Sabrina De Canio, 26 giugno 2010
  Racchiudere in poche parole l’eccezionalità, il vigore, la vitalità, il coraggio, la dedizione di un uomo protagonista di alcune delle pagine più avvincenti, drammatiche e contraddittorie della storia italiana non è possibile. Se proprio un titolo gli va assegnato è quello di protagonista e testimone di un’epoca travolta dall’oblio e dalle ‘rimozioni’ dalla memoria collettiva (fatta eccezione per coloro che la guerra l’hanno vinta e che ne hanno riconosciuto e celebrato le gesta).
Amedeo Guillet nacque a Piacenza il 7 febbraio 1909 da Franca Gandolfo e dal barone e comandante dei Carabinieri Alfredo Guillet. La tradizione militare della famiglia, savoiarda da generazioni, ebbe un peso decisivo sulla sua carriera.
A diciotto anni frequentò l’accademia militare di Modena, dal ’30 al’31 la Scuola di Applicazione di Cavalleria di Pinerolo, dal ’32 al ’34 è sottotenente e poi tenente nel XIII Cavalleggeri di Monferrato, nel XIX Guide Cavalleggeri, nel III Cavalleria Savoia, al Corso Istruttori e Centro Olimpionico di Pinerolo.
Frequenta i ricevimenti di Villa Savoia a Roma, è amico d’infanzia di Jolanda di Savoia con la quale condivide la passione per i cavalli, partecipa alla caccia alla volpe, è in rapporti amichevoli con il principe ereditario Umberto II, la consorte, Maria Josè del Belgio e la principessa Mafalda. Ufficiale di cavalleria del regio esercito, brillante allievo di Federico Caprilli che rivoluzionò la tecnica equestre, Amedeo Guillet era  stato selezionato per le Olimpiadi di Berlino del 1936 ma a queste aveva preferito offrire i suoi servigi come soldato in Africa e poi in Spagna durante il conflitto civile.
Ero molto giovane e allora mi sembrò la cosa giusta. In realtà ero tornato disgustato -, mi confessò durante un nostro incontro. La parte più conosciuta e avventurosa della sua vita è legata alle sorti dell’Impero Italiano in Africa Orientale.
Nel ’40, durante la Seconda Guerra Mondiale, su ordine del viceré Amedeo d’Aosta,  (altro personaggio straordinario del quale Amedeo amava parlare: – Era un illuminato. Se avesse vissuto più a lungo chissà… Si era laureato con una tesi che sosteneva l’estensione della cittadinanza, e dei relativi diritti, agli indigeni delle colonie… in pieno fascismo! – ebbe a dirmi un giorno) Guillet arruolò, armò e addestrò un gruppo Bande Amhara, un’unità speciale ed autonoma, meno formale dei regolari reggimenti coloniali, composta per più della metà da Eritrei, poi da Etiopici, Yemeniti e persino qualche contrabbandiere della tribù Rashaida vicecomandante fu il giovane Renato Togni, poi caduto in un’azione eroica e seppellito nel bellissimo cimitero di Asmara).
Gli Eritrei, uomini di grande valore e coraggio, mi hanno dato il privilegio di comandarli in guerra – mi raccontava commosso nella sua bella casa di Kenstown, in Irlanda. Proprio in quegli anni in cui le autorità fasciste dell’Impero cercavano di imporre leggi vessatorie, quali la segregazione razziale di italiani ed eritrei sugli autobus e nei bar di Asmara, Guillet reclutò un’armata di  Falascià, gli ebrei d’Etiopia (quegli stessi ebrei che si dice avessero accompagnato la regina di Saba nel ritorno dal suo incontro amoroso con Salomone) e negli stessi anni conobbe Kadija, la leggendaria figlia di un capovillaggio indigeno che gli fu compagna e lo seguì in tutte le missioni in cui brillò per ardimento e coraggio.
Guillet fu inoltre protagonista con le sue Bande, a Cherù, di quella che sarà probabilmente ricordata come l’ultima, travolgente carica di cavalleria del ‘900. Quando l’esercito italiano, male equipaggiato e senza rinforzi, rimase tagliato fuori dalla madrepatria durante la Seconda Guerra Mondiale e cadde sopraffatto dagli inglesi, il giovane tenente Guillet non si arrese e forte della promessa fatta ad Amedeo d’Aosta di resistere finché possibile, si travestì da musulmano sotto il nome di Cummandar as-Sheitan (Comandante Diavolo) e intraprese una vera e propria guerra privata contro gli inglesi alla testa di un manipolo di fedelissimi ascari per circa quattordici mesi.
