Sono stato in stretto contatto per tanti anni con Alberto Vascon e ho avuto modo di conoscerlo bene anche se non è mai stato facile fargli aprire completamente l’ animo; lo potrei definire un uomo riservato anche se era sempre disponibile e pronto a parlare di Africa e a esibire centinaia e centinaia di immagini riprese durante i suoi lunghi anni vissuti in qu el continente.
Alberto però non aveva mai trovato un po’ di tempo per mostrarmi fotografie o filmati che sapevo esistessero e che documentassero la sua partecipazione, in giovane età, da solo o con amici, in escursioni effettuate nelle savane e nelle montagne africane. Oggi. grazie alla cortesia di Bianca, la sua amata compagna, ho avuto modo di prendere visione di molti aspetti di un Alberto fino ad allora a me sconosciuto.
Mi ci è voluto del tempo per recepire il messaggio e per fare in modo che quei documenti (nel caso di Alberto Vascon tale definizione è appropriata) riuscissero a giungermi in fondo all’animo. Sono rappresentazioni realistiche in una veste più che altro trasgressiva e avventurosa, lontana dall’aspetto a me noto dell’amico Vascon: l’ho sempre conosciuto infatti nelle vesti dell’osservatore, del fotografo, del critico, dell’esperto della vita e del mondo racchiuso tra il tropico del Cancro e quello del Capricorno; identificavo in lui il sostenitore della conservazione dell’integrità africana, tanto da definirlo più volte un vero paladino della flora e della fauna di quel mondo.
In un primo momento quelle visioni, fino ad allora a me sconosciute e che mostrano inequivocabili evidenze di partecipazione a safari spregiudicati, mi hanno indotto a considerare meglio Alberto,costringendomi a immaginare quali sofferte evoluzioni dovessero essere avvenute obbligatoriamente in lui per potersi trasformare da un coraggioso e stravagante white hunter in un purista e sostenitore dell’integrità di quel grande continente.
Le foto che ho ricevuto recentemente da Bianca, mostrano Vascon come un uomo di circa trenta anni, anzi come un giovane dal fisico perfetto, un vero Tarzan che oltre all’allettante figura manifestava l’ ardore e il disprezzo del pericolo.
Come si evince dalle foto, Alberto aveva imparato a rendere inoffensivo un coccodrillo, a tenere con le mani nude i serpenti vivi, ad atterrare una zebra saltandole addosso da un’auto in corsa, oppure a cimentarsi con un fuori strada nelle imprese più disperate.
Mentre prendevo visione di queste immagini mi sono chiesto quanti di noi sarebbero stati capaci di tenere nascoste fotografie che indubbiamente mettono in risalto l’ ardire e l’intraprendenza del giovane Vascon al quale si può imputare solo la colpa veniale di disturbo dell’ambiente.
In verità una cosa la sapevo: Alberto veniva considerato sia dai cuochi delle grandi imprese dove lavorava come tecnico, sia dai capi di villaggio vicini ai cantieri, il cacciatore che procurava loro selvaggina fresca sufficiente a coprire le necessità delle rispettive cucine.
Indubbio invece è da sottolineare il coraggio, la forza e la passione del giovane Vascon che affronta le disavventure di una escursione fuoristrada con la gioia di saperle superare, con la possibilità di testare se stesso di fronte all’asperità di un ambiente ancora vergine e potenzialmente ostile e di riuscire a confrontarsi con pochi uomini ardimentosi del suo pari.
La foto che più mi ha sbalordito è stata quella in cui si lancia fuori da un’ auto in corsa su una zebra in fuga e l’atterra: forza e coraggio da vendere di un uomo che ho conosciuto come un essere mansueto e che convogliava la sua potenza solo sulla penna che sparava, senza esitare, dolorose bordate.
In altre parole, Alberto ha continuato a sbalordirmi anche dopo morto.
Ci mancherai tanto, eroe di altri tempi, ci mancheranno le tue feroci critiche, ma anche i tuoi commoventi approcci a quell’Africa quando era una terra ancora vergine e che ora non esiste più.
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