàss Marlè, risalì per alcuni giorni il Sagan e quindi proseguì per la riva occidentale del Rodolfo fino a 3° 8’ di lat. nord, mentre veniva distaccato il dott. Sacchi perché scarsi di mezzi di trasporti ci premeva inviare in Italia per via più breve e più sicura le numerose ed interessanti raccolte zoologiche, mineralogiche e l’avorio frutto delle nostre cacce. La nostra spedizione piegò verso nord-ovest lambendo l’estremità occidentale dell’altopiano etiopico fino a poche miglia da Luol-Amian. L’aria malefica di quelle regioni minacciò seriamente la distruzione del personale e del bestiame della Spedizione e perciò dovemmo dirigerci verso i monti risalendo l’Upeno. A quattro giorni da Saiò inviammo una lettera al capo di quel paese, che credemmo residente Scioano, per domandare il permesso di attraversare il suo territorio, dandone le necessarie spiegazioni. Dopo tre giorni ci vennero incontro soldati del suddetto capo, invitandoci a continuare la via e dicendoci che la lettera era stata inviata al dégiasmac di Legà da cui dipende Saiò. A Saiò ci fermammo in attesa della risposta mentre acquistammo con talleri degli animali da trasporto. Il dègiasmac non avendo potuto leggere la lettera inviò il fitaurari suo fratello con pieni poteri. Questi ci disse che saremmo stati i benvenuti nei loro domini e che desideravano far amicizia con noi perché potessimo insegnar loro la via dei fucili. Al fitaurari e ad altri capi donammo due bellissimi fucili e due pistole con relative cartucce. Egli ci accompagnò con tutto il suo seguito, mostrandosi sempre gentile e premuroso, fino alla residenza del dègiasmac ove arrivammo il 16 marzo 1897, circa a 8° 58 ‘ lat. n. e a poca distanza di Gobò del Shuer (intendono della carta dello Schuver, N.d.R.). Ci accampammo sopra un piccolo monte (il Daga Roba N.d.R.) per evitare che i curiosi invadessero il campo cercando occasione di rubarci la roba come nei dì precedenti era accaduto. Il comandante della spedizione inviava il sottotenente Citerni per ossequiare il dégiasmac e a portargli in dono un fucile con cartucce ed altri oggetti. L’ufficiale fu molto bene accolto ed ebbe pel Capitano una lettera di quel capo in cui ringraziava e ripeteva di essere ben fortunato di averci nel suo paese. Dopo il Capitano vi si recava egli stesso e fu colmato di gentilezze. Pareva che tutto procedesse benone quantunque fino dai giorni precedenti un mussulmano di Gimma Abbagifar, trattenuto a forza nel paese perché sarto, ci avesse avvertito che quel capo aveva intenzione di rubarci tutto, disarmarci e impadronirsi di noi, perché gli fabbricassimo dei fucili. Il contegno di questa gente fino ad ora era tale da far credere falsa l’informazione; durante il giorno però queste voci si ripetevano ancora e per di più invitavano i nostri ascari a disertare dicendo che al mattino seguente si sarebbe combattuto e che tutti saremmo periti per la grande maggioranza delle forze del dègiasmac (mille fucili). Infatti nella notte dodici ascari ci disertarono con armi e munizioni sottraendo anche cassette di cartucce e ci accorgemmo di essere circondati dai soldati del capo. Non vi era più dubbio, eravamo traditi! Al mattino seguente, il 17 marzo, il Capitano domandò le guide dicendo di voler abbandonare subito quel paese perché ci faceva disertare gli ascari e ci rubavano la roba. Risposero nulla sapere dei disertori, mentre poi vedemmo che li avevano già incatetenati fin dalla notte, e non vollero darci le guide. Colle buone non si poteva ottenere di passare e perciò volemmo tentare la sorte delle armi piuttosto che cedere senza combattere sperando di poter salvare il nostro lavoro. Eravamo in una posizione molto sfavorevole a noi perché costretti ad un ordine di combattimento molto chiuso e perché obbligati a far fuoco solo in piedi ed il numero degli avversari era molto superiore al nostro, ne contammo oltre seicento con fucili francesi a retrocarica. Fin dai primi colpi caddero molti dei nostri ascari e poco dopo il Capitano come sempre coraggioso fino alla temerarietà nei numerosi attacchi sostenuti, cadeva valorosamente colpito da due proiettili, uno alla tempia sinistra, l’altro al petto e il sottotenente Citerni veniva ferito al piede sinistro. Per quanto esiguo il numero dei nostri ascari il fuoco fu sempre continuato rapido ed efficace, mentre al nemico sopraggiungevano continuamente rinforzi. Finalmente per impedire la completa distruzione della spedizione decidemmo di ritirarci eppoi di arrenderci nella speranza di poter salvare un tempo il frutto di due