L’intelligence inglese gli pose sul capo l’appetibile taglia di mille sterline ma mai nessuno lo tradì. Vinto dagli eventi, dopo aver fatto l’acquaiolo a Massawa, nelle vesti dello yemenita Ahmed Abdullah Al Redai, si trasferì fra mille peripezie nello Yemen dove venne fatto prigioniero per poi diventare consigliere dell’imam regnante.
Dopo l’otto settembre 1943 raggiunse da clandestino l’Italia per prendere parte alla liberazione del suolo patrio occupato dai tedeschi e, fedele al giuramento prestato alla monarchia, dopo il referendum che proclamava l’Italia repubblicana, Amedeo abbandonò la vita militare per intraprendere la carriera diplomatica, insieme all’amatissima moglie Beatrice, sposata alla fine della guerra, fu rappresentante dell’Italia  nello Yemen, in Egitto, in Giordania, in Marocco e in India. In pensione dal ’75, la sua vita prosegue fra mille impegni, inviti, presenze e celebrazioni.
Il 21 dicembre 2000, il piacentino Guillet, barone, generale, ambasciatore, il più decorato eroe di guerra italiano vivente, riceveva l’ennesimo riconoscimento, la decorazione di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine Militare d’Italia. Conobbi l’eccezionale Amedeo Guillet alla fine degli anni ’90 ad Asmara, in Eritrea, dove risiedevo per motivi di lavoro. Avevo letto delle sue straordinarie gesta alcuni anni prima in quel libro straordinario di Vittorio Dan Segre “La guerra privata del tenente Guillet”. Ero rimasta colpita dalla personalità intrepida, controcorrente, coraggiosa e romantica dell’allora giovane tenente in Africa Orientale.
Allora il Paese viveva un secondo conflitto con l’Etiopia, 850mila sfollati (poi riuniti in diversi campi di raccolta) avevano dovuto abbandonare le loro case perché i confini erano stati attaccati dall’esercito etiopico, gli stranieri erano stati evacuati a più riprese, gli spazi aerei chiusi per lungo tempo, tutti i giovani eritrei erano stati mandati al fronte. Io stessa, all’estero come insegnante, mi trovavo con altri a gestire l’emergenza dei connazionali. Da Asmara non ci si muoveva perché l’esercito etiopico giunse in quel periodo a meno di 80 km dalla capitale e la tensione era alle stelle. Avevo prestato “La guerra privata del tenente Guillet” a un diplomatico della nostra ambasciata per distrarsi un po’. Qualche giorno dopo lo stesso mi chiamò per annunciarmi che quella mattina Guillet gli aveva telefonato ordinandogli imperativamente di resistere, non mollare. L’effetto era stato galvanizzante! Guillet!
Qualche tempo dopo Amedeo, uomo d’altri tempi, arrivava ad Asmara per mettersi al servizio degli eritrei, ricevuto con tutti gli onori che si addicono ad un capo di Stato e forse anche di più. Lo incontrai per la prima volta nel bellissimo cimitero di Asmara, dove si recò a rendere onore ai caduti alla presenza delle più alte autorità eritree e italiane e degli ascari sopravvissuti.
Lo avvicinai per chiedergli se ricordava di aver conosciuto in giovinezza un De Canio (Edoardo, fratello di mio padre, anche lui inviato come giovane tenente in Africa Orientale.) Con mio enorme stupore se ne ricordò addirittura il nome, nonostante fossero trascorsi così tanti anni! In questo ed altri episodi della nostra conoscenza che ben presto si trasformò nell’amicizia  di cui mi onorò, ebbi modo di apprezzare la sua incredibile e lucidissima memoria.
