Valeria Isacchini, 13/6/2025

Se uno a 25 anni, sposato da pochi mesi, si fosse trovato nella Somalia del 1976, perduto nel territorio sconosciuto del fiume Giuba, ovviamente ne avrebbe trattenuto ricordi incancellabili, che riemergono saltuariamente a sprazzi per tutta la vita.

E infatti questo testo si propone non come un diario né come una relazione, ma come un “flusso di coscienza”, di un allora giovane topografo spedito nella Somalia di quasi 50 anni fa per una missione geografica e topografica che gli ha lasciato sprazzi di memoria che riemergono a tratti e che vengono man mano appuntati.

Era la Somalia di Siad Barre, ma in quell’angolo sperduto di mondo i problemi geopolitici erano proprio sconosciuti: più importante come sopravvivere con poco più di mezzo litro di liquidi a testa, come difendersi da scorpioni e coccodrilli;  e come accettare gli sguardi delusi di gente che ti credeva, in quanto europeo,  medico capace di curare qualsiasi male, quando invece sapevi inquadrare Beltegeuse e Orione per rilievi astronomici, ma non certo risolvere problemi di elefantiasi o di infezione batterica. Liguori fu uno dei pochi a testimoniare la presenza, ancora all’epoca, del relitto del Welf e a raccogliere informazioni, più o meno attendibili, sulla fine dell’equipaggio .  https://www.ilcornodafrica.it/wp-admin/post.php?post=7142&action=edit

Libro che si legge facilmente; l’Autore, con fare talvolta ironico,  butta lì qualche citazione di Dante o di Dostojevsky insieme a qualche vocabolo tipicamente toscano; peccato la mancanza di foto, che, come spiega l’Autore, sono state o disperse o semplicemente … mancate. Non era ancora l’era dei cellulari ….