Tombe axumite
Nicky Di Paolo, 27 febbraio 2016 Adulis e l’archeologia
Chi conosce la storia del Corno d’Africa sa bene che quella è l’unica parte del continente africano a sud del Sahara dove anticamente si sviluppò una civiltà, una grande civiltà, già esistente prima di Cristo e che arrivò ad avere una propria scrittura, una propria moneta, una propria e originale conformazione per stile di vita, per bellezza della popolazione e per un grado di benessere molto elevato. Il regno di Axum si sviluppò in due centri principali e in alcuni secondari. Axum e Adulis erano rispettivamente la capitale ed il porto del nobile popolo axumita.
In tutto il Corno d’Africa, ma particolarmente in Eritrea, l’archeologia ha sempre avuto un giustificativo per non divenire efficacemente operante; è rimasta quasi silente, in disparte, apparentemente timorosa di tirare fuori prove ben evidenti della nobiltà e della civiltà delle genti del Corno.
Non è difficile immaginarsi il perché: il regime fascista italiano sosteneva l’opposto di quanto l’archeologia e la storia cercassero invano di farsi largo per mostrare la verità: per i neocolonialisti era infatti importante presentare al mondo uno stato di vita primitivo delle popolazioni di quei luoghi per poter giustificare l’arrivo di milioni di civili e militari europei che giungevano in massa nel Corno per dare apparentemente soccorso, per istruire e catechizzare quelle genti primitive, urgentemente bisognose dell’aiuto della cultura europea.
Subito dopo la disfatta italiana con relativa perdita delle Colonie, agli inglesi che ottennero il protettorato dopo il dominio degli italiani non interessava nulla dell’archeologia perché di fatto non volevano dare spazi operativi agli abitanti dell’Eritrea.
Neppure il Negus, intelligente com’era, benché sostenesse lo sviluppo economico dell’Eritrea, non fece nulla per favorire studi archeologici che avrebbero potuto fare alzare la testa a quella gente che invece riuscì a sottomettere senza dover ricorrere a interventi armati.
Infine, anche i vincitori del conflitto Etiopia – Eritrea hanno fatto bene a lasciare in disparte per un po’ di tempo l’archeologia che avrebbe potuto mettere in evidenza ricchezze potenziali, tali da spingere il nemico sconfitto a riaprire le ostilità per impadronirsi di quei tesori.
Possiamo quindi tranquillamente sostenere che fino ad oggi poche ricerche archeologiche sono state effettuate o meglio improvvisate da singoli soggetti appassionati di archeologia che poco o nulla portarono alla luce, ma tutti intuirono la grandiosità delle rovine che giacevano sepolte sotto le terre eritree.
Personalmente, nei miei scritti, ho sempre dedicato un po’ di spazio per descrivere i resti archeologici presenti in Eritrea: ho ricordato il loro fascino e il potere di seduzione che costantemente colpisce il viaggiatore che transita per quelle lande; è forte la sensazione comune di trovarsi di fronte a resti parziali di qualcosa di molto, molto più grande di ciò che è visibile, sepolto in aree vaste. Questo succede al Cohaito, a Matarà (Senafè), a Aratù e a Adulis, questa ultima città costiera, non distante dal mare, a sud di Massaua.
Da ragazzo, andavo volentieri con i miei amici in gita, scendendo verso Sud, costeggiando il mare e transitando sulla pista che portava da Massaua in direzione di Assab, trasformata oggi in una comoda strada asfaltata. Non eravamo attratti solo dalle stupende spiagge dorate dalla presenza di mica, da un mare splendido e quanto mai ricco di fauna marina, e dall’assenza di grossi centri abitati; c’era qualcosa di più che intrigava l’animo di noi ragazzi: infatti non trascuravamo mai di soffermarci 4 km prima di giungere a Zula, sulla sabbia che ricopriva i resti della cittadina di Adulis, antico porto axumita. Ai tempi di Axum, Adulis era il cardine del commercio fra Alessandria e l’Oriente.
Qui arrivavano dal centro dell’Africa e da Alessandria le carovane che scambiavano le merci con le navi provenienti dall’India e probabilmente anche da più lontano. Se pensiamo che i porti di Alessandria potevano ospitare milleduecento navi che poi ripartivano verso l’Europa e il Medio Oriente, possiamo immaginare quante ne partivano da Adulis vero l’Oriente.