Sotto la fascinazione di quest’uomo straordinario che alla sua veneranda età trasudava una forza, un carisma, una lucidità, una intelligenza non comune, lo seguii in tutte o quasi ( compatibilmente con i miei impegni di lavoro ed i suoi impegni con le massime autorità dello Stato Eritreo ed Italiano) le sue ‘scorribande’ eritree di cui conservo diverse foto. Lo vidi rendere onore solenne ai caduti dei cimiteri italiani in Eritrea con parole toccanti, eretto ed impeccabile, nonostante il caldo torrido, parlare alla comunità italiana ed eritrea avvincendo la platea alla Casa degli Italiani di Asmara, firmare autografi, tornare sui luoghi delle grandi battaglie del passato.
Come se fossero avvenute il giorno prima effettuava ricognizioni sui luoghi di un terribile scontro avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale dalla parti di Keren e chiedeva ostinatamente all’autista di fare una deviazione perché c’era la carcassa di un carro armato. Il ministro eritreo cercava di dissuaderlo ma Guillet insisteva. E aveva ragione perché la carcassa era lì, quasi settantanni dopo!! In zone desertiche come quelle, tutti i luoghi sembrano uguali ma sua memoria, ancora una volta, non faceva cilecca!
Ce ne sarebbero di aneddoti da raccontare sulla sua permanenza in Africa Orientale, quelli che mi raccontava seduto su una poltrona di Villa Roma ad Asmara, residenza dell’allora ambasciatore Bandini di cui era ospite, o nella sua bella casa nelle campagne irlandesi dove ancora nel 2004 cavalcava i suoi meravigliosi purosangue spronandoli al salto degli ostacoli come in gioventù, ‘sgridato’ da un figlio preoccupato per la sua incolumità. – Ora posso dire davvero di cavalcare molto meglio di quanto cammini – scherzava ironicamente alludendo ai dolori delle ferite di guerra.
Ricordo le nostre chiacchierate, il suo amore per il pianoforte che ancora suonava e per la pittura, il suo rispondere pazientemente alle mie domande sulla storia passata e contemporanea, l’interrogarmi sul mio lavoro e spronarmi a svolgerlo al meglio, i suoi progetti, la stesura di un libro sui suoi ricordi dello Yemen. Amedeo, fino alla sua morte consigliere ed amico di monarchi, capi di Stato del mondo arabo ed occidentale, esperto in questioni mediorientali, celebrato come grande eroe e valoroso dopo la guerra, persino da quegli stessi inglesi che gli avevano messo una taglia sul capo, sempre attorniato da giovani, attivo, instancabile, ha totalmente rivoluzionato la mia idea di vecchiaia! Da lui ho imparato la luminosa bellezza di una vita piena fino all’ultimo istante, l’importanza degli ideali, della lealtà e della parola data, le sconfinate varietà in cui si declina il possibile, la necessità della memoria per leggere con lucidità la storia e della fiducia nei propri sogni per intraprendere grandi imprese. E tante altre cose.
Nel corso di questi anni Amedeo Guillet ha attivamente presenziato ad affollate mostre, celebrazioni, incontri in giro per il mondo, sempre accompagnato dalla presenza di un nutrito gruppo di autorità civili e militari dello Stato italiano e di altri Stati, dimostrando ancora una volta che l’età, nel suo caso, non costituiva certo un impedimento. Sono stati realizzati  progetti cinematografici sulla sua vita avventurosa, pubblicata una bella biografia da Vittorio Dan Segre “La guerra privata del tenente Guillet” , un’altra dall’irlandese Sebastian O’Kelly, “Amedeo, un eroe italiano in Africa Orientale”, pubblicata una breve biografia nell’imponente “Gli italiani in Africa” a cura di Giorgio Barani e Manlio Bonati, e ancora nel secondo volume della monumentale opera di Luca Lupi “Dancalia – L’esplorazione dell’Afar, un’avventura italiana”, realizzato uno speciale da Rai Educational, allestite mostre fotografiche.
Eppure, mentre il mondo gli tributava tutti gli onori, il suo nome, fino ad oggi, è rimasto perlo più sconosciuto a molti italiani, persino in diverse accademie militari!
Stiamo parlando del più decorato soldato d’Europa (cinque medaglie d’argento, una di bronzo che gli fu appuntata al petto direttamente da Italo Balbo per le sue imprese con gli spahis in Libia, cinque croci di guerra oltre all’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce per citarne alcune)! Lo stesso ministro degli Esteri Franco Frattini pochi giorni fa, pur affermando che Amedeo Guillet meriterebbe di stare in un ideale pantheon italiano, era costretto ad ammettere che lo si trova oggi più celebrato sui giornali stranieri e siti inglesi che non da noi.
