Alessio Stretti, Genova 7 aprile 2014
Presentazione ai lettori del sito Il Corno d’Africa
Nella fiction RAI Edda Ciano e il comunista, dove si narrano le vicende che portarono la figlia di Mussolini a fidarsi del partigiano Leonida per salvare il diario del defunto marito, si vede una scena ambientata nella scuola media di Lipari, isola dove la donna era stata posta al “confino” nell’immediato dopoguerra. Al centro di un’aula scolastica vediamo ancora esposta una cartina dell’Africa Orientale Italiana; a questo punto un ragazzo che sta ripulendo la classe guarda la stessa carta geografica e, con un tono fra lo sprezzante e il derisorio, esclama: «quante minchiate», e se ne va.
Proprio così: un territorio di quasi due milioni di chilometri quadrati con (allora) 11 milioni di abitanti e passa, viene definito una «minchiata». Probabilmente il giovane del telefilm si riferiva all’avventura coloniale in sé, o forse i produttori della serie TV volevano soltanto evidenziare come già nel 1946, ad appena un anno dalla fine della guerra, tutto fosse ormai rientrato nel “buco nero” che per la storia italiana dovrebbe rappresentare il ventennio fascista, una “parentesi” da cui salvare pochissimo e da cui ripartire senza indugiare troppo sul passato.
Se ho deciso di raccontare questo minuscolo sketch televisivo è proprio perché la carta geografica delle nostre colonie ha invece rivestito un ruolo fondamentale nella propaganda che il regime creerà intorno al fenomeno «Impero» fra il 1936 e la caduta del fascismo.
Nel presente lavoro ho dedicato ben due capitoli all’utilizzo intensivo che si fece della cartina dell’Africa Orientale anche nei manifesti pubblicitari, e per promuovere i prodotti più disparati: lamette da barba, tende da campo, medicinali, crociere nell’Oceano Indiano e compagnie telefoniche. Tutti, ma proprio tutti, dallo Stato alle più improbabili aziende private, sentirono il bisogno di utilizzare questo «logo geografico» che ricalcava forme e confini dei nostri possedimenti d’Oltremare.
Molte delle persone che visitano il presente sito web hanno avuto a che fare in modo diretto con il Corno d’Africa, con le sue genti e con le sue multiformi realtà politiche, culturali, e sociali. Se un sito come questo e altri simili (come ad esempio il Chichingiolo e Maitaclì) esistono, è proprio per poter raccontare in un luogo libero come la Rete le proprie esperienze e i propri ricordi al numero più alto di persone possibile, affinché l’oblio non ricopra le storie eccezionali di persone comuni nate e vissute in luoghi oggi sconosciuti ai più.
Leggendo i commenti su chat e forum che trattano di questi argomenti, ho scoperto un piccolo universo alternativo di persone colpite dalla damnatio memoriae che l’Italia ha calato sul proprio passato non solo politico antecedente alla guerra, ma anche sul suo variegato e pur discutibile passato coloniale; questa Tesi vuol essere un omaggio indiretto a quella che è stata la reale importanza rivestita dalle terre d’Oltremare per l’immaginario collettivo degli Italiani in un periodo in cui la popolazione della Penisola non era soltanto abbagliata da una generica e astratta «fascinazione per l’esotico», ma cercava anche sbocchi concreti alternativi alle tensioni e ai problemi che affliggevano il nostro Paese: emigrazione, povertà diffusa, passaggio da un’economia agricola a una industrializzata.
Se a molte persone il mondo della pubblicità appare come qualcosa di “marginale” rispetto allo scorrere della vita quotidiana, leggendo questo lavoro scoprirà invece che i contenuti di un manifesto pubblicitario sono la spia di un «sentire diffuso» riproposto in forma visiva e accattivante da aziende di ogni tipo per rendere più interessante un prodotto: pur rimanendo un dato concreto lo sforzo dello Stato fascista per indirizzare i bisogni e i desideri della gente verso determinate tematiche, resta il fatto che il mondo della pubblicità privata aveva (ed ha) delle esigenze diverse da quelle della burocrazia, per cui la scelta di utilizzare in maniera variegata e diffusa il “tema Colonie” nei cartelloni pubblicitari resta una testimonianza indiretta ma sicura del successo che a un certo punto l’Oltremare ha rivestito nella realtà quotidiana degli Italiani fra gli anni Dieci e gli anni ’40; esistono infatti dei canoni imposti dalle mode e dai valori imperanti del tempo che non possono essere ignorati e che rendono la réclame espressione genuina delle aspirazioni, delle aspettative e delle credenze tipiche dell’epoca in cui vennero creati: nel testo ho cercato di raccontare come libertà e conformismo, innovazione e stereotipo si siano alternati nelle iconografie dei manifesti presenti sulle riviste e sui grandi rotocalchi del periodo: a voi il giudizio se sia riuscito o meno nel mio intento.

INDICE e collegamenti per la lettura della tesi
Introduzione e Capitoli I-II-III
Capitolo VIII IX seconda parte
RINGRAZIAMENTI
In questo frangente ringrazio i conservatori del Centro Studi della Collezione Wolfson di Palazzo Ducale, Matteo Fochessati e Gianni Franzone, per la loro disponibilità nel farmi reperire e fotografare i volumi e gli opuscoli presenti nel loro archivio; Dom Teodoro Muti, diacono presso il monastero olivetano di San Prospero a Camogli e curatore della biblioteca interna, che mi ha facilitato notevolmente il lavoro di ricerca e di scansione delle immagini permettendomi di portare a casa tutto il materiale richiesto in questo periodo; i professori Leo Lecci e Franco Sborgi per la costante attenzione e lo sprono ad andare avanti. Da ultimo, ringrazio mia madre, Arianna e tutta la sua famiglia per l’appoggio costante durante i mesi passati su questo lavoro.