Vincenzo Meleca
20/7/2024
La colonizzazione dell’Africa Orientale Italiana iniziò ufficialmente il 10 marzo 1882 con l’acquisto da parte del Governo italiano della Baia di Assab, di proprietà dell’armatore Raffaele Rubattino, che aveva incaricato per l’acquisto il missionario ed esploratore Giuseppe Sapeto[1].
Sapeto, affiancato dal Contrammiraglio Guglielmo Acton, trattò con i fratelli Ibrahim e Hassen Ben Amed, sultani e proprietari del luogo e per 6000 talleri di Maria Teresa concluse l’acquisto della baia. Il compromesso viene firmato il 15 novembre 1869 con un versamento di 250 talleri, mentre il saldo (pagato in sterline inglesi) venne versato alla firma del contratto, avvenuta l’11 Marzo 1870[2].
Il motivo addotto da Sapeto e Rubattino era stato quello della necessità di avere una base per il rifornimento di carbone delle navi della sua compagnia di navigazione destinate in Oriente o che dall’Oriente provenivano, mentre in realtà l’acquisto era stato sollecitato dal Governo Italiano che non voleva esporsi né mettersi in urto con le principali potenze coloniali presenti in Africa. Va anche detto comunque che già due anni prima della cessione della proprietà della baia di Assab al Governo italiano, il 25 dicembre 1879, erano giunte in quella località due navi della Regia Marina, l’avviso a ruote Esploratore, al comando del Capitano di fregata Carlo de Amezaga e la goletta a elica Ischia, che sbarcarono alcuni tecnici e operai per costruire alcuni edifici e un pontile (“sbarcatoio”) lungo 60 metri, nonché per scavare dei pozzi d’acqua dolce, opere indispensabili per rendere operativa e vivibile la stazione[3]. Oltre a questo personale vennero sbarcati anche un piccolo contingente di 17 marinai al comando del tenente di vascello Cesare Martini che costituirono il primo distaccamento militare italiano in Eritrea.
Dal punto di vista giuridico, la Colonia Eritrea nacque otto anni dopo l’acquisto fatto dal Governo, con il Regio decreto 1º gennaio 1890 n. 6592.
I primi passi per conoscere quella parte del continente africano che si definisce “Corno d’Africa” erano però stati fatti non dal Regno d’Italia, nato nel 1861, ma dal Regno di Sardegna, che nel 1857 aveva cercato di allacciare relazioni con l’Abissinia tramite missionari, come il vescovo Guglielmo Massaja, i padri Léon des Avanchères e Giovanni Stella.
Dopo l’Eritrea, il Governo Italiano puntò poi alla Somalia, o meglio ad alcuni territori della costa somala, come quelli dei Sultanati di Obbia e di Migiurtinia, dove furono conclusi tra il 1888 e il 1889 accordi con i rispettivi sultani, Yusuf Ali Kenadid e Osman Mahamud per renderli entrambi protettorati italiani, ciò che formalmente non consentiva di poterli trasformare giuridicamente in colonie.
Giovanni Giacinto Stella e la colonia agricola dello Sciotel
Una trentina di anni prima che il Governo italiano mettesse ufficialmente piede in Africa Orientale per crearvi delle colonie, vi era stato però un interessante esperimento che potremmo definire di “colonizzazione sociale”: fu la cosiddetta colonia agricola italo-africana di Sciotel, realizzata dal padre missionario lazzarista Giovanni Giacinto Stella.
Parafrasando Allessandro Manzoni, “Stella: chi era costui?”
