Alberto Vascon e Nicky Di Paolo

6/8/04

Ultimamente il termine “Abissinia” è decisamente visto con poca simpatia dagli eritrei. Abbiamo ricevuto varie segnalazioni in tal senso. Prendiamo atto della cosa, ma desideriamo considerare il problema perché non ci sembra opportuno abbandonare questo termine carico di storia, di nobiltà e di fascino che è utilizzato oggi nel lessico occidentale con tanto rispetto misto ad un senso di velato mistero.

Abissinia deriva dal termine Habasciàt,, nome di una delle tribù sudarabiche che contribuirono a fondare il regno di Aksum, conosciuto anche come regno degli Habasciàt. Gli Abissini sono i discendenti degli Aksumiti. Nella lingua araba il termine “habasc” significa “mescolanza di popolazioni”. Ed Abissinia sta ad indicare quella immensa regione che occupa buona parte dell’acrocoro etiopico e più precisamente la zona che va dai bastioni che guardano il Sudan fino a tutto l’altopiano eritreo e poi, in Etiopia, le provincie del Tigrai, del Beghemedìr, del Goggiam, del Uollo e gran parte dello Scioa. Comprende in pratica tutto l’altopiano che sta a nord dell’Auasc e del Nilo Azzurro. In altre parole l’Abissinia comprende una piccola parte dell’Eritrea e buona partre dell’Etiopia.

E’ ormai definitivamente appurato che popolazioni semitiche provenienti dall’Arabia nel 1° millennio a.C. riuscirono ad insediarsi sull’altipiano africano che avevano di fronte, si integrarono con la popolazione locale e diedero origine alla stirpe abissina, gente dai lineamenti semitici e dalla carnagione scura, ma decisamente più chiara di tutte le altre popolazioni africane, e fondarono il regno di Aksum.

Circa 50 anni prima di Cristo fu compilato da un anonimo levantino un portolano dal titolo “Il Periplo del Mare Eritreo”. Benché a quel tempo il Mare Eritreo comprendesse, oltre all’attuale Mar Rosso, anche le acque di buona parte dell’Oceano Indiano, l’autore dedicò poche pagine alle coste africane se confrontate alla mole di quelle destinate alla descrizione delle coste che dall’Arabia si spingevano fino all’India.

Possiamo quindi dedurre che a quei tempi l’Africa fosse tenuta in scarsa considerazione dai naviganti. Nel “Periplo” solo Adulis viene ricordata come importante città sulla costa africana, situata di fronte al “paese degli arabi”. Adulis era nota per i suoi importanti commerci in avorio, corna di rinoceronte, gusci di tartaruga, incenso, mirra, zibetto, cannella, elefanti e schiavi, tutti prodotti ambiti nei paesi evoluti di quei tempi. Il porto, le cui rovine si possono ancora osservare vicino a Zula, un paesetto sulla costa eritrea a circa quaranta chilometri a sud di Massaua, visse tuttavia il suo massimo splendore nel IV secolo, quando Axum, la capitale della civiltà axumita, raggiunse il culmine del suo splendore. La capitale degli axumiti distava solo duecento chilometri da Adulis, ma era una distanza sufficiente a collocarla in un universo totalmente differente; infatti, anche se la città marina rappresentava la porta sul mondo per il Corno d’Africa, a causa del suo clima inclemente non era molto amata dagli antichi etiopi che preferivano risiedere ad Axum, situata molto più in alto, a circa 2100 metri sul livello del mare.

Secondo recenti studiosi, se in tutta l’Africa subsahariana si è potuta sviluppare in epoca precristiana una sola civiltà, quella degli antichi abissini, lo si deve unicamente alla felice locazione della loro terra: infatti l’Abissinia si trova situata su uno dei più grandi altipiani del mondo, che comprende in un relativo piccolo spazio il 50% di tutti i monti africani oltre i 2000 metri e l’80% di quelli oltre i tremila metri; una dozzina di montagne superano i quattromila metri, la più alta, il Ras Dasciàn, raggiunge i 4620 metri, mentre un’altra sessantina di vette superano i tremila. A quelle altezze e a quella latitudine il clima è primaverile per tutto l’anno, vi è una buona piovosità e mancano tante di quelle terribili malattie tropicali che hanno sempre devastato il continente africano.

