Vi segnalo due libri di viaggio sull’Etiopia, per certi versi simili, per altri molto diversi fra loro ma in ogni caso affascinanti.
Il primo, “Avventura sul Nilo Azzurro” di Rudigher Nehberg, edizioni TEA, narra di tre tedeschi – un pasticcere (l’autore), uno studente e un cameraman – che organizzano un’impresa mai riuscita fino ad allora (siamo nel 1972): seguire il corso dell’Abbai, il leggendario Nilo Azzurro, dal lago Tana ai confini del Sudan. I preparativi sono lunghi e meticolosi, dalla costruzione di una barca “inaffondabile” ai corsi di sopravvivenza nei boschi, dall’allenamento a mangiare larve alle prove di navigazione su una diga dell’Elba. Dopo un primo tentativo fallito a causa di un albero che ostruisce il corso del fiume, i tre impavidi ci riprovano, pur sconsigliati da tutti, e fra mille peripezie riescono a portare a termine il loro progetto. E’ un racconto molto coinvolgente, ci si immedesima nei protagonisti e ad ogni ostacolo superato la sensazione è sempre quella di essere ancora in prima linea, aspettando il prossimo. Le descrizioni dei luoghi e degli animali sono molto interessanti. Un altro lato positivo sono le descrizioni degli indigeni, delle loro storie e delle loro usanze, sempre trattati, anche quando sono ostili e pericolosi, con il rispetto che si deve alle persone, e mai con quel tono di superiorità che spesso contraddistingue chi proviene dal nord del mondo.

Il secondo, “In Etiopia con un mulo” di Dervla Murphy, edizioni EDT, è il diario di una eccentrica irlandese che nel 1966 decide di viaggiare sull’altopiano percorrendo quella che le agenzie di viaggio chiamano “la rotta storica” ( che comprende Axum, Lalibelà, Gondar, il lago Tana, tanto per nominare alcuni dei luoghi che ci sono familiari). Solo che lei non si affida ad un tour operator ma alle sue gambe e a quelle del simpaticissimo mulo Jock. Con una forza ammirevole si arrampica su e giù per le ambe etiopiche e durante i tre mesi di viaggio sperimenta tutta la gamma di possibilità dei viaggi di avventura: la solitudine estrema e la confusione delle feste tipiche, la condivisione di un pasto frugale nei villaggi più sperduti e il terrore dell’assalto dei banditi, la visita formale alle personalità del luogo e l’ospitalità generosa su giacigli pieni di cimici, la gente che le chiede aiuto per le malattie e quella che le tira dietro i sassi. Tutto viene narrato con grande senso dell’umorismo, per cui la lettura, oltre che estremamente interessante, è anche divertente. Nelle descrizioni delle persone che incontra, l’autrice non si fa tentare né dal buonismo né dai pregiudizi, e rimane se stessa in ogni rapporto con gli altri, per cui la simpatia o l’antipatia che prova nei confronti di questo o quello sono genuine e non falsate dal timore di sembrare razzista o, al contrario, dalla pretesa di essere dalla parte della “civiltà”.
Le somiglianze fra i due libri sono: i luoghi (pur da due punti di vista diversi – sopra o sotto lo strapiombo – si parla pur sempre della nostra amata Etiopia e dei suoi paesaggi mozzafiato), l’approccio alle persone (caratterizzato da grande rispetto), il gusto della scoperta (come ricerca dell’altro e non come accentuazione delle differenze).
Le differenze: Nehberg privilegia, come da titolo, l’avventura e il libro dà un po’ l’idea del film d’azione; la Murphy dà più spazio alla contemplazione e alle riflessioni personali e il suo libro assomiglia di più a un misto fra documentario e racconto di formazione.