Nato a Carcare, un paesino dell’appennino ligure, il 15 agosto 1822, ebbe un’istruzione di tipo religioso prima nel collegio dei Padri Scolopi del suo paese, poi nel Seminario arcivescovile di Genova e, infine, a Torino, dove frequentò la facoltà di teologia. Dopo l’ordinazione sacerdotale, avvenuta nel 1843, per la sua inclinazione fu accolto dalla Congregazione della Missione (“Congregatio Missionis”), i cui membri erano spesso definiti “lazzaristi”, per il fatto che la Congregazione era nata nel Priorato di San Lazzaro di Parigi. Ed è a Parigi che Stella fu inviato per essere istruito e preparato ad operare come missionario in Africa, seguendo l’esempio, tra gli altri, di un altro lazzarista, Padre Giuseppe Sapeto (anche lui nato a Carcare, come Stella) e del frate cappuccino Guglielmo Massaja.


Giovanni Giacinto Stella (a sinistra) e Giuseppe Sapeto (a destra)
https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Giacinto_Stella https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Sapeto
Partito nel settembre 1847, Stella raggiunse alcune settimane più tardi la sua destinazione, Guala, nell’Agamien, una delle aree originarie della civiltà aksumita, una delle più antiche regioni di sviluppo agricolo e uno dei primi centri di diffusione del cristianesimo. E proprio nell’Agamien, a partire dalla metà dell’Ottocento, operarono per la diffusione del cattolicesimo i missionari lazzaristi. Per loro erano però tempi duri in quanto il vescovo copto Abuma Salama non gradiva tali ingerenze religiose e faceva di tutto per contrastarle. Fu per questo motivo che Stella nel 1849, si trasferì prima a Gondar e poi in una località situata vicino all’isola di Massaua, dove rimase fino all’estate del 1851, quando, assieme al lazzarista Giuseppe Sapeto, arrivò nello Sciotel, una vasta area a circa 35 km a sud-ovest di Cheren,, dove vivevano alcune etnie come i mensa, gli habab e, soprattutto i bogos (oggi chiamati bileni), popolazioni di indole pacifica dedite soprattutto all’agricoltura. Per vari anni Stella svolse tra di loro il suo compito di missionario, riuscendo pian pianino a conquistarsi la fiducia dei nativi e del governatore abissino dell’Hamasen, il Degiasmacc Hailù, tanto da ottenere da lui, nel 1865, la concessione della regione dello Sciotel, un territorio di quasi 23.300 ettari, situato a 1200 metri sul livello del mare e a circa sei ore di cammino da Chéren, il centro abitato più grande ed importante del territorio dei bogos, per potervi creare un’impresa agricola.

Antica stampa del territorio bogos (1885)
https://en.wikisource.org/wiki/Africa_by_%C3%89lis%C3%A9e_Reclus/Volume_1/Chapter_6
La concessione, grazie all’altitudine aveva un clima temperato e, grazie a una discreta disponibilità di acqua, aveva la possibilità di coltivare sia prodotti per uso alimentare, come dura, granoturco, lino, sesamo, semi oleosi, legumi e ortaggi sia colture più redditizie come quelle del caffè, del cotone, dell’indaco e del tabacco. Ovviamente era possibile anche l’allevamento di bestiame.
Venuto in possesso di questo vasto e ricco territorio, Stella si rese conto di aver bisogno non solo di finanziamenti ma anche di persone che lo aiutassero materialmente nelle attività agricole. Partì dunque per l’Egitto con l’intenzione di proseguire per l’Italia allo scopo di cercarvi capitali e coloni, ma giunto nel novembre 1866 al Cairo ebbe l’occasione di conoscere il piemontese Pompeo Zucchi che era al servizio del Khedivè Ismail Pascià. Zucchi, venuto a conoscenza del progetto della colonia agricola italiana a Sciotel, dimostrò subito un grande interesse, non solo fornendo a Stella finanziamenti e l’assicurazione ma anche convincendo tre agricoltori italiani a seguirlo subito nello Sciotel per iniziare il lavoro di colonizzazione[4].