A questo punto possiamo ipotizzare anche la grandezza del suo porto che doveva contenere abitazioni, caserme, magazzini, arsenali e ospitare militari, commercianti, negozianti, schiavi e artigiani di ogni sorta, mentre la stessa città di Adulis non doveva essere molto grande, secondo la testimonianza di Cosma Indicopleuste che la visitò nel V secolo e la descrive come “un villaggio di modeste dimensioni”. Adulis stessa, poi, sempre secondo Cosmas, si trovava a venti leghe dal mare, cioè esattamente dove si trova ora.
Seduti su quelle quattro pietre squadrate che costituivano l’unico segno tangibile della presenza di resti archeologici, noi ragazzi cercavamo di immaginare come poteva essere il porto di Adulis 2000 anni fa. Secondo i pochi archeologi italiani che si erano interessati del problema da un punto di vista storico e archeologico, poco sostenibile è l’ipotesi che una grave catastrofe naturale possa aver colpito Adulis, pur avendo preso atto che la Dancalia è ricca di tanti vulcani attivi ed è una terra di terremoti, come quello che colpì duramente Massaua nel 1921; la fine di Adulis è razionalmente spiegabile con il suo abbandono in seguito alla conquista araba dell’Egitto nel VII secolo, che pose fine ai traffici marittimi e terrestri. Qualche terremoto potrebbe aver fatto crollare le dighe del suo porto e le costruzioni, i detriti sarebbero stati spazzati via dalle piene del torrente Haddàs che hanno trasportato per secoli melma e fango dall’acrocoro, insabbiando così il porto. Ricordiamo che la diga di Zula, costruita sul torrente Haddàs a una ventina di chilometri a monte di Adulis, fu spazzata via da una piena eccezionale. Adulis è posta sulla riva sinistra del torrente, come si vede dalla cartina1, e questa ipotesi è plausibile.
1 IGM – Carta della Colonia Eritrea – Foglio 1864 – AFTA

Noi, giovani turisti, sfortunatamente possedevamo talmente poche nozioni al riguardo che le nostre discussioni si basavano molto più sulla fantasia che sulla realtà.
Oggi è arrivato il momento in cui il governo eritreo si guarda intorno per identificare le potenzialità del paese e senza dubbio il turismo è una delle carte apparentemente vincenti. Se è vero che le isole e i litorali dei mari dell’Eritrea sono di per sé sufficienti a giustificare un serio impegno delle autorità del paese per dare vita ad un’industria di grande rispetto, è altresì comprensibile come un patrimonio archeologico possa moltiplicare le aspettative turistiche in generale.
Lunedì 18 gennaio si è svolta presso l’Aula Magna della Scuola Italiana di Asmara la presentazione agli studenti degli ultimi anni delle classi della scuola secondaria superiore, i risultati della missione archeologica ad Adulis, voluta dal Governo Eritreo e affidata al Ce.R.D.O. (Centro di Ricerche nel Deserto Orientale dei fratelli Alfredo e Angelo Castiglioni. Durante la stesura di questa nota, abbiamo appreso con dispiacere della morte di Alfredo Castiglioni avvenuta il 15 Febbraio dopo una vita intera dedicata alle scoperte archeologiche, diventando assieme al fratello Angelo due dei più noti esploratori del mondo.)
Negli eritrei si fa strada la coscienza di avere praticamente ancora tutto da scoprire, un patrimonio archeologico, certamente di grande estensione, ma ancora tutto da definire. Decidere di partire da Adulis ci sembra un’idea vincente in quanto, pochi chilometri dalla costa del Golfo di Zula, a sud di Massaua, le antiche storie degli eritrei, dei greci, degli egiziani e di altre grandi civiltà menzionano Adulis come una importante crocevia dI merci preziose, di schiavi e di conoscenze fra l’Europa, il Nordafrica e l’Oriente. Basta dare un’occhiata ad una carta geografica e si può facilmente intuire l’importanza di un centro commerciale dentro il golfo di Zula.