anni di fatiche, quantunque sicuri di andar incontro a sofferenze molto maggiori di una morte a fianco del nostro eroico Capitano che stimavamo ed amavamo come un padre. La bandiera nazionale donataci dalla R. nave “Dogali” fu da noi bruciata. Durante la nostra ritirata quei barbari avidi di sangue si sfogarono coi numerosi feriti rimasti sul campo. Né si accontentarono di evirare solo i morti, ma anche dopo la resa alcuni leggermente feriti; di questi infelici sappiamo che tre son vivi e completamente guariti. Di 86 che eravamo al principio del combattimento oltre sessanta sono morti e gli scampati al massacro furono tutti incatenati insieme come schiavi, compresi noi, e tenuti separati, facendo loro patir la fame, la sete e il freddo. Troppo dovremmo dilungarci per narrare le sofferenze e i maltrattamenti che abbiamo dovuto subire. Solamente allora sapemmo da quelli che si divertivano a sbeffeggiarci le dolorose vicende dei nostri commilitoni del Tigrè (si riferiscono alla battaglia di Adua del 1° marzo 1896 N.d.R.), poiché non ricevemmo mai nessun corriere che ci desse notizie della nostra Patria. Stanchi dei maltrattamenti stavamo già preparandoci ad una fuga pericolosa, quando alcuni cristiani nostri amici, ascari scioani, ci avvertirono che presso il Negus vi era chi ci avrebbe protetto e chi ci avrebbe forse liberato. Infatti questi stessi presto ci dissero degli ordini benevoli del Negus al nostro riguardo a cui però il brutale vecchio Oromo, nostro traditore, si mostrava sordo. Ci piace rendere noto quanto fosse gentile il contegno dei pietosi Amhara residenti in quel paese e quanto invece fosse barbaro quello degli indigeni. Il sei giugno, giorno della festa dello Statuto, fu anche per noi giorno solenne: all’alba ci chiamano e dandoci due cavalcature ci dicono che per ordine del Negus dovevamo recarci allo Scioa. Durante la strada i maltrattamenti per parte di quelli legati con noi aumentarono. Dopo aver girato le sorgenti del Jabus, attraverso il Birbir, giungemmo alla Diddesa ed anche questo fu giorno di gioia per noi. Un corriere del Negus ci recava una lettera del Maggiore Nerazzini che con pensiero delicato e gentile ci rassicurava sulla nostra sorte (…). Ormai il peggio era passato. La ferita di Citerni era rimarginata e la certezza della libertà aveva loro riportato alto il morale. Il 28 luglio gli ufficiali si trovavano ad Aden e si imbarcavano sul Singapore per fare meritato ritorno in patria. Presto Citerni sarebbe giunto al suo 47° reggimento fanteria di stanza a Bergamo. Nel 1899 L’editore milanese Ulrico Hoepli pubblicò un corposo volume, adorno di fotografie e carte geografiche, con il dettagliato resoconto della Seconda Spedizione Bottego: L’Omo. Viaggio di esplorazione nell’Africa Orientale narrato da L. Vannutelli e C. Citerni. A differenza del collega, Citerni subì sempre il fascino del Continente Nero. In effetti vi tornò a più riprese: in qualità di esperto di cose africane fu inviato, come osservatore e consigliere del Governo nel 1903 nella Somalia britannica durante la campagna inglese contro il Mad Mullah, una specie di Mahdi che minacciava le colonie europee; sempre il Governo gli affidò l’incarico di capitanare una spedizione in Etiopia. In questa occasione fu spesso affiancato da una missione abissina, come stabilito nella convenzione del 16 maggio 1908 fra il Negus Menelik e l’Italia, allo scopo di delimitare i confini tra l’impero Etiopico e la Somalia. Sia con i rilievi topografici, sia con l’accertamento territoriale delle divisioni etnografiche di tribù nomadi, Citerni doveva fornire elementi tali da ottenere un’esatta delimitazione fra i due stati limitrofi. La missione, che non raggiunse tutti gli obiettivi, si svolse dal 19 settembre 1910 al novembre 1911. Sempre per i tipi della Hoepli nel 1913 si diede alle stampe Ai confini meridionali dell’Etiopia. Note di un viaggio attraverso l’Etiopia ed i Paesi Galla e Somali del capitano Carlo Citerni. Anche quest’opera, precisa relazione della missione avuta dal Governo, porta carte geografiche e una copiosa documentazione fotografica. Più piccolo, ma non certo per questo meno prezioso, è il suo manuale coloniale Come si viaggia in Affrica, edito a Roma nel 1913 dall’Ufficio di Studi Coloniali del Ministero delle Colonie, utile ed indispensabile vademecum per colui che desiderava avventurarsi in quel continente per scopi scientifici, commerciali, o semplicemente sportivi. In questo libretto sono riportate tutte le esperienze vissute in prima persona, in particolare gli insegnamenti