Mappa del territorio di Sciotel (Istituto Geografico Militare, 1909, su rilievi del 1894). A destra, alla base del monte Zad Amba, indicata dalla freccia, si nota l’iscrizione C(as) P(adre) Stella.https://it.wikipedia.org/wiki/Colonia_italo-africana_di_Sciotel
Il 20 febbraio 1867, dopo che l’anno precedente aveva smesso l’abito talare (sia perché tale iniziativa non era stata apprezzata dai suoi superiori, sia per il fatto che aveva una relazione “more uxorio” con una giovane indigena), Stella costituì così una società per lo sviluppo di questo territorio battezzandola con il nome di “Colonia italo-africana di Sciotel”. I soci furono inizialmente una trentina (venticinque italiani, uno spagnolo, un ungherese e due tedeschi), in buona parte però residenti ad Alessandria d’Egitto e al Cairo. Mentre costoro, che avevano aderito in qualità di soci finanziatori come “Coloni Capitalisti Cooperatori”, versando mille franchi francesi ciascuno, altri, tra cui, oltre all’ l’imprenditore Pompeo Zucchi e sua moglie Elena, anche il dottor Ferdinando Bonichi e i signori Alessandro Angioli e Giorgio Lifonti, si erano invece trasferiti nello Sciotel per lavorarvi.
Dell’avvenuta costituzione della società Zucchi informò il 25 aprile 1867 il Console italiano del Cairo, Lorenzo Vignale, chiedendogli l’esenzione dai dazi doganali per tutto il materiale che dal Cairo sarebbe stato inviato in Abissinia e, soprattutto, e il rilascio di una “legale autorizzazione per il libero passaggio fino alla Colonia in Sciotel, tanto per le persone che per il materiale… all’effetto di usufruire della protezione governativa a cui ogni italiano ha diritto”.

Un’immagine satellitare dello Sciotel
Il Console respinse quest’ultima richiesta affermando, nella motivazione del suo decreto, che “la così detta Colonia Italo-Africana fra l’Egitto e l’Abissinia in Sciotel non ha esistenza giuridica; che non esiste trattato tra l’Italia e l’Abissinia; che la formazione d’una simile Colonia potrebbe esporre le vite dei regnicoli e compromettere lo Stato in complicazioni internazionali.”
Ciò non spaventò Zucchi, che il 1° maggio 1867 partì con alcuni suoi collaboratori e coloni per Sciotel, ove, intanto, il padre Stella coi primi tre coloni già aveva costruito capanne e case di abitazione presso due sorgenti perenni, sotto il monte Zada Amba,
Nel giro di poco tempo l’iniziativa ebbe però dei problemi: prima alcuni gravi contrasti fra i soci lavoratori della piccola comunità e poi la morte di Zucchi, stroncato 12 settembre 1867 dalla dissenteria, fecero sì che a Sciotel rimasero soltanto Stella con alcuni contadini bogos.
Scrive Bonichi, nella relazione del, mandata al nostro Governo da Massaua: “Per questo accidente (cioè la morte di Zucchi) la maggior parte dei soci si è ritirata, ed ha lasciato lo stabilimento e tutte le sue pertinenze; che, ai termini contrattuali dei patti di associazione, si sono concentrati e riuniti nelle due eredi Zucchi, nel sig. Stella, e nei soci capitalisti-industriali D. Ferdinando Bonichi ed Alberto Buccianti”.
Lo stesso Bonichi, il 15 Ottobre 1867 fece pervenire al Governo italiano un’ampia e dettagliata relazione sullo Sciotel, tanto che lo stesso Governo prese finalmente considerazione la Colonia italo-africana e inviò nel Mar Rosso la corvetta Ettore Fieramosca[5], comandata dal Capitano di fregata Luigi Bertelli, per organizzare una piccola spedizione nello Sciotel e verificare quanto di vero vi fosse nella sua relazione.

La pirocorvetta Ettore Fieramosca in un disegno di Aldo Cherini
Nel frattempo, anche la vedova di Zucchi, Elena Petrucci, che subito dopo la morte del marito era rientrata in Italia, aveva cercato di ottenere dal Governo italiano e dalla Società Geografica i mezzi necessari per lo sviluppo della Colonia italo-africana, ottenendo l’invio a Sciotel di Orazio Antinori e del prof. Odoardo Beccari, per avere notizie precise sulla colonia prima di decidere circa l’intervento governativo. Non avendo però lo Sciotel un facile sbocco sul Mar Rosso (il porto di Massaua era all’epoca controllato dall’Egitto), anche questo tentativo si risolse in un nulla di fatto.