Mi rammarico che molti, compresi i suoi concittadini di Piacenza, terra che gli diede i natali, si ricordino della sua grandezza e del suo valore solo ora che mezzo mondo dà la notizia della sua morte. Circa dieci anni fa, ne segnalai il nominativo e le evidenti ragioni per una candidatura alla Fondazione di Piacenza e Vigevano di Piacenza, per l’assegnazione annuale dell’Angil dal dom, il più importante riconoscimento della città ai piacentini che si sono distinti all’estero, conferendo con il dottor Lunati della Fondazione e dopo un breve consulto mi fu risposto che era troppo vecchio per ricevere quel riconoscimento e neppure tanto conosciuto. In seconda battuta se ne interessò mio padre che chiese all’allora sindaco di Piacenza, l’avvocato Guidotti, in un incontro, di intercedere presso la Fondazione perché fosse segnalato il suo nominativo. La risposta della Fondazione fu la medesima. Non solo. Riconoscendogli indubbie doti di oratore e di osservatore acuto della storia,  avevo inoltre comunicato al dottor Lunati la disponibilità di Guillet per un incontro-conferenza che si fosse tenuta nei locali della Fondazione, facendo presente che un invito a parteciparvi, rivoltogli dalla sua città natale, gli avrebbe certamente fatto tanto piacere.
Chi meglio di lui, lucido protagonista della storia e coinvolgente oratore, avrebbe potuto raccontarla a chi non l’aveva vissuta? Anche questa mia proposta cadde nel vuoto (eppure, nel corso di questi anni abbiamo verificato come questo riconoscimento sia stato conferito dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano ad altri suoi coetanei, perché non a lui?).
Sarebbe il minimo rimediare ora, con un riconoscimento, anche se tardivo, della città di Piacenza al proprio concittadino. O se ne deve trarre che l’uomo che il mondo onora sia un piacentino in realtà dimenticato dagli stessi piacentini? D’altronde, come afferma giustamente Vittorio Dan Segre nel Sole 24 ore del 22 giugno 2010 che dà pieno risalto alla morte di Guillet ponendolo in prima pagina“ Che un simile uomo non sia su tutte le prime pagine non dice poco di lui, dice tanto sulla miseria morale in cui siam caduti.”.
Il funerale di Amedeo Guillet, barone, generale, ambasciatore, Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine militare d’Italia  avverrà sabato 26 giugno nella cattedrale di Capua. Ha respinto gli onori militari che gli erano dovuti ma ha chiesto che accanto alle sue ceneri sia posto lo zoccolo del suo fedele cavallo Sandor (catturato dagli inglesi, montato in argento e donatogli dal “nemico” dopo la guerra. Un gesto ‘romantico’ d’altri tempi), lo stesso con cui guidò a Cherù la carica che nel ’41 sgominò le truppe inglesi. Con la sua morte se ne va un italiano d’eccezione e la lucida memoria di cento anni di storia d’Italia.                                            
   N.B. Dell’ultima ora: GenerazioneItalia Placentia chiede pubblicamente un monumento a lui dedicato perché i piacentini ne possano conservare memoria. Inoltre Luca Lupi, autore dei due monumentali volumi sulla Dancalia, mi informa che, in seguito alla visita fatta ad Amedeo Guillett nella sua residenza romana l’11 nov. 2009 assieme a Michele Quirici di Tagete Edizioniadi Pontedera, si è assicurato la pubblicazione dell’autobiografia di Amedeo Guillett curata dalla sua segretaria e collaboratrice Rosangela Barone.
Decorazione dell’Ordine Militare d’Italia
Sabrina De Canio con Amedeo Guillet a Kenstown
Asmara marzo 2000 – Sabrina De Canio e Amedeo Guillet a Villa Roma residenza dell’Ambasciatore italiano
Luca Lupi con Amedeo Guillet mentre gli illustra il capitolo a lui dedicato sul libro Dancalia
Amedeo Guillet, Michele Quirici, Gen. Rocco Panunzi e il volume Dancalia con la dedica di Luca Lupi al Comandante Diavolo

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