acquisiti da Bottego. Ma la Grande Guerra era alle porte e non c’era più tempo per le esplorazioni e per le missioni scientifiche. Il colonnello Citerni combatté valorosamente sull’Isonzo e in Macedonia. Nell’estate del 1918, ormai brigadiere generale, si trovava a Roma per subire un’operazione chirurgica in bocca per un tumore dovuto ai suoi amati sigari. Questa riuscì perfettamente, ma una sopravvenuta polmonite lo rapì ai vivi il 1° agosto. Bibliografia: Elia Millosevich, Carlo Citerni (cenni necrologici), in Bollettino della Società Geografica Italiana, Roma, 1918; Riccardo Truffi, Precursori dell’Impero africano, Roma, Edizioni Roma, 1936; Piero Gribaudi, Le esplorazioni africane di Carlo Citerni, in Scritti di varia geografia, Torino, G. Giappichelli Editore, 1955; Giorgio Torelli, Alla ventura col capitano Bottego, Parma, Monte Università Parma, 2003; Fabrizio Pompily e Carlo Cavanna, La spedizione maremmana in Etiopia 100 anni dopo Vittorio Bottego, Grosseto, Scripta Manent Editrice, 1996; R.E.G. Ricerche Esplorazioni Geografiche, Etiopia. L’ultima avventura 100 anni dopo Vittorio Bottego, Castiglione della Pescaia, Riemma Editore, 1998; Walter Minestrini, Il Leone d’Africa. Vita di V. Bottego, S. Lazzaro di Savena, Editrice Carroccio, 1961; Pietro Pedrotti, L’ultima spedizione del Capitano Bottego, Rovereto, Editrice la “Cassa scolastica” del Regio Istituto Tecnico di Rovereto, 1937; Paolo Giudici, Maurizio Sacchi e la seconda spedizione Bottego, Pavia, Mario Ambaglio, 1935; Renzo Milanesio, Sulle orme di Bottego, Cavallermaggiore, Gribaudi Editore, 1988; J. Monty Brown, Where Giants Trod. The saga of Kenya’s desert lake, London, Quiller Press Ltd, 1989; Pascal James Imperato, Quest for the Jade Sea. Colonial Competition Around an East African Lake, Boulder, Westview Press, 1998; Manlio Bonati, Vittorio Bottego, un ambizioso eroe in Africa, Parma, Silva Editore, 1997; Manlio Bonati, Vittorio Bottego. Coraggio e determinazione in Africa Orientale, Torino, Il Tucano Edizioni, 2005. |
![]() Carlo Citerni (Archivio Società Geografica Italiana, Roma) |
![]() Lugh 1895, i cinque esploratori della Seconda Spedizione Bottego con autografo di Carlo Citerni |
![]() Frontespizio del libro di Lamberto Vannutelli e Carlo Citerni del 1899 con dedica autografa del Citerni alla famiglia di Giacomo Trevis |
![]() Copertina del libro di Carlo Citerni del 1913 |
![]() Copertina di un altro libro di Carlo Citerni (edizione di lusso) del 1913 |
![]() Invito del 1913 per una conferenza di Carlo Citerni (Archivio Giancarlo Grassi, Scarlino) |
![]() Copertina del libro di Paolo Giudici del 1935 |
![]() Copertina del libro di Pietro Pedrotti del 1937 |
![]() Copertina del libro di Walter Minestrini del 1961 |
![]() Copertina del libro di Renzo Milanesio del 1988 |
![]() ![]() Carlo Citerni (Archivio Società Geografica Italiana, Roma) ![]() Lugh 1895, i cinque esploratori della Seconda Spedizione Bottego con autografo di Carlo Citerni ![]() Frontespizio del libro di Lamberto Vannutelli e Carlo Citerni del 1899 con dedica autografa del Citerni alla famiglia di Giacomo Trevis ![]() Copertina del libro di Carlo Citerni del 1913 ![]() Copertina di un altro libro di Carlo Citerni (edizione di lusso) del 1913 ![]() Invito del 1913 per una conferenza di Carlo Citerni (Archivio Giancarlo Grassi, Scarlino) ![]() Copertina del libro di Paolo Giudici del 1935 ![]() Copertina del libro di Pietro Pedrotti del 1937 ![]() Copertina del libro di Walter Minestrini del 1961 ![]() Copertina del libro di Renzo Milanesio del 1988 ![]() Copertina del libro di Renzo Milanesio del 1988 ![]() Copertina del libro di Fabrizio Pompily e Carlo Cavanna del 1996 ![]() Copertina (parziale) del libro del R.E.G. del 1998 ![]() Copertina del libro di Pascal James Imperato del 1998 Copertina del libro di Giorgio Torelli del 2003 (ristampa dal Candido del 1960) ![]() Copertina del libro di Manlio Bonati del 2005 C ![]() Il capitano Carlo Citerni (Archivio di Guido Citerni, Scarlino ![]() Copertina del libro di Renzo Milanesio del 1988 |
![]() Copertina del libro di Fabrizio Pompily e Carlo Cavanna del 1996 |
![]() Copertina (parziale) del libro del R.E.G. del 1998 |
![]() Copertina del libro di Pascal James Imperato del 1998 |
Copertina del libro di Giorgio Torelli del 2003 (ristampa dal Candido del 1960) |
![]() Copertina del libro di Manlio Bonati del 2005 |
C ![]() Il capitano Carlo Citerni (Archivio di Guido Citerni, Scarlino |
![]() Carlo Citerni durante la Grande Guerra (Archivio di Guido Citerni, Scarlino) |