A quel punto, toccò allo stesso Stella cercare di ottenere un aiuto al governo italiano, contattando Cavour, che sapeva interessato alle espansioni sulle coste africane, ma anche lui non riuscì ad ottenere alcun impegno da parte del Governo italiano..
Il progetto della colonia era quindi probabilmente destinato a fallire, forse anche per le iniziative poste in atto da Werner Munziger[6], acerrimo avversario di Stella, come testimoniò il dottor Bonichi nella sua dettagliata relazione resa al governo Italiano il 25 Agosto 1870[7].
Il colpo di grazia alla colonia di Sciotel arrivò prima con la morte dell’imperatore Teodoro II, avvenuta a Magdala il 13 aprile 1868, e la conseguente caduta del Degiasmacc Hailù, suo sostenitore e protettore di Stella, il cui successore e nuovo governatore dell’Hamasien, Walda Michael, espulse gli italiani dal territorio sotto la sua responsabilità; e poi con la morte di Stella, che, ammalatosi, spirò il 20 ottobre 1869. Questa la testimonianza dell’avvocato Ferdinando Bonichi che lo assistette fino alla fine: “…forse per uno stravaso di bile fu assalito da congestione sanguigna al cuore ed al cervello, per la quale rimasto per due giorni paralizzato con le membra inerti ed immote, dovette miseramente soccombere e nella notte del 20 ottobre morì del tutto”.[8]
E fu proprio Bonichi, unico socio rimasto a Sciotel per conservare il diritto di possesso e di proprietà della colonia, che, dopo i ripetuti rifiuti di intervento del Governo italiano, nel 1872 si trovò costretto a cedere al Governo egiziano i suoi diritti su Sciotel per la somma di 750 lire egiziane (18.200 lire italiane) e una pensione vitalizia di lire 12 mensili[9].
Il territorio dello Sciotel fu annesso alla Colonia Eritrea nel 1889 a seguito dell’occupazione di Cheren da parte dell’Italia[10].
Fonti
Orazio Antinori, “Sopra una colonia italiana in Sciotel nel paese dei Bogos in Abissinia”, in Bollettino della Società geografica italiana, volume III (1869)
Gustavo Büchler, “La colonia italiana in Abissinia. Impressioni di viaggio”, Tipografia Balestra, 1876
Francesco De Lorenzo, “Sciotel: vicende della colonia del Padre Stella e progetto per restaurarla”, Tipografia del Diogene, 1887.
Giulio Giacchero, Giuseppe Bisogni, “Vita di Giuseppe Sapeto”, Sansoni, 1942
Piero Gribaudi, “I pionieri piemontesi nell’Africa orientale: missionari, agricoltori, artigiani, esploratori”, Tipografia C. Accame, 1936
Arturo Issel, “Viaggio nel Mar Rosso e tra i Bogos (1870)”, Treves, 1876
Orazio Pedrazzi, Ferdinando Bonichi, “La colonia agricola di Giovanni Stella e la sua storia”, in https://it.m.wikisource.org/wiki/La_Colonia_agricola_di_Giovanni_Stella_e_la_sua_storia# e in L’agricoltura coloniale, anno 1917, numero unico, Firenze, Istituto Agricolo Coloniale Italiano, 1917
Francesco Surdich, “Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 94 (2019) – Stella Giovanni Giacinto”, https://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-giacinto-stella_(Dizionario-Biografico)/
[1] Giuseppe Sapeto aveva messo piede in Abissinia per la prima volta già nel 1838 come membro della Congregazione dei Missionari apostolici di San Vincenzo de’ Paoli, comunemente conosciuti come lazzaristi e, divenuto un profondo conoscitore delle lingue e delle usanze locali, più che all’opera apostolica si era dedicato alla politica e all’attività diplomatica inizialmente per conto della Francia e della Gran Bretagna che avevano mire in Africa orientale. Solo successivamente, nel 1863, Sapeto, dopo essersi liberato dei vincoli religiosi, ebbe l’incarico dal Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio del giovane Regno d’Italia di recarsi in Egitto per accertarsi di come procedevano i lavori del Canale di Suez e per valutare quanto la sua apertura avrebbe inciso sull’economia italiana.
