Beppe Storelli, Dicembre 2018

Solo due giorni prima che Ennio, morisse, Lui ed io avemmo una lunga conversazione telefonica. Nulla, nel corso del dialogo che ci siamo scambiati, faceva presagire la sua imminente dipartita. Era stata la solita conversazione serena tra due vecchi amici che,come spesso accadeva, si scambiavano ricordi di avventure vissute insieme.

Sono state tante a partire dal 1954. Infatti lui mi ricordava che il prossimo anno sarebbero stati sessanta gli anni di comune amicizia. Poiché stava approssimandosi l’arrivo del Natale,fu inevitabile per entrambi rinvangare il ricordo di alcuni episodi legati proprio al periodo natalizio, erano tanti e quasi tutti legati al ricordo di qualche ragazza con la quale quelle feste avevamo condiviso. Poi inevitabilmente il discorso cadde su una delle tante nostre avventure motociclistiche ed abbiamo ricordato,fra tutte la più bella.

Era l’ultimo giorno dell’anno, fatto partire l’ultimo aereo, finito il turno in aeroporto, alle 14,00 rientriamo in Ufficio dove ad attenderci c’è “Lo zio Lello” il nostro capo. Un capo talmente buono che meritava tutto il titolo che gli avevamo riconosciuto. Sistemate le pratiche, seduti dietro le nostre scrivanie, ecco che lo “zio” ci apostrofa “Sentite ragazzi, oggi non ho alcuna intenzione di vedervi soffrire mentre girate il fumo con la manovella per fare arrivare sera, per cui andate, andate e godetevi l’arrivo del nuovo anno”.

Scambiata una rapida occhiata, dieci minuti dopo ci ritroviamo a bordo della moto del Seppia con la nostra magliettina di cotone giallo. Destinazione “Embatcalla”.Era successo che il giorno di Santo Stefano, tornando da Massaua, all’altezza di Embatcalla alla mia moto si era bruciata la frizione. Per cui era scattata l’operazione recupero. Nessuno dei due sapeva come la cosa sarebbe andata in porto. Sta di fatto che, giunti dove la moto era stata abbandonata, smarriti ci siamo guardati in faccia e il Seppia decide che la cosa più ovvia da fare era quella di rimorchiare la moto fino ad Asmara.

Una bazzecola; difatti c’erano solo una quarantina di chilometri di salite compresi i 26 tornanti di Nefasìt. Ma a quella età tutto era fattibile e niente impossibile. Il problema fu quello di trovare una robusta corda, anche perché non c’era neanche un negozio aperto. Il parroco di Embatcalla risolse il nostro problema, prestandoci un pezzo di cavo d’acciaio.

Raccordate le due moto con il cavo,Il Seppia mi fa l’ennesima raccomandazione.“Ricorda, Pop, che devi fare la curva esattamente come la faccio io, non stringere o non allargare la corda della curva, altrimenti cadi”. Infatti al primo tornante sono già per terra. Imparata la lezione, da bravo studente eseguo puntuale. Poco prima di arrivare a Nefasìt, finiamo in un fitto gelido banco di nebbia. Una vera goduria per le nostre magliette di cotonina a manica corta, ed eravamo anche senza guanti.

Per chi non lo sapesse preciso che Nefasìt vuol dire Paese del Vento, e lì la nebbia gelida imperversa da ottobre a febbraio. Quella stessa nebbia che costò la vita all’eroico capitano Mario Visintini, che con il suo aereo andò a schiantarsi contro una parete del monte Bizen (2.450 mt.)

Ma c’è sempre un ma. Infatti, solo qualche chilometro dopo Nefasìt, ecco che arriva la seconda caduta; il freddo mi aveva talmente intirizzito le braccia rendendo qualsiasi manovra difficile e le dita si erano irrigidite al punto che non ero più in grado distaccarle dal manubrio della moto. Venne il Seppia ad aprirmele e a rimettermi in piedi. Ragazzi che freddo, e pensare che solo a una trentina di chilometri in linea d’aria c’era gente che in quello stesso momento sene stava pigramente sdraiata sulla spiaggia di Gurgussùm ad arrostirsi sotto il sole.

Erano circa le diciannove quando arrivammo a casa mia. A quell’ora, come da tradizione,tutti gli anni, l’ultimo giorno dell’anno mia madre, con l’aiuto della Zaitù, stava cucinando i calzoni. Non ci volle altro: infreddoliti come eravamo ci precipitammo in cucina, e infilati i piedi nel forno della stufa,trovammo sollievo, rinforzati da una buona dose di calzoni che di volta in volta la Zaitù ci allungava. Nel giro di una mezz’ora la casa si riempì della presenza di mio fratello Gianni, mia sorella Anna, e alcuni loro amici.

L’anno nuovo ci colse che stavamo ancora giocando a tombola. In un angolo della stanza c’era un tavolinetto sul quale avevamo posato bottiglie,bicchieri e l’ultimo freddo calzone avanzato, che in un attimo fu preda del Seppia. Impossibile per me dimenticare una fine anno ed un capodanno del genere. Ciao,caro amico Ennio, detto anche“Seppia”. Impossibile per me dimenticarti.

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