Ancora oggi si crede che in Abissinia vivesse fino a poche decine di anni fa il maggior numero di specie di piante conosciute al mondo, molte delle quali endemiche, la più grande varietà di uccelli ed un vasto assortimento di animali ed insetti.

Il grande altipiano etiopico è solcato dalla ben nota Rift Valley dove un ecosistema unico al mondo ha dato origine ad una infinita varietà di specie animali e vegetali. E’ ormai assodato che l’uomo comparve in questo luogo straordinario, per la prima volta sulla terra, alcuni milioni di anni fa. Lo scheletro di Lucy, un ominide di tre milioni e mezzo di anni, è sta trovato nella valle dell’Auasc. Il Corno d’Africa è quindi la culla dell’umanità.

Molto tempo dopo, quando ormai il genere umano si era sparso per tutto il pianeta, l’acrocoro, per la sua caratteristica morfologia, è stato per millenni praticamente inespugnabile dagli aggressivi popoli confinanti: le sue insormontabili barriere montuose lo hanno sempre difeso dal nord, dall’est e dall’ovest, mentre da sud le terre desertiche della Somalia scoraggiavano qualsiasi intrusione.

C’erano tutti gli ingredienti quindi perché si potesse sviluppare in quel particolare luogo che ormai iniziava ad essere indicato come “Terra degli Abasciàt” dagli storici più antichi, una civiltà capace di utilizzare la scrittura, di battere moneta, di commerciare con il resto del mondo, di costruire monumenti che a distanza di migliaia di anni resistono ancora all’usura del tempo. Una delle famose stele di Axum, la più grande, alta 33,5 metri, con una base di tre metri per due, del peso di oltre 500 tonnellate, è sicuramente il più grande monolito che sia mai stato estratto, trasportato ed eretto nell’antichità. Le modalità del suo trasporto per oltre quattro chilometri da una cava dove è ancora visibile l’impronta, rimangono ancora un mistero. Per trasportarlo ed erigerlo si richiederebbero anche oggi mezzi tecnologici e capacità ideative peculiari. Il culto dei morti, il lusso della vita, la ricerca della conoscenza, resero la civiltà axumita nota in tutto il resto del mondo. Antichi storici persiani e romani indicarono l’Abissinia come uno dei quattro regni più importanti assieme alla Persia, a Roma ed alla Cina, che erano in auge all’epoca della nascita di Cristo.

Se è vero che sull’acrocoro etiopico si ebbero tutte le condizioni per lo sviluppo di una civiltà, più difficile è capire perché anche nel Kenia, dove esistono luoghi con simili condizioni climatiche, non sia nato nulla di simile, probabilmente per la ragione che non c’è stata l’emigrazione dall’Arabia del sud.

Quindi ci sono sempre state grandi possibilità di vita nel Corno d’Africa, ma solo nell’altipiano, in Abissinia, mentre invece sulle coste e sugli altri bassipiani che limitano l’acrocoro, la vita è stata sempre molto problematica per il caldo e la carenza di acqua.

Il Cristianesimo raggiunse l’Abissinia poco più tardi di Roma, ma vi si sviluppò con maggior prontezza: ciò lascia supporre una recettività che soltanto la presenza di una grande civiltà poteva creare. La mitica civiltà axumita non durò molto: quattrocento anni dopo l’avvento del Cristianesimo, precisamente nel settimo secolo dopo Cristo rapidamente si eclissò. Le ragioni forse sono tante e non ancora tutte ben chiarite.

E’ certo che dal settimo secolo dopo Cristo si ebbe in tutta l’Abissinia un drastico cambiamento climatico: normalmente il Corno d’ Africa è interessato dai venti monsonici che soffiano da sudovest da Maggio a Settembre e poi, con una rotazione di 180°, in senso inverso, da Novembre ad Aprile. Questi venti sono stati sfruttati da sempre da arabi ed indiani per la navigazione a vela delle navi che si dirigevano in Oriente nei mesi invernali e nella primavera, per fare ritorno poi, con i venti favorevoli, nell’estate e nell’ autunno successivi. E’ ormai assodato che nel primo secolo dopo Cristo il monsone raggiungeva anche l’acrocoro etiopico causando almeno sette mesi pieni di precipitazioni ogni anno. Ciò comportava come minimo due raccolti l’anno, ma spesso anche tre, ed una intensa presenza di foreste che coprivano tutto l’altipiano per almeno il 50% della sua superficie. Enormi quantità d’acqua crollavano dai monti verso i deserti ed il mare formando fiumi che creavano, per la loro notevole portata, continue modificazioni delle coste eritree. Adulis si trovava nei pressi di due di questi fiumi che scaricando al mare enormi quantità di detriti, allontanarono la città dalle acque che divennero pian piano difficili alla navigazione.