[2] Giorgio Doria, “Debiti e navi. La compagnia di Rubattino 1839-1881”, Marietti, 1990, pagg. 132-134.
[3] Antonio Cimmino, “Il Cantiere Navale di Castellammare di Stabia e le sue Navi- Vol. II 1861-1900, 2018, pag. 83 e Nicola Morabito, “La Regia Marina in Africa Orientale”, in http://www.regioesercito.it/campagne/etiopia/rmao1.htm
[4] Piero Gribaudi, “I pionieri piemontesi nell’Africa Orientale Missionari – Agricoltori – Artigiani – Esploratori”, Tipografia C. Accame, 1936, pag. 2 (pag. 1180 del saggio di Gribaudi nella scansione consultabile su https://www.museotorino.it/resources/pdf/books/530/files/assets/common/downloads/page1181.pdf.
[5] L’Ettore Fieramosca, pirofregata a ruote del Regno delle Due Sicilie, il 24 gennaio 1861 fu inserita nella flotta del Regno d’Italia come fregata a vapore a ruote. Dopo essere stata ammodernata a Tolone, dal 14 giugno 1863 divenne corvetta a vapore di 2° grado (corvetta a ruote di II ordine). Nuovamente ammodernata nel 1878, tre anni dopo divenne nave idrografica.
[6] Avventuriero svizzero nonchè geografo, esploratore e soprattutto uomo d’affari, che in Africa fu al servizio sia della Francia sia dell’Inghilterra e dell’Egitto.
[7] Piero Gribaudi, “I pionieri piemontesi nell’Africa orientale: missionari, agricoltori, artigiani, esploratori”, cit. pag. 3 (pag. 1181 del saggio di Gribaudi nella scansione consultabile su https://www.museotorino.it/resources/pdf/books/530/files/assets/common/downloads/page1181.pdf.
[8] Giulio Giacchero, Giuseppe Bisogni, “Vita di Giuseppe Sapeto”, Sansoni, 1942, pagg. 172-178 e https://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-giacinto-stella_(Dizionario-Biografico)/
[9] Piero Gribaudi, “I pionieri piemontesi nell’Africa orientale: missionari, agricoltori, artigiani, esploratori”, cit. pag. 3 (pag. 1181 del saggio di Gribaudi nella scansione consultabile su https://www.museotorino.it/resources/pdf/books/530/files/assets/common/downloads/page1181.pdf
[10] https://it.wikipedia.org/wiki/Sciotel#:~:text=Abitato%20in%20prevalenza%20dai%20bogos,Cheren%20da%20parte%20dell’Italia.
[1] Giuseppe Sapeto aveva messo piede in Abissinia per la prima volta già nel 1838 come membro della Congregazione dei Missionari apostolici di San Vincenzo de’ Paoli, comunemente conosciuti come lazzaristi e, divenuto un profondo conoscitore delle lingue e delle usanze locali, più che all’opera apostolica si era dedicato alla politica e all’attività diplomatica inizialmente per conto della Francia e della Gran Bretagna che avevano mire in Africa orientale. Solo successivamente, nel 1863, Sapeto, dopo essersi liberato dei vincoli religiosi, ebbe l’incarico dal Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio del giovane Regno d’Italia di recarsi in Egitto per accertarsi di come procedevano i lavori del Canale di Suez e per valutare quanto la sua apertura avrebbe inciso sull’economia italiana.