Il Governo Eritreo, ancora una volta, con un atteggiamento generoso verso l’Italia, ha affidato l’esecuzione dei primi lavori ai fratelli Castiglioni, all’Università di Siena, all’Università del Sacro Cuore di Milano, all’Università Orientale di Napoli che collaborano tutti con il Museo Nazionale dell’Eritrea. Ci troviamo quindi di fronte a un gruppo qualificato di esperti, noti per la loro intraprendenza e serietà. La vastità del sito, la difficoltà di monitorarlo, la delicatezza degli interventi, hanno fatto creare di necessità una cortina di silenzio che è stata rimossa solo di recente per annunziare al mondo che i resti di un centro abitato di vastissime estensioni, circa 30 ha, sta venendo pian piano alla luce nel punto esatto dove sorgeva Adulis.
Adulis è collocata nella Dancalia del Nord, luogo dove passa l’Equatore Termico, linea che collega i posti più caldi del mondo. Nessuno d’estate può viverci se non è assuefatto a temperature che spesso superano i 50° e quindi non è nemmeno da prendere in considerazione qualsiasi intervento di scavi archeologici effettuato d’estate, mentre temperature piacevoli da metà ottobre al fine marzo, paragonabili ad un’estate delle coste italiane, si armonizzano con programmi di scavi.
Oggi gli scavi archeologici vengono seguiti e indirizzati da satelliti orbitanti intorno alla terra. Ciò spiega la collaborazione con il centro di Geotecnologie dell’Università di Siena e con l’Agenzia Spaziale Italiana. Certamente, a differenza del passato, verranno evitati tutti gli errori che invece hanno inquinato le ricerche in tanti altri siti archeologici sparsi per il mondo: in altre parole, oggi l’archeologia si avvale di architetti, ingegneri e geologi che indicano dove e come scavare. Soprattutto, con tale guida, non si dovranno attendere, a nostro parere, tempi lunghissimi per portare alla luce i resti sepolti.
Questo lavoro è ritenuto nel mondo scientifico e storico talmente importante che, a partire dal 21 gennaio, il direttore del canale televisivo Archeologiaviva TV fornirà ogni venerdì aggiornamenti in esclusiva sugli scavi di Adulis per potere seguire in tempi reali la ricostruzione della storia di questa grande civiltà, in un’avventura appassionante che seguirà passo dopo passo, le orme di uno dei pionieri dell’archeologia italiana, Roberto Paribeni, che condusse sul sito alcuni scavi nei primi del Novecento.
A noi resta quindi solo di augurare al Governo Eritreo e al team di ricercatori italiani di scoprire resti archeologici importanti da abbinare a progetti turistici nel sud del Mar Rosso, attualmente in elaborazione dal Ministero del Turismo eritreo.
Nicky Di Paolo, Febbraio 2016
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Gli italiani sono stati a lungo in Eritrea ma, per i molti impegni che qui è superfluo elencare, si sono sempre interessati poco di archeologia. Si potrebbe dire che i siti scoperti furono appena scalfiti.
Matarà, città importantissima al tempo del regno axumita, pare che celi tesori archeologici molto rilevanti e destinati a rivelare aspetti ignoti sui legami storici che legavano i sovrani del potente regno di Axum a questa città che aveva contatti diretti con l’allora famoso porto del Mar Rosso Adulis
Una sorte simile toccò a Coloè sull’altopiano del Cohaito, che attirò più l’attenzione di qualche archeologo dilettante che di équipes di specialisti attrezzati e finanziati per portare avanti importanti scavi.
Una scoperta, che potrebbe rivelarsi ancora più sensazionale di quella di Matarà, è quella che riguarda Adulis. Questa località, un tempo famosa, fu ignorata da italiani, etiopici ed eritrei. Eppure gli italiani lavorarono nella vicinissima Zula per la costruzione di una diga con ingenti movimenti di terra.
Gli eritrei per parecchi anni si sono disinteressati dei loro siti archeologici senza realizzare quale fonte di ricchezza fossero. Se, come si dice, Matarà e Adulis celano rovine grandiose (pare che Adulis possa paragonarsi come dimensione a Pompei), il richiamo per un ingente flusso turistico sarebbe irresistibile con un sostanziale apporto di valuta pregiata e di lavoro per un paese che ne ha bisogno
come il pane.
Tutti coloro che si sono avvicendati al potere in Eritrea, in tutt’altre faccende affaccendati, pare non abbiamo mai trovato il tempo e le risorse per portare alla luce quelli che potrebbero essere tesori inestimabili e rivelare importanti eventi storici.
Sembra che qualcosa si stia muovendo. Non resta che sperare che sia una cosa seria.
Angra, Febbraio 2016



