Angelo Granara (angra), 10 luglio 2009
Qualche tempo addietro scrissi di una letterata africana che invitava i leaders del Continente Nero a prendere in mano le sorti dei loro Paesi e di smetterla di accusare il mondo intero, ed in particolare le ex potenze coloniali, di tutti i mali, le miserie, le guerre, le catastrofi dell’Africa. Ora altre due donne africane, il premio Nobel Wangari Maathai e l’economista Dambisa Moyo, ritornano sull’argomento. La prima per esprimere la speranza della nascita di leaders africani capaci di unire più lingue ed etnie; la seconda tacciando gli aiuti internazionali come una delle prime cause di malgoverno. Lo scenario africano, a causa della grande crisi globale, si è ulteriormente deteriorato perchè ha causato il crollo dei prezzi delle materie prime riducendo il reddito di diversi Paesi a livelli paurosi. Questa situazione, invece di spingere i governanti africani ad unire le forze per far fronte al disastro, ha suscitato nuovi conflitti per il potere. La drammatica guerra nella Repubblica Democratica del Congo ha causato oltre cinque milioni di morti; un’altra drammatica lotta ha insanguinato l’Uganda del Nord. Senza parlare delle tragedie del Darfur e dello Zimbabwe. Wangari Maathai punta l’indice contro il “pernicioso attaccamento” a frammentarie “micro-nazioni” ed è convinta che il cambiamento debba scaturire dall’attivismo della base e dal ritorno alle proprie tradizioni. Secondo l’economista Dambisa Moyo, gli aiuti internazionali dovrebbero cessare immediatamente perchè l’assistenza esterna è alla base del sottosviluppo africano e si dice favorevole allo sviluppo del settore privato anche di origine cinese. Malgrado i punti di contrasto, le due intellettuali africane sono convinte che il problema di fondo dell’Africa sia il malgoverno perché non esiste il concetto di “bene pubblico” e la politica è degenerata in pura lotta per tenere in pugno lo Stato e tutte le risorse che controlla. Tutti i problemi del Continente derivano da questa dinamica distruttiva. Le risorse naturali esasperano la lotta politica e le tribù e le etnie vengono sfruttate dai leaders politici per i loro scopi. La Maathai si augura una leadership come quella di Julius Nyerere che fu capace di unire tribù ed etnie imponendo un’unica lingua nazionale, ma pare che gli africani non siano ancora disposti a prendere in esame il problema del “nation-building” eliminando le micro-nazioni modificando, se necessario, anche i confini dei singoli Stati per costruire più grandi unità sulla base di una lingua e di interessi naturali. Fino a quando l’Africa non sarà capace di esprimere leaders costruttori di nazioni unificando tribù, etnie e lingue, l’attuale situazione è destinata a permanere ancora a lungo. |