Ma questa situazione cambiò in maniera radicale nell’ottavo secolo dopo Cristo quando improvvisamente i monsoni cessarono di raggiungere l’altipiano dove, da allora, si ebbero solo tre mesi di vere precipitazioni che in certi periodi si sono dimostrate anche molto scarse. Axum si ritrovò in una situazione critica, senza più il porto e con i seri problemi di siccità e si avviò rapidamente verso una lunga epoca di decadenza. La fine del regno di Aksum fu decretata poi dalla conquista araba dell’Egitto che pose fine ai commerci che facevano di Adulis una tappa verso le Indie. L’invasione delle tribù begia e le distruzioni della regina Gudit, proveniente dal Damòt, completarono l’opera. L’Abissinia rimase così isolata, inespugnabile, estranea al resto del mondo per quasi ottocento anni fino a quando la dinastia dei re di Gondar non la riportò all’attenzione dell’umanità.

C’è da aggiungere che nel 400 dopo Cristo il Cristianesimo giunse in quei luoghi tramite San Frumenzio e fu proprio l’Abissinia a convertirsi, mentre le popolazioni limitrofe mantennero il paganesimo e furono successivamente convertite all’islamismo.

Quando gli italiani sbarcarono a Massaua alla fine dell’ 800 le foreste coprivano il 30% della superficie dell’Abissinia, per il resto poco o nulla era mutato da centinaia di anni; quella che era stata la popolazione dominante, di religione cristiana, aveva mantenuto un certo grado di civiltà e lo sfruttava per tenere sottomesse le numerose genti dell’Etiopia, ma solo con grandi sforzi riusciva a mantenere unito quel regno grande almeno tre volte la Francia.

Gli italiani arrivarono di soppiatto, timidi della loro giovinezza, sprovveduti nella loro politica, inconsapevoli della realtà africana e delle spedizioni coloniali, ben lontani dalla preparazione culturale e logistica di altri paesi colonialisti come ad esempio l’Inghilterra e la Francia, spinti più che altro dall’emulazione, dall’orgoglio, dalla paura di rimanere fuori dal giro della “spartizione” del continente nero. E da perfetti ingenui si sono avventurati in quella parte dell’Africa che era stata l’unica culla di civiltà al di sotto del Sahara e che si era riuscita a difendere con relativa facilità per millenni dagli intrusi.

L’avventura italiana si è prolungata per decenni in Eritrea con alterne vicende, per poi risolversi rapidamente dal 1936 al 1941 con la fulminea conquista dell’Etiopia e l’altrettanto veloce perdita di tutto l’impero coloniale. La storia dei civili italiani in Eritrea continuò a svolgersi fino alla fine degli anni settanta, quando le ostilità fra eritrei ed etiopici costrinsero gli europei al rimpatrio.

Gli eritrei ed alcuni etiopici oggi tendono a rigettare il termine di Abissinia, i cui confini, sempre mal delimitati, non vogliono dire più nulla nella geografia politica attuale; inoltre il termine Abissinia è stato impropriamente sfruttato dal colonialismo italiano per risultare gradevole all’orecchio degli abitanti attuali del Corno d’Africa.

Ma questo, a nostro parere non è sufficiente per far cassare dal lessico universale un termine di tale importanza. Gli abitanti dell’ acrocoro si devono sentir fieri di essere chiamati Abissini, con tutto il rispetto delle loro attuali identità, né più né meno come i popoli del mediterraneo vengono chiamati “latini”.

Abissinia resta sempre una denominazione intelligente ed antichissima per definire la terra dei mitici Abasciàt, ovvero degli Axumiti, dei re di Gondar, della Cristianità del Corno d’Africa e dovrebbe semmai rappresentare un valido motivo per annullare le divergenze che attualmente ancora esistono fra le genti abissine.

Foto di Alberto Vascon

 

Foto di Alberto Vascon

Paesaggi dell